Notti Tropicali, è così che si dice quando la temperatura non scende mai sotto i 20 gradi, neanche di notte. Nei prossimi trent’anni l’Italia potrebbe averne 18 in più, a chi non piacerebbe? Peccato che ci siano parecchie controindicazioni: «Se la temperatura minima rimane al di sopra del valore di 20 gradi centigradi, il corpo umano non ha la possibilità di rinfrescarsi dopo una giornata di caldo intenso e ci sono fasce della popolazione, come anziani e persone malate, che sono particolarmente vulnerabili a questa difficoltà di raffrescamento, pertanto diversi studi correlano l’aumento delle notti tropicali con un aumento della mortalità». 

Lo spiega la prima analisi integrata Analisi del rischio. I cambiamenti climatici in Italia presentata il 16 settembre ed elaborata dal Centro euromediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc). Nato nel 2005 per iniziativa di quattro ministeri, oggi collabora con il gruppo dell’Onu sul cambiamento climatico (Ipcc), la principale autorità scientifica in materia.

Dall’aumento delle notti tropicali, al dissesto idrogeologico, all’innalzamento dei mari, la situazione in Italia diventerebbe un’emergenza economica e sociale dopo il 2050 se l’aumento medio della temperatura superasse i 2 gradi centigradi arrivando a 5 gradi al 2100. A soffrirne di più sarebbe il sud.

I pericoli

Negli ultimi 20 anni è aumentato del 9 per cento il rischio di disastri ambientali e da qui ai prossimi 80 anni la situazione rischia di peggiorare.

Emblematici sono gli esempi di Roma dove, tra 2010 e 2019, si sono verificati 18 allagamenti a seguito di piogge intense. A Milano gli allagamenti sono stati 23, dei quali ben 17 dovuti a esondazioni dei fiumi Seveso e Lambro, calcola Legambiente. Dall’altra parte c’è il rischio di siccità, infatti ai nubifragi corrispondono giorni senza pioggia.

Solo due anni fa Roma ha dovuto chiudere tutti i suoi “nasoni”, le tipiche fontanelle della capitale, per la mancanza d’acqua: non pioveva e il livello del lago di Bracciano, da cui la capitale prende l’acqua, si era abbassato. Entrambe le tendenze risultano in crescita per via dell’aumento delle temperature e variano da regione a regione.

Per il periodo 2021-2050 per le precipitazioni complessive potrebbero crescere tra il 12 per cento e il 16 per cento in primavera in Emilia-Romagna, e calare tra l’8 per cento e il 12 per cento in inverno in Sicilia.

Tutto il paese è a rischio, secondo il rapporto del Cmcc: il 91 per cento dei comuni italiani è esposto al pericolo di frane e alluvioni, ma 7 milioni di persone vivono o lavorano in aree a “maggiore pericolosità”, si va da Genova a Messina.

L’acqua alta

Ondate di calore e nubifragi. Secondo le proiezioni climatiche ci si attende un aumento di questi fenomeni, soprattutto in città, dove l’asfalto e l’aumento degli edifici hanno peggiorato il consumo di suolo e l’acqua non riesce a defluire.

A questo si aggiungono i pericoli sulle coste. L’acqua alta a Venezia l’anno scorso ha raggiunto livelli che non vedeva dal 1966.

Nel periodo 2021-2050 si prevede, su base annuale, un aumento del livello del mare che va da oltre 6 centimetri per il Mare Adriatico a oltre 8 centimetri per il Mar Tirreno, crescerà dunque il pericolo di inondazioni.

Anche l’Ente per le nuove tecnologie l’energia e l’ambiente (Enea) si è allarmato sul tema, e in uno studio dell’anno scorso sul livello del Mediterraneo ha specificato che il mare potrebbe creare danni in 40 aree italiane, con inondazioni da Venezia a Napoli.

Gli impatti dei cambiamenti climatici in Italia aumentano rapidamente e in modo esponenziale al crescere dell’innalzamento della temperatura, con valori compresi tra lo 0,5 per cento del Pil nel caso in cui l’aumento di temperatura sia contenuto entro i 2 gradi (che è lo scenario più ottimistico), fino all’8 per cento del Pil a fine secolo nella versione peggiore con alte emissioni di gas serra. Ogni punto di Pil corrisponde a circa 17 miliardi di euro.

La fine del secolo

Con un aumento di 3 gradi al 2070 le infrastrutture come le reti elettriche sarebbero danneggiate e i blackout sarebbero più frequenti.

I costi diretti in termini di perdita attesa di capitale infrastrutturale si aggirerebbero tra gli 1 e i 2,3 miliardi di euro annui nel periodo 2021-2050, e tra gli 1,5 e i 15,2 miliardi di euro annui nel periodo 2071-2100.In campagna i contadini perderebbero tra gli 87 e 162 miliardi di euro al 2100, per via della siccità e dell’assenza d’acqua, per non parlare della perdita di valore dei terreni ancora da calcolare.

Oltre alla forte riduzione del coltivato, i prodotti avrebbero meno potere nutritivo. Un fronte ancora da approfondire.

Aumenterebbero i rischi di incendio con un allungamento tra i venti e i quaranta giorni della stagione in cui boschi rischiano le fiamme. Lo studio prevede la possibilità di migrazioni verso le coste, che però saranno a rischio inondazioni per l’aumento del livello del mare.

Per le aree costiere, nello scenario peggiore, si attendono già al 2050 danni che vanno dai 900 milioni di euro ai 5,7 miliardi a fine secolo.

La montagna chiuderebbe per mancanza di neve. Solo il 18 per cento di tutte le stazioni operanti nel complesso dell’arco alpino italiano avrebbe la neve sufficiente a garantire la stagione invernale.

I risultati, conclude lo studio Cmcc, evidenziano che la maggior parte dei settori dell’economia italiana dovrà confrontarsi con impatti negativi dovuti ai cambiamenti climatici e la disuguaglianza economica tra le regioni subirà un peggioramento. I più colpiti saranno i più poveri.

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