Quando si tratta di acqua, la nostra memoria tende a essere corta. Nella prima parte dell'anno si contavano i danni della più grave siccità negli ultimi sessant'anni, 23,4 miliardi di metri cubi d'acqua in meno, come se fosse sparito il lago di Como. In poche settimane siamo passati dalla sete alle alluvioni.

Tutti i fiumi e i torrenti che sono esondati nella perturbazione che ha colpito il nord-ovest erano andati in secca almeno una volta negli ultimi anni.

Il Sesia, che ha ucciso una persona nel vercellese, nel 2015 era così basso che sono spuntati i resti di un ponte romano. L'estate successiva, dalla riva di uno dei tratti più colpiti, a Romagnano, si vedevano solo rocce e arbusti.

A Limone Piemonte il Vermegnana ha invaso il paese con tre metri d'acqua, la stessa acqua la cui mancanza d'estate mette a rischio i raccolti a valle e deve essere distribuita tra gli agricoltori a colpi di ordinanze, per non lasciare nessun campo senza irrigazione.

Anche il Po ha fatto paura, si è gonfiato di tre metri, arrivando quasi al limite. Ma questa estate il livello del fiume più lungo d'Italia era crollato, perdendo a giugno 900 metri cubi al secondo, ci dicono i dati dell'Osservatorio Anbi, Associazione nazionale bonifiche irrigazioni.

Tre anni fa le sue sorgenti a Pian del Re sono andate per la prima volta a memoria d'uomo in secca. A unire i punti, l'acqua dolce in Italia è diventata poca (rispetto alle nostre esigenze), irregolare e violenta.

La doppia crisi

Il cambiamento climatico e l'aumento delle temperature medie sono la causa di entrambe le crisi che l'Italia affronta ogni anno, la mancanza cronica d'acqua d'estate e le alluvioni che colpiscono il territorio d'autunno.

Era lo scenario tracciato per il nostro paese solo poche settimane fa dal rapporto Analisi del rischio del Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici.

Non sono più definibili emergenze, è la nostra nuova normalità, una doppia vulnerabilità che colpisce gli oltre 8mila corpi idrici italiani, tra cui 7644 fiumi.

In Italia non siamo politicamente e culturalmente attrezzati ad affrontare la scarsità d'acqua, eppure la portata dei fiumi potrebbe crollare nel peggiore dei casi del 40 per cento nei prossimi 60 anni, un calo amplificato di un ulteriore 10/15 per cento per i prelievi antropici, irrigare, bere, lavarci, alimentare le centrali idroelettriche.

È l'effetto combinato della riduzione delle precipitazioni prevista da ogni modello climatico, del crollo delle riserve glaciali e del caldo. C'è meno acqua e quell'acqua tende a evaporare più velocemente, lasciandoci a secco per mesi.

Contemporaneamente, anche nelle ipotesi più ottimistiche la frequenza e l'intensità delle piogge sono destinate ad aumentare, negli ultimi vent'anni la probabilità di rischio legata a eventi estremi è salita del 9 per cento.

Una mappa Ispra del territorio nazionale mostra quanti italiani vivono in aree ad alta pericolosità legata alle frane: 1,3 milioni, tra le regioni più minacciate ci sono due delle più colpite negli ultimi giorni, la Valle d'Aosta (12,1 per cento dei residenti) e la Liguria (5,8 per cento). Secondo il rapporto Uncem - Caire, il 65,5 per cento dei comuni ha almeno una porzione di territorio a elevato rischio alluvione.

Il nesso con le temperature

Un territorio vulnerabile esposto a un clima impazzito. C'è un filo che lega la violenza della perturbazione a nord-ovest e i 37 gradi a Palermo di sabato, la temperatura più alta mai registrata nel mese di ottobre in città.

L'Istituto metereologico di Berlino ha dato il nome di Brigitte al ciclone che è arrivato dall'Atlantico ed è piombato sulle Alpi. Qui ha incontrato un flusso di aria calda che proveniva da sud, lo stesso scirocco che ha surriscaldato la Sicilia.

«L'aria calda che sale dall'Africa contiene più energia a disposizione della perturbazione», spiega Giulio Betti, climatologo del Cnr. «Il fronte in arrivo da nord in sé non aveva nulla di anomalo e probabilmente trenta o quaranta anni fa non avrebbe fatto questi danni, la novità è l'aria calda e umida che ha incontrato e che lo ha alimentato».

La differenza di temperatura si chiama gradiente termico. Più alto è il gradiente tra il normale fronte freddo autunnale e l'anomalo calore italiano, e più i fenomeni saranno estremi.

Lo scirocco, nutrito da un Mediterraneo più caldo di 1,3 gradi rispetto all'era pre-industriale, sta diventando una minaccia cronica per il nostro territorio, era lo stesso che salendo dall'Adriatico due anni fa aveva causato i milioni di metri cubi di alberi abbattuti nel Triveneto dalla tempesta Vaia, un vento meridionale che le conifere alpine non avevano mai visto con questa forza e che non erano in grado di reggere.

C'è un nesso forte tra gli alberi e l'acqua. I danni di questi giorni sono in alta collina e montagna, un territorio che negli ultimi decenni non ha fatto che svuotarsi, mentre il bosco avanzava, fino a coprire il 39 per cento della superficie nazionale.

«Sento parlare di consumo del suolo, ma il vero problema nei territori colpiti è l'abbandono», spiega Marco Bussone, presidente di Uncem, l'Unione dei comuni e delle comunità montane, che ha già invocato 20 miliardi di euro, il 10 per cento del piano Next Generation EU, per mettere in sicurezza le aree interne, fondi non solo per ponti e dighe ma anche per attuare la strategia forestale nazionale (ancora in fase di completamento, a tre anni dal Testo unico, prima legge nazionale sul tema).

I boschi non gestiti sono un pericolo non solo per gli incendi, ma fanno anche fatica a drenare l'acqua delle piogge più violente.

L’illusione dell’abbondanza

Ad Alpstream, il centro per lo studio dei fiumi alpini con sede nel Parco del Monviso, conoscono bene il paradosso italiano dell'acqua. Dopo i mesi del fango, i fiumi torneranno a soffrire. È come se la violenza delle alluvioni creasse un'illusione di abbondanza. «Invece il problema grave dell'acqua oggi in Italia è la poca quantità», spiega Stefano Fenoglio, docente dell'Università di Torino e ricercatore di Alpstream.

«Ci stiamo rendendo conto sempre di più che non è una risorsa inesauribile ma una coperta che sta diventano troppo corta per tutti gli usi che ne vogliamo fare». Il settore più assetato è l'agricoltura. Siamo uno dei paesi europei che fanno maggiormente ricorso all'irrigazione, per oltre il 20,2 per cento della superficie agricola.

«La domanda di acqua per l'irrigazione è diventata più rigida, le coltivazioni ad alto valore aggiunto sono vulnerabili», spiega Antonio Massarutto, economista ed esperto di problemi ambientali legati alle risorse idriche.

«Hanno bisogno di mantenere costanti i valori di produzione, come ogni attività just in time, che deve offrire ciò che vuole il mercato, nei tempi, con la quantità e la qualità che desidera il mercato. L'agricoltura intensiva non può affidarsi ai capricci del clima, deve usare l'acqua anche quando non c'è».

E poi c'è il consumo di acqua potabile, che è una collezione di numeri preoccupanti. Siamo il paese europeo che ne prende di più dai suoi corpi idrici, con 156 metri cubi pro capite all'anno, e anche quello che ne spreca di più.

Secondo l'Istat il prelievo totale di acqua per usi civili è di 9,2 miliardi di metri cubi all'anno, un aumento totale di 614 milioni di metri cubi rispetto al 1999, andato di pari passo con l'incredibile tasso di perdite della nostra rete. Circa il 40 per cento dell'acqua immessa negli acquedotti viene dispersa.

«Il nostro sistema di gestione, come infrastrutture e regole, è calibrato per un mondo di acqua sovrabbondante rispetto alle necessità». È un mondo che non c'è più, ma ci comportiamo ancora come se ci fosse.

È una delle conseguenze più preoccupanti tra quelle tracciate dal Centro euro-mediterraneo: «Elevata competizione tra settori (usi civili, incluso turismo, industriale, produzione energia elettrica, agricoltura), soprattutto in estate quando la domanda è alta e la risorsa più scarsa». È una cosa tenere bene a mente, anche nella stagione in cui l'unico problema dell'acqua sembra il suo eccesso.

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