Nella Ue il clima è cambiato, così la lotta alla deforestazione è diventata un relitto di cui liberarsi

Sembra una vita fa: nel 2019 gli spaventosi incendi in Amazzonia dell’èra Bolsonaro (quasi un milione di ettari in fiamme) avevano innescato uno dei regolamenti ambientali più ambiziosi della storia europea, la Eu Regulation on Deforestation, che aveva lo scopo di contrastare l’importazione di prodotti derivanti da deforestazione. Due anni e mezzo dopo l’approvazione in parlamento, la sua entrata in vigore rischia di essere rinviata per la seconda volta, con la prospettiva di finire su un binario morto a tempo indeterminato. L’ecocidio ucraino, le foreste bruciano tra guerra e crisi climatica Cambio di clima La storia della lotta contro la deforestazione è uno dei più evidenti segnali di cambio di clima politico all’interno dell’Unione. Il regolamento era stato approvato nel 2023, dopo essere stato sottoposto a una consultazione pubblica a cui avevano partecipato 1,2 milioni di cittadini, il numero più alto nella storia dell’Unione. A creare quest’onda di consenso non c’era solo l’ansia per i roghi in Sudamerica, ma anche l’effetto Covid, l’onda verde alle Europee 2019, i Fridays for Future. Il risultato era stato un testo ambizioso e unico al mondo, che copriva non solo legname, ma anche olio di palma, cacao, caffè, soia, pelle, carne. Il regolamento imponeva un obbligo di due diligence, una responsabilità estesa di controllo, a importatori, intermediari, produttori, per accertarsi di non vendere sul mercato europeo merci che abbiano contribuito a nuova deforestazione. Era, in un certo senso, l’espressione massima del modello europeo di politiche ambientali, nei suoi pregi e difetti: un enorme quantitativo di burocrazia a carico delle aziende per un obiettivo alto che mirava a fare dell’Europa un modello globale per l’ambiente. La difesa delle foreste Indonesia promossa, il Brasile vuole cambiare Passi indietro Il regolamento doveva entrare in vigore a dicembre 2024, poi la scadenza era stata spostata a dicembre 2025. Ora siamo di fronte un ulteriore rinvio. È ironico che gli ultimi passi indietro siano avvenuti proprio mentre l’Europa negoziava per il clima alla Cop30 nella stessa Amazzonia che aveva innescato quello sforzo. A novembre il parlamento (con la solita nuova maggioranza anti-ambientalista di centrodestra e destra e i centristi spaccati) e il Consiglio, prima ancora che entrasse in vigore, hanno deciso per il nuovo rinvio, un ulteriore alleggerimento degli obblighi di controllo e una revisione del testo ad aprile. Il Trilogo di giovedì 4 dicembre dovrebbe allineare le proposte di parlamento e Consiglio, per arrivare a un voto conclusivo nella plenaria entro fine anno e bloccare l’entrata in vigore giusto prima che avvenga. È praticamente una corsa contro il tempo dell’Unione europea del 2025 per bloccare la stessa legge che l’Unione europea del 2023 aveva approvato a furor di popolo, facendone un manifesto politico. Trasformare le città in foreste non è una soluzione Interessi da difendere Giulia Bondi di Global Witness ha seguito la partita nei suoi cicli alti e bassi, e commenta innanzitutto così: «È triste da un punto di vista umano e politico vedere il lavoro e l’impegno finire in questo modo, è difficile da accettare». Le ragioni di questo epilogo sono diverse: la prima e più prevedibile è stata l’opposizione dei settori coinvolti, che si sono battuti per ottenere esenzioni, semplificazioni e rinvii. È una dialettica normale, prevista dal processo europeo. Il problema non è stato il lavoro serrato di lobbying, ma il fatto che si sia intrecciato con il cambio di umore nell’Unione sulle tematiche ambientali, diverse elezioni nazionali e il voto europeo del 2024 che hanno cambiato i pesi di parlamenti e governi. Per la politica europea la lotta alla deforestazione era una priorità nel 2021 e un relitto di cui liberarsi in nome della competitività nel 2025. «Anche paesi ambiziosi sulle politiche energetiche diventano ostili all’ambiente quando si parla di estrazione forestale, in particolare quelli scandinavi, che si sono messi a difesa delle loro fiorenti economie forestali», spiega Bondi. «Nel 2021 il regolamento aveva un grande sponsor politico, la Francia di Macron, che aveva fatto della lotta alla deforestazione in Amazzonia una bandiera». Quella bandiera è stata ammainata perché Emmanuel Macron ha evidentemente altro a cui pensare. C’è poi il contesto internazionale. Le norme erano pensate per ispirarne altre, ma non ci sono stati governi che abbiano fatto regolamenti simili, anzi, l’Unione ha dovuto affrontare i contenziosi portati all’Organizzazione mondiale del commercio da Malesia e Indonesia, che avevano giudicato il regolamento discriminatorio. «Questo ha rallentato la spinta, l’Europa si è sentita allo stesso tempo attaccata e isolata». Infine, è cambiata la società europea, di cui politica e istituzioni sono solo un riflesso. «La legge riguarda il consumo, le scelte che facciamo ogni giorno», spiega Bondi. «Con inflazione e crisi energetica la prospettiva di un aumento dei costi per i consumatori, non giusto ma prevedibile perché le aziende alla fine li scaricano su di loro, ha smorzato l’entusiasmo e il consenso». Intanto le foreste globali continuano a essere in bilico. Con la presidenza Lula i dati dell’Amazzonia sono migliorati rispetto al 2019. Se allarghiamo il disegno, però, secondo il World Resources Institute tra 2023 e 2024 la perdita di foresta primaria tropicale è aumentata dell’80 per cento. Sanità, ambiente e stabilità globale. Cercasi nuovi sistemi di governance