«Tutti in questa fase si stanno ponendo la stessa domanda: come possiamo attribuire gli effetti della crisi climatica a chi li ha causati? È una domanda sostanzialmente termodinamica: possiamo collegare uno specifico effetto del riscaldamento globale a uno specifico emettitore?». La domanda è così stata formulata da Justin Mankin, climatologo del Dartmouth College (Stati Uniti), co-autore di uno studio pubblicato su Nature secondo il quale la risposta è sì. Sì, è possibile può collegare la singola particella di Co2 in eccesso in atmosfera a uno specifica azienda fossile che ce l'ha mandata e da lì collegare a quella particella un danno che si può, in via teoria, chiedere di risarcire.

È uno studio teorico, che però arriva in un contesto in cui sempre più cause climatiche (oltre 2600 a fine 2024) stanno invadendo i tribunali di tutto il mondo, con i team di avvocati alla ricerca di strumenti legali per collegare cause e responsabilità. Ed è, questo, un problema più da fisici dell'atmosfera che da avvocati: nessuna ricerca era mai andata tanto a fondo su questa strada quanto quella pubblicata su Nature a fine aprile dal titolo Carbon majors and the scientific case for climate liability.

Secondo lo studio le 111 aziende fossili più grandi hanno causato 28mila miliardi di dollari in danni climatici solo per l'aumento di temperatura (senza considerare, quindi, tutti gli altri effetti, dagli uragani alle siccità), ma l'aspetto più interessante non è la cifra totale (ci sono tanti studi che propongono cifre simili) ma la capacità di scorporare il danno azienda per azienda.

In cima alla lista ci sono Saudi Aramco e Gazprom, che hanno causato più di 2mila miliardi di danni a testa. Metà dei danni fatti da 111 aziende fossili è riconducibile a dieci soggetti: Saudi Aramco, Gazprom, Chevron, ExxonMobil, BP, Shell, National Iranian Oil, Pemex, Coal India e British Coal Corporation.

I danni calcolati

Il metodo di questo studio parte da 137 anni di dati disponibili sulla produzione upstream di carbone, petrolio e gas da parte di queste aziende. La Co2 emessa rimane in atmosfera per secoli, quindi quella emessa dalle 111 aziende in questi 137 anni è ancora qui a causare danni.

La ricerca non può andare più indietro del 1887 perché non ci sono dati precedenti sulle emissioni, inoltre è in quegli anni che inizia la moderna industria petrolifera. L'analisi del Dartmouth College modella il contributo di queste emissioni al riscaldamento globale e poi stima le perdite economiche connesse a questo riscaldamento, dividendo sia l'aumento di temperature che i danni per ogni singola azienda, fornendo un database consultabile da chiunque voglia fare causa alle aziende per specifici danni (un po' la strada provata dal contadino peruviano Luciano Lliuya contro l'azienda energetica tedesca RWE).

È possibile per esempio calcolare che Chevron ha causato da sola con le sue attività un aumento della temperatura terrestre di 0.025 gradi in questi 137 anni. L'uso dei modelli permette di distinguere sempre meglio, all'interno della massa informe dell'aumento di temperature, il contributo di singole aziende.

Secondo quanto detto da Mankin ad Associated Press nel presentare la ricerca «Nel passato l'argomento più usato contro l'attribuzione di specifici rapporti di causa ed effetto era questo: chi dice che è stata proprio la mia particella di CO2 a causare i danni in questione? Ecco, questa ricerca dimostra che questo argomento, da un punto di vista scientifico, non vale più: si possono rintracciare i singoli emettitori dentro l'aumento di temperature».

Ovviamente, questo è solo uno studio, per quanto solido, pubblicato su una ricerca scientifica, per quanto prestigiosa. Non è uno strumento dal valore legale. Come lo definiscono gli stessi autori, si tratta di un «proof of concept», la dimostrazione concettuale che da un punto logico, scientifico e termodinamico, le responsabilità climatiche delle aziende si possono misurare.

Come ha però giustamente scritto Axios, assegnare una causalità climatica «non è solo un concetto scientifico, ma anche morale, politico e per certi versi metafisico», quindi è da vedere quanto la società, i governi e i tribunali decideranno di adottare questo prototipo scientifico come uno strumento operativo. A queste osservazioni, Mankin ha risposto che «parte del punto di questa analisi era proprio illustrare che questo tipo di attribuzione è possibile e può essere fatta a una miriade di scale diverse, da quella dell'economia di una nazione a quella di un settore, di un'azienda, di un singolo jet privato».

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