È raro che un’immagine riesca a essere allo stesso tempo effetto, illustrazione e metafora di una situazione, ma il crollo dell’insegna Generali della torre Hadid nel quartiere CityLife a Milano è riuscito a essere tutte e tre le cose. Sembrava quasi un’allucinazione da ondata di calore, proprio come quella che Milano sta attraversando da giorni, insieme a decine di altre città italiane. I vigili del fuoco hanno parlato di stress da caldo come possibile causa dell’incidente, che non ha causato feriti.

Le indagini che ci diranno quanto fosse accurata la metafora, ma intanto c’è la scienza a dirci che non c’è più niente di anomalo nel caldo che osserviamo. Come spiega Paola Mercogliano, esperta di adattamento del Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici (CMCC), «questa è la nuova estate. I regimi delle piogge ci mettono più tempo a cambiare, ma il caldo è l’emergenza più immediata. Abbiamo un disperato bisogno di smettere di parlarne come una questione meteorologica o ambientale. Il caldo è un’emergenza sociale e sanitaria».

Caldissimo giugno

Ecco la «nuova estate» di cui parla Mercogliano: secondo il più citato studio di attribuzione sul tema (World Weather Attribution e Croce Rossa), il cambiamento climatico ha aggiunto un mese in più di caldo estremo all’anno alla vita di quattro miliardi di persone. La nostra mente si adatta più velocemente del nostro corpo: ormai siamo convinti che giugno sia sempre stato così, ma non è sempre stato così.

Le ondate di calore di giugno con almeno tre giorni consecutivi sopra i 28°C sono diventate dieci volte più probabili. Come ha scritto il climatologo Giulio Betti, «giugno, in Italia, è tra i mesi che si sono scaldati maggiormente, perdendo quasi del tutto le caratteristiche primaverili e di mitezza e diventando un mese estivo in piena regola».

Ormai si fa fatica a citare il meme ispirato ai Simpson che due anni fa era sembrato innovativo e spiritoso: non è il giugno più caldo di sempre, ma più fresco del resto della tua vita. È passata la voglia di scherzarci, perché le ondate di calore sono emergenze sanitarie da migliaia di morti, come quella dell’estate del 2022, 18mila vittime nel nostro paese, un terzo di quelle europee, secondo uno studio pubblicato su Nature nel 2023. L’Italia è il paese europeo con la più alta mortalità dovuta al caldo e il più colpito in termini di popolazione, con 295 decessi dovuti al caldo per milione (media europea: 114 per milione).

Emergenza sanitaria

Nel 2023 per la prima volta l’Oms aveva dichiarato il caldo emergenza di salute pubblica, perché i dati erano diventati inequivocabili: la mortalità in Europa è cresciuta del 30 per cento negli ultimi vent’anni e le morti sono aumentate del 94 per cento. Sono «morti invisibili», che non riescono a diventare un tema di salute pubblica: i decessi da caldo di questi giorni saranno contati come tali solo nei prossimi anni.

Il primo problema di adattamento sanitario alle nuove estati è statistico: è difficile contare le morti da ondate di calore, perché spesso il caldo aggrava condizioni pre-esistenti, come malattie respiratorie e cardiovascolari.

Dasgupta Shouro è un ricercatore del CMCC che studia gli impatti del clima sulla salute. Spiega che «il metodo più usato è quello della mortalità in eccesso: il problema è che per avere numeri affidabili con questo strumento serve almeno un anno». Con questo sistema si confrontano i dati di mortalità nelle estati più calde con quelli di estati senza global warning, la differenza è la mortalità in eccesso dovuta al caldo.

Conoscere i dati con uno o due anni di ritardo rispetto agli eventi è un problema per un paese che non riesce a concentrarsi sui problemi reali del presente, figurarsi sulle vittime di un’ondata di calore di due anni prima. «L’alternativa è migliorare la raccolta dei dati che arrivano dagli ingressi in ospedali e pronto soccorso, creando uno standard nazionale per registrarli come ricoveri da ondata di calore. Sarebbe fondamentale che l’Italia lo facesse, visto che è vulnerabile sia da un punto di vista climatico che demografico, col suo terzo di popolazione sopra i sessantacinque anni».

Agricoltura e industria

Secondo Shouro stiamo anche sottovalutando gli effetti del caldo sul mondo del lavoro, su chi opera in agricoltura ma anche in fabbrica. Poche settimane fa Carlo Calenda ha ironizzato sullo sciopero da caldo nello stabilimento Stellantis di Pomigliano d’Arco. Non ci sarebbe molto da scherzare, secondo Shouro.

«Nei prossimi anni osserveremo sempre più infortuni da calore. L’energia che il corpo impiega per raffreddarsi quando fa troppo caldo viene sottratta ad altri compiti, ed è un problema per chi svolge lavori fisicamente pesanti in condizione di maggiore debolezza fisica. Inoltre, il caldo provoca un decadimento cognitivo che rende più probabili gli errori e quindi anche gli incidenti».

Secondo i due esperti del CMCC serve un cambiamento culturale complessivo in come la società, le città e gli individui guardano alle ondate di calore. Non sono pericolose solo quelle con temperature da record e non sono pericolose solo per gli anziani. Come spiega Dasgupta Shouro, «il caldo lavora sul nostro corpo con un impatto cumulativo, fanno più male quattro giorni di fila sopra i 32°C che uno sopra i 38°C. E i bambini sotto i tre anni corrono quasi gli stessi rischi degli anziani, perché il loro corpo non è ancora pronto a smaltire il calore in eccesso».

Come reagire

Secondo Mercogliano, per contenere gli effetti e salvare vite umane serve un ampio spettro di iniziative di adattamento, dall’early warning alle foreste urbane e ai rifugi climatici. A monte servirebbe una governance più consapevole dell’emergenza che arriverà ogni estate: «Il piano di adattamento nazionale è stato pubblicato e mai implementato. Doveva nascere un osservatorio nazionale, mai successo, eppure i dati sarebbero fondamentali. In assenza del governo, città e regioni vanno in ordine sparso, anche con progetti interessanti, ma senza coordinamento, perché il caldo è ancora un problema sottovalutato».

È come se le ondate di calore ci avessero fatto finire in un tunnel cognitivo: sottovalutando il problema, non raccogliamo abbastanza dati. Senza dati, continuiamo a sottovalutare il problema. Quelli che sarebbero utili arrivano con anni di ritardo. E intanto le persone muoiono.

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