Il concerto di Elisa a San Siro del 18 giugno sarà una via di mezzo tra una festa e un prototipo per rispondere alla domanda: il live di un'artista può essere in linea con la lotta alla crisi climatica o dobbiamo rassegnarci al fatto che le nostre serate più sentimentali e divertenti saranno anche le più inquinanti? Il precedente dei Massive Attack, l’Eras Tour di Taylor Swift, le accuse di greenwashing ai Coldplay
Il 18 giugno c’è uno dei concerti dell’estate milanese a San Siro, è il periodo dell’anno in cui lo stadio si trasforma da teatro di sogni e delusioni per Milan e Inter a punto di arrivo delle carriere musicali italiane. Quello del 18 giugno però sarà diverso dagli altri. È la sera del concerto di Elisa, il suo debutto a San Siro sarà una via di mezzo tra una festa e un prototipo, che prova a rispondere alla domanda: il live di un’artista può essere in linea con la lotta alla crisi climatica o dobbiamo rassegnarci al fatto che le nostre serate più sentimentali e divertenti saranno anche le più inquinanti?
Elisa ha preso in carico la missione, da eccezione dentro una scena musicale italiana per la quale l’ecologia di fatto non esiste. La ricetta del concerto di San Siro, messa a punto con la consulenza di Music Innovation Hub, è fatta di fonti energetiche rinnovabili, riuso dei vestiti di scena, raccolta differenziata dentro e fuori lo stadio, e un progetto di rigenerazione urbana da lasciare in eredità alla città.
Un’estate fa
Nell’estate del 2024 erano stati i Massive Attack a tentare un’impresa simile. Lo storico gruppo trip hop aveva tenuto un concerto a Bristol disegnato con la consulenza di uno dei più importanti centri studi britannici sul clima, che ha addirittura ottenuto il risultato di ridurre le emissioni del 98 per cento, attraverso una serie di scelte radicali sul cibo (solo prodotti vegani) e sui trasporti (erano incoraggiati i fan locali, chi veniva con mezzi pubblici aveva un accesso Vip), oltre che sull’energia.
Quelli di Elisa o Massive Attack sono tentativi di affrontare un problema enorme: la musica inquina, soprattutto perché i tour inquinano. I due terzi delle emissioni di settore avvengono quando band e cantanti portano in giro le loro canzoni. Live Nation, uno dei principali operatori live del settore, nel 2023 aveva annunciato di aver organizzato 50mila eventi nel mondo, muovendo 145 milioni di persone.
Per ogni concerto, si costruisce una specie di cittadella ad hoc fornita di energia (quasi sempre generatori a diesel) ed equipaggiamenti, che poi andranno portati nella città o nel paese successivo. L’Eras Tour di Taylor Swift, per dare l’idea della scala, è stato composto da 152 concerti in cinque continenti nell’arco di 21 mesi.
Ispirare il cambiamento
Come spiega Andrea Rapaccini, presidente di Music Innovation Hub al quale Elisa ha affidato il suo cammino di sostenibilità, «il sistema industriale musicale non è abituato a fare investimenti oltre i sei, dodici mesi dei concerti, ma una transizione ecologica di settore ha bisogno di un orizzonte di dieci anni. Oggi il sistema è fermo perché è governato da poche multinazionali che fanno enormi profitti con investimenti di brevissimo termine, tutti i soldi vanno nella produzione di show sempre più grandi o per bloccare l’artista e strapparlo alla concorrenza».
In questo scenario, l’unica fonte di cambiamento sono gli artisti stessi, gli unici che hanno la forza di indirizzare un’industria che non ha una gran voglia di cambiare. Come spiega Rapaccini, «il compito principale della musica è ispirare il cambiamento, ma per farlo bisogna presentarsi in modo climaticamente credibile». E quindi arriviamo al problema
: per essere credibili si devono tagliare quelle maledette e missioni.Al riguardo ci sono tre approcci. Il primo è il più basilare disinteresse, lasciare che la grande macchina capitalista della musica live funzioni come ha sempre funzionato, continuare a spostarsi su jet privati, al massimo investire in carbon offsetting, cioè piantare alberi per compensare la gigantesca impronta di carbonio dei tour.
La seconda è la via riformista, i cui rappresentanti più noti sono i Coldplay. Nell’ultimo tour hanno tagliato della metà le emissioni attraverso una serie di misure, certificate a fine 2024 da un Emissions Update, un bilancio di sostenibilità della band, con il lavoro fatto, i costi sostenuti, i risultati ottenuti. La parte più significativa della riduzione è stata aver usato un sistema a batterie (e non a diesel) per luci e audio. È la strada seguita anche da Billie Eilish, che lavora con Reverb, una società di consulenza Usa fondata da due ex musicisti che si sta specializzando nella transizione musicale.
Il problema è che tra le partnership dei Coldplay c’era anche Neste, un gruppo finlandese che fornisce biocarburanti ma produce anche fonti fossili. A Chris Martin è quindi arrivata l’accusa di fare greenwashing.
La via radicale
La terza via è quella radicale, il metodo Massive Attack, che hanno messo su un concerto a prova di Extinction Rebellion, che ha superato l’esame dei climatologi e che loro assicurano essere del tutto replicabile. Si può replicare, ma non si può improvvisare. Per arrivare a questo risultato, il gruppo ha impiegato quattro anni.
La prima roadmap messa insieme al Tyndall Centre for Climate Change Research risale al 2021. È stato un processo di trasformazione radicale, che ha investito i processi, ma anche l’identità della band, l’estetica dello show, la visione del mondo. Il live di Bristol rimane un evento storico, la dimostrazione che si può organizzare uno show da 30mila persone praticamente a zero emissioni, e la gente si diverte uguale.
Plantasia
La strada di Elisa è a metà tra Coldplay e Massive Attack. Il pezzo più innovativo del progetto è la parte di rigenerazione urbana. Si chiama Plantasia, come l’album «per le piante» di Mort Garson, è la restituzione alla città di un’ex cava contaminata a due chilometri dallo stadio, che sarà trasformata in un parco urbano «sonoro» con percorsi immersivi. Serve un milione di euro, il progetto promosso da Elisa sarà cofinanziato da fondi pubblici, da un crowdfunding, dagli altri artisti di passaggio a San Siro che vorranno contribuire.
Come spiega Rapaccini, «sul breve termine c’è una riduzione di margine».
Fare musica sostenibile costa di più e fa guadagnare di meno, almeno all’inizio. «Una parte dell’investimento la fa l’artista, una parte il promoter, una parte la deve fare il pubblico, inteso nei due sensi della parola». Pubblico come i fan, che devono accettare dei costi sul biglietto (già sempre più caro), ma anche il settore pubblico, che deve avviare un piano di transizione delle sedi dei concerti, fondamentale per non disperdere gli sforzi.
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