La giornata internazionale dell'acqua, che si celebra ogni 22 marzo da trent'anni, quest’anno cade nel mezzo di una crisi idrica globale che non risparmia nessun continente o livello di sviluppo: Europa occidentale e meridionale, Stati Uniti, America Latina, Africa orientale, Cina. Alla fine di questo decennio la domanda di acqua per bere, lavarsi, vivere, coltivare e produrre supererà la disponibilità della risorsa del 40 per cento su scala mondiale, secondo il nuovo rapporto della Global Commission on the Economics of Water.

«Nessuna persona, luogo, economia o ecosistema verrà risparmiato dalla scarsità d'acqua», scrivono gli esperti che hanno redatto lo studio, secondo il quale questa crisi idrica mondiale è all'incrocio di due linee di collasso: la prima sono i cambiamenti climatici, che intensificano e rendono più lunghe e frequenti le siccità. La seconda è la cattiva gestione della risorsa.

Lo studio ha una visione globale, ma l’incrocio di crisi climatica e gestione scadente è anche una descrizione perfetta dell'Italia: il riscaldamento globale ha sconvolto le precipitazioni, sottratto neve, messo in ginocchio i ghiacciai e ci presenta un conto da un potenziale di 40per cento di acqua in meno entro fine secolo (dati Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici). Quello che facevamo con 100 litri, dobbiamo imparare a farlo con 60. Dall'altra parte, l'acqua in Italia viene immessa in un sistema idrico che per decenni ha tollerato e incoraggiato (con tariffe tra le più economiche d'Europa) gli sprechi. I dati Istat dicono 42 per cento di dispersione su scala nazionale, con punte locali che superano il 70 per cento.

Come affrontare la crisi

Una strategia idrica integrata, come quella chiesta da tutti i soggetti con una visione di sistema (Legambiente, l'Associazione delle bonifiche fondiarie, l’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile), passa da tre vie maestre. Uno: ridurre le perdite. Due: usare l'acqua in modo più razionale (più acque reflue e depurate in agricoltura, come da normative europee). Tre: costruire infrastrutture per raccogliere le precipitazioni (invasi e laghetti). Se su recuperare e trattenere l'acqua siamo indietro, qualcosa si sta muovendo sulle perdite, soprattutto dal punto di vista del più sottovalutato degli strumenti ecologici: il digitale.

«Oggi trovare una perdita sulla rete idrica è come cercare un ago in un pagliaio, ci vuole una squadra attrezzata con rilevatori acustici e cuffie, che lavorano come i cercatori di monetine sono la sabbia, verificando un chilometro al giorno. Così possono servire anni per trovare un guasto su una rete di quasi 500mila chilometri , soprattutto contando che la maggior parte delle perdite sono piccole», spiega Massimiliano Evangelista, responsabile Transizione Ecologica di Almaviva.

Il gruppo, con la controllata Almawave a fare sviluppo tecnologico, è uno di quelli che stanno lavorando sulla sfida di portare innovazione nella gestione idrica e trascinare gli acquedotti dall'era analogica a quella digitale, anche grazie a un capitolo di spesa del PNRR da 400 milioni di euro, che ha mobilitato tutti i big della trasformazione digitale, da Engineering ad Almaviva, appunto. Questi ultimi sono al lavoro su 14mila chilometri di rete in quattro regioni del sud Italia e sono un buon punto di osservazione per comprendere come la digitalizzazione sia uno strumento per aumentare la resilienza idrica.

I modelli di smart water management partono innanzitutto dalla creazione di un gemello digitale dell'infrastruttura. Negli ultimi anni l'aumento della potenza di calcolo e modellazione ha permesso l'apertura di questa frontiera: ricostruire interi ecosistemi in digitale per studiarne i comportamenti, simulare gli scenari e verificare virtualmente gli effetti delle politiche prima di implementarle nel mondo reale.

L'Unione Europea sta per esempio costruendo il suo digital twin dell'oceano, e diverse città stanno mettendo a punto la versione virtuale di se stesse. Il gemello digitale di un acquedotto si integra poi con la modellazione idraulica: sapere dove passa l'acqua, come passa, con che flusso, a che pressione. Gli altri due tasselli sono i sensori sulla rete e le immagini satellitari. Grazie a questi quattro strati di digitalizzazione si potrà scoprire una perdita in giorni invece che in mesi o in anni, e grazie all'intelligenza artificiale si potranno effettuare manutenzioni predittive: riparare il tubo non dove si è rotto, ma dove potrebbe rompersi. La stima di Almaviva è che con questi strumenti digitali si possano ridurre le perdite del 20 per cento.

Nel 2018 una rete di sensori fu tra le misure decisive per salvare i residenti di Cape Town, in Sudafrica, dal «day zero» della loro catastrofica crisi idrica, il giorno in cui l'acqua si sarebbe potuta ricevere l'acqua solo mettendosi in fila ai razionamenti. Senza arrivare a esempi così estremi, Valencia è stata una delle prime città europee a digitalizzare la propria rete, risparmiando 7,7 milioni di euro in gestione ogni anno. I lavori di digitalizzazione di questo primo tratto di rete dovrebbero concludersi a settembre e i gemelli digitali degli acquedotti (tra gli altri) di Catania, Agrigento e Napoli essere operativi a dicembre. Da lì sapremo se riusciremo ad avvicinarci alla Danimarca, il paese europeo leader nell'acqua digitale, dove oggi le perdite della rete sono solo il 9 per cento. 

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