Sei anni dopo la prima protesta globale, la questione climatica è diventata invisibile. I Fridays for Future tornano scioperare. A Roma arriva la “Primavera rumorosa” di Extinction Rebellion. Già da settimane Ultima generazione porta avanti la campagna “Il giusto prezzo” sui sistemi alimentari. Obiettivo: dimostrare che non si sono estinti, ma stanno solo provando ad aggiornare il sistema operativo della loro azione politica
Sei anni dopo il primo sciopero globale, i movimenti per il clima stanno tornando nelle piazze, con strategie e linguaggi diversi tra loro, ma per dimostrare tutti la stessa cosa: che non si sono estinti, ma stanno solo provando ad aggiornare il sistema operativo della loro azione politica.
In Italia gli attivisti combattono lungo un doppio fronte: lo scivolamento del clima in fondo all’agenda e la repressione nei confronti di chi ancora ne parla. Dopo mesi di assenza, il calendario delle proteste è tornato fitto. Oggi nelle piazze italiane si celebra nuovamente la liturgia del global strike: tornano a scioperare i Fridays for Future.
A fine mese a Roma ci sarà la “Primavera rumorosa” di Extinction Rebellion, una settimana di proteste con titolo ispirato al saggio che, negli anni ‘60, ha fondato l’ambientalismo contemporaneo, Primavera silenziosa di Rachel Carson. Già da settimane Ultima generazione sta portando avanti la campagna “Il giusto prezzo”, sui sistemi alimentari, quella delle azioni contro il ristorante di Carlo Cracco a Milano.
Insomma, nonostante un contesto politico in cui il cambiamento climatico è fuori da ogni dibattito, gli attivisti provano a riportarcelo, usando i temi del momento (guerra, crisi della democrazia, cibo) per invertire la narrazione. Con un compito difficilissimo, di cui però nessun altro si sta facendo carico: ricordare che il riscaldamento globale non è scomparso, è solo diventato invisibile.
Ritorno alla realtà
«Sei anni fa scendevamo in piazza per il primo sciopero senza sapere cosa avrebbe portato quella mobilitazione», dice Edoardo Di Stefano, attivista Fridays di Torino. «Da allora c’è stata una drammatica involuzione dell’economia e della politica globali, non avremmo mai immaginato di trovarci in un contesto di riarmo, guerre, genocidio. Ci avevano detto che i vincoli di bilancio impedivano di trovare risorse per transizione, sanità e istruzione, ma ora quei soldi si trovano per le armi. Noi invece chiediamo che vengano messi su una transizione giusta e una pianificazione industriale ambiziosa. Vogliamo riportare le persone alla realtà».
Riportare il clima nella «realtà» sociale per i Fridays significa ripartire dalle alleanze sociali: a Torino in piazza ci saranno anche i metalmeccanici della Cgil.
Oggi sembra più facile coinvolgere i sindacati che i minorenni in una manifestazione per il clima. «Abbiamo difficoltà a portare le nuove generazioni. La pandemia ha tolto ai ragazzi il significato collettivo e politico della vita», conferma Di Stefano, che di anni ne ha venticinque. «E le leggi repressive hanno alzato il prezzo del manifestare, il costo psicologico e sociale dello scendere in piazza. Torniamo a scioperare innanzitutto per riappropriarci della democrazia».
Leggi anti dissenso
Manlio Pertout è un attivista quarantottenne (con due figli) di Extinction Rebellion, vive tra Scozia e Italia. Da questo osservatorio valuta le differenze tra i due contesti: «Nel Regno Unito il movimento è più largo, socialmente e demograficamente, ma ha dovuto affrontare una repressione più dura, le leggi anti dissenso sono arrivate prima e temo anticipino quello che succederà in Italia».
Ci sono decine di attivisti britannici in carcere per proteste non violente, il conflitto è stato durissimo, poi lo scenario politico è cambiato quando Just Stop Oil ha annunciato la sospensione delle azioni nei musei, iniziate con la zuppa sui girasoli di Van Gogh tre anni fa. Un altro tentativo di cercare una strada nuova.
Anche per Extinction Rebellion Italia la sfida è allargare la base. Portare nuove persone alle manifestazioni per il clima è la sfida della campagna “Primavera rumorosa”. «La nostra non è una protesta contro il governo, ma per un cambio di sistema. Per anni abbiamo parlato di intersezione delle lotte», spiega Pertout, «ora è il momento di praticarla, quell’intersezione».
Anche per Extinction Rebellion la leva dell’allargamento fuori dall’ambientalismo è il lavoro. «La lotta per il clima deve diventare lotta per il lavoro, possiamo portare persone nel movimento facendo capire che questa è una lotta sociale, non solo per l’ambiente». Il totem politico e simbolico da cui ripartire è la fabbrica automotive occupata da anni a Campi Bisenzio, l’ex Gkn che per gli attivisti italiani è il simbolo del fatto che quell’intersezione di lotte tra ambientalisti e sindacalisti per un’industrializzazione verde è ancora possibile.
Contro il riarmo
L’altro punto di contatto con la realtà scelto dai movimenti per tornare a essere attuali è l’opposizione alla corsa al riarmo. In tutte le rivendicazioni c’è la richiesta di non spostare il budget europeo sulla difesa.
Di Stefano di Fridays for Future usa un ragionamento fatto anche dal premier spagnolo Pedro Sánchez: «Per noi la sicurezza è importante, ma la sicurezza è innanzitutto quella dagli eventi climatici estremi». Extinction Rebellion ha un approccio più radicale alle istituzioni, a cui chiede di affiancare assemblee deliberative per i cittadini. «Per noi la democrazia», ragiona Pertout, «non è più in grado di rispondere ai bisogni delle persone, lo smantellamento del Green deal è solo l’ennesima prova che il cambiamento ecologico può solo essere forzato partendo dal basso».
Anche per Ultima generazione l'obiettivo è cercare un nuovo canale di accesso all’attenzione pubblica. La nuova campagna ha spostato il focus dal fondo riparazione per eventi estremi alla tavola, il cibo, il supermercato. Maria Letizia Ruello, attivista di Ultima generazione da tre anni, spiega che «le proteste contro Cracco servivano a portare il focus sulle disuguaglianze, e hanno funzionato, ma ora ci sposteremo dai ristoranti di lusso alla grande distribuzione».
La scelta di parlare di clima partendo dal cibo nasce dallo stesso dilemma affrontato da Fridays ed Extinction Rebellion, come rendere concreto un problema che viene ancora visto come astratto e remoto. «Ne abbiamo discusso a lungo, e il cibo era il modo giusto per uscire dalla bolla, per far vedere gli effetti concreti del collasso eco-climatico». Ultima generazione sta avendo un’interlocuzione col Movimento 5 Stelle sullo spreco alimentare, e farà partire uno sciopero della fame contro la repressione. «Vogliamo disturbare, ma vogliamo anche dialogare», spiega Ruello.
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