Oltre 25 climatologi italiani hanno chiesto a Meloni di sostenere la riduzione del 90 per cento delle emissioni entro il 2040. L’appello presenta una visione politica ambiziosa
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Oltre 25 tra i più importanti scienziati del clima in Italia hanno chiesto al governo Meloni di sostenere un nuovo obiettivo europeo di riduzione delle emissioni di gas serra del 90 per cento al 2040, un passaggio che è fondamentale per arrivare alla tappa conclusiva del percorso di decarbonizzazione, lo zero netto dieci anni dopo, al 2050 (questo è invece un impegno più preso e, in teoria, non più negoziabile).
Il sottotesto della lettera aperta dei climatologi italiani all’esecutivo è tutto politico: il nostro governo è da tre anni tra le forze più frenanti dell’Unione europea sull’ambizione climatica. Dopo lo scontro sul phase-out dell’auto termica al 2035, il nuovo fronte è la decisione su quanto tagliare tra il 2030 e il 2040.
La Commissione aveva proposto il 90 per cento, i paesi stanno trattando, l’Italia è tra quelli apertamente contrari. Tra gli scienziati che hanno firmato l’appello ci sono il Nobel Giorgio Parisi, Stefano Caserini (Università di Parma) e Antonello Pasini (Cnr).
Un cambio di passo
È difficile valutare quanto peso possano avere i climatologi nell’orientare le opinioni dentro il governo e le sue scelte europee, però la lettera aperta, insolitamente specifica e frontale, è l’ennesimo cambio di scenario del rapporto tra politica, scienza e società che stiamo osservando in questi anni turbolenti.
Gli scienziati, per altro, vanno oltre il semplice dato termodinamico, fanno un ragionamento più da attivisti, inseriscono il taglio delle emissioni in un’idea di futuro e di mondo. La lettera non si limita a sottolineare i gravi impatti climatici già visibili in Italia, ma offre letture più politiche, sia sulle opportunità legate a una decarbonizzazione ambiziosa e coerente, sia sulle responsabilità storica del nostro paese nella riduzione delle emissioni.
«Puntare a una riduzione del 90 per cento delle emissioni entro il 2040 non è solo una necessità ambientale, è un’opportunità strategica per l’Europa. Senza una traiettoria climatica definita e basata sulla scienza, rischiamo di frenare la transizione e perdere competitività proprio mentre il mondo accelera», ha spiegato Stefano Caserini, docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici all’Università di Parma.
Accerchiamento
Come ha di recente scritto Lancet in un editoriale, «chiedersi se la scienza dovrebbe o meno essere politica ormai suona come una domanda retorica. Per noi, l’unica risposta logica è che la scienza deve essere politica, per proteggere non solo il progresso scientifico ma anche la società nella sua interezza, in particolare i suoi membri più vulnerabili».
La presidenza Trump, con i suoi attacchi frontali contro la libertà di ricerca, ha accelerato questo processo. Ad aprile era uscita una lettera durissima della US National Academies of Sciences, Engineering, and Medicine, duemila firme, inclusi una decina di premi Nobel, che denunciavano «il clima di terrore» sceso sulla comunità scientifica, con gli studiosi che sempre più spesso ammettono di rimuovere la propria firma dalle ricerche, o di abbandonarle prima del termine per paura di ritorsioni, o di riscrivere richieste di finanziamento per eliminare concetti scientificamente accurati ma sensibili, nell’èra Trump, come climate change.
Jochem Marotzke, direttore del Max Planck Institute, ha raccontato che uno degli scienziati del clima statunitensi con cui collabora, membro di uno dei centri di ricerca più presi di mira da Trump (il Noaa), gli ha chiesto di poter usare la sua mail privata e non quella governativa per comunicare, per evitare di essere intercettato.
Il senso di accerchiamento che sta vivendo la comunità scientifica oltreoceano è qualcosa senza precedenti e ha accelerato un processo che era già in corso, come la ridiscussione profonda dell’idea di neutralità politica della scienza.
Un altro gruppo di scienziati ha contestato l’ordine esecutivo che l’amministrazione Usa ha chiamato Restoring Gold Standard Science, che dà agli ufficiali pubblici un potere del tutto arbitrario di tagliare i fondi a qualsiasi ricerca. «Distruggerà la scienza per come la conosciamo», hanno scritto sul Guardian.
Il tono della lettera degli scienziati italiani a Giorgia Meloni e Gilberto Pichetto Fratin è molto diverso, ma dimostra che anche in Europa e in Italia stanno diminuendo le resistenze a una partecipazione politica attiva.
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