L’Italia dell’inizio dell’estate del 2025, vista da una mappa interattiva del combustibile della Fondazione Cima, è piena di macchie rosse acceso come quelle di un turista pallido che ha passato la giornata in spiaggia senza protezione solare. Ognuna delle macchie rappresenta un elevato rischio di incendi.

Queste mappe sono un monito per la stagione del fuoco che vedremo in Italia nei prossimi mesi: le macchie più scure sono i territori gravemente infiammabili, sparsi in modo disordinato su tutta la penisola. Il «combustibile» è la vegetazione che, in tutti gli incendi, è sia nutrimento sia mezzo di locomozione del fuoco, come abbiamo visto pochi mesi fa a Los Angeles.

«Le ultime stagioni del fuoco catastrofiche in Italia sono state nel 2007, nel 2012, nel 2017, nel 2021, a distanza di massimo quattro o cinque anni tra loro», spiega Paolo Fiorucci, responsabile incendi boschivi di Cima, che è il centro di competenza della Protezione civile italiana. 2007, 2012, 2017 e 2021 vuol dire che, statisticamente, la prossima stagione davvero difficile per gli incendi sarà questa estate o al massimo la prossima, ma gli indizi climatici sembrano suggerire che ci siamo già, e che dobbiamo prepararci.

Piovosità e siccità

«La ricetta di una stagione problematica è la sequenza di una primavera piovosa e un’estate secca, perché la pioggia fa crescere in modo vigoroso le piante, aumentando il combustibile, e la siccità le fa seccare, rendendo quel combustibile infiammabile».

Sulla piovosità ci siamo, sulla siccità ci stiamo arrivando, le condizioni di aridità del suolo di fine giugno sono quelle che di solito si ritrovano a fine luglio. In questo momento c’è da fare attenzione alle condizioni delle regioni meridionali, con biomassa in eccesso in particolare in Calabria e Puglia, e delle isole: la Sardegna ora è quasi per metà rosso acceso.

Spiega Fiorucci: «Le conseguenze di un incendio dipendono da dove e quando metti il cerino». Il «quando» sono le condizioni meteo di quel determinato momento dell'anno, il «dove» è, appunto, la mappa del combustibile. Se le condizioni meteo sono calde e ventose, e il combustibile è esteso e seccato, abbiamo gli elementi per un incendio ingovernabile.

Dov’è il «combustibile»

Tra questi due fattori di rischio non abbiamo nessun controllo sul primo, il meteo possiamo solo prevederlo, non cambiarlo, ma in teoria ne avremmo di più sul secondo: dov’è il combustibile e come si comporta la vegetazione.

Il problema della gestione degli incendi in Italia, però, è che si è fatta molta più attenzione all’approccio penale (perseguire e arrestare chi buttava il cerino) senza guardare abbastanza a dove lo si buttava, cioè la pianificazione del territorio e della vegetazione: in Italia solo il 15 per cento della superficie boschiva ha un piano di gestione, che è l’unico antidoto a lungo termine alla proliferazione del combustibile.

Mappe come quelle sviluppate da Fondazione Cima sono uno strumento di prevenzione importante, perché basate su una metodologia che permette di rappresentare il comportamento del fuoco in modo dinamico.

La comunicazione

Sostanzialmente, dividono il territorio italiano in frammenti da venti metri, e su ciascun frammento pongono la domanda: cosa succede se il cerino cade proprio qui? Queste mappe del combustibile contengono informazioni vitali per le istituzioni e i cittadini (magari non lo sai, ma stai trattando per comprare una casa circondata da vegetazione molto infiammabile, oppure stai andando in vacanza in un campeggio dentro una pineta che dal punto di vista degli incendi è come dormire una scatola di fiammiferi) ma non possono essere diffuse alla cittadinanza per gli stessi motivi: sono troppo facili da leggere e contengono informazioni potenzialmente pericolose.

«Quella sugli incendi è una comunicazione delicata da fare con il grande pubblico», conferma Fiorucci. Se una mappa del genere fosse consultabile liberamente, sarebbe a disposizione anche dei potenziali piromani, che saprebbero con una risoluzione a venti metri dove quella tanica di benzina non farebbe nessun danno e dove invece, magari a un ettaro di distanza, provocherebbe una catastrofe.

Un altro problema della prevenzione del rischio incendi è che il nostro territorio non solo non pianifica per il futuro ma soffre anche l’eredità di gestioni sbagliate del passato, che ad esempio hanno riempito le litoranee di pini ed eucalipti, due tra le specie vegetali più infiammabili.

E poi c’è l’ultimo snodo: a chi portare questi dati? Chi le sta leggendo queste mappe? I centri di ricerca che lavorano sul rischio incendi in Italia hanno il problema di rapportarsi con un governo del territorio frammentato e spesso irrazionale. La competenza sui boschi e su lotta e prevenzione degli incendi è regionale, ma la cura del verde e la protezione civile sono di responsabilità comunale. «Per ridurre la concentrazione di combustibile e la pericolosità degli incendi è necessario coinvolgere i sindaci, gli unici che possono intervenire con i cittadini per tirarli dentro e spiegargli il pericolo».

Prevenzione

Due terzi delle aree boschive in Italia sono di proprietà privata, spesso drammaticamente parcellizzata con i passaggi generazionali. «Solo il sindaco può guardare una mappa e vedere che quell’ettaro rosso corrisponde, per fare un esempio, al vecchio orto di un compaesano che è emigrato trent’anni fa, è stato abbandonato, si è coperto di vegetazione spontanea e richiede un intervento urgente. Servono meccanismi virtuosi per coinvolgere la popolazione, anche perché gli interventi sugli alberi non sempre sono immediatamente popolari e vanno spiegati bene».

Una prima sperimentazione di queste mappe del combustibile per la prevenzione incendi verrà fatta attraverso l’Arpa in Calabria, che le userà per creare dei bollettini sul rischio incendi da mandare ai sindaci, che così sapranno in tempo reale qual è la pericolosità e l’infiammabilità della vegetazione all’interno del loro comune. La regione sta puntando anche sui droni per monitorare il rischio incendio, i bollettini delle mappe serviranno a inviarli lì dove il fuoco può fare più danni. «È un inizio», conclude Fiorucci, «ma la scala temporale per la programmazione contri gli incendi è ventennale, trentennale».

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