Green e pompe di calore, l’Italia (senza strategia) ha un’occasione d’oro

Davvero l’Italia è ormai fuori da tutte le partite industriali della transizione green e ha tutto da perdere dalle innovazioni in corso su rinnovabili, efficienza e automotive? La domanda è quanto mai importante e, purtroppo, di attualità per il perdurante calo della produzione industriale. Il rischio paventato da più parti è che questa tendenza sia irreversibile per la concorrenza internazionale e perché le nostre imprese, ma persino interi distretti produttivi, si troveranno presto spiazzate perché producono componenti, sistemi o motori che nei prossimi anni saranno vietati dalle normative europee o schiacciati dalla concorrenza internazionale. Il problema è che questo scenario potrebbe concretizzarsi proprio per il modo superficiale con cui si guarda ai cambiamenti in corso e per l’ossessione da parte del governo e di Confindustria contro il green deal europeo, con la tesi che basta fermarlo e, a quel punto, tutto i problemi spariscono. Purtroppo, le ragioni della crisi italiana sono ben più complesse e dipendono anche dal costo dell’energia legato proprio alle importazioni di gas e petrolio. Soprattutto, un paese con un sistema di imprese medie e piccole come l’Italia non può permettersi di stare fermo, rinunciando persino a capire quali opportunità si potrebbero aprire in questo nuovo scenario. Il multilateralismo climatico resiste: per Trump distruggerlo non sarà così semplice Le prospettive sulle pompe di calore Un esempio, in qualche modo emblematico, riguarda le pompe di calore, ossia gli apparecchi elettrici in grado di produrre caldo, freddo, acqua calda sempre più diffusi. Può stupire, ma in tutte le analisi internazionali il nostro paese in questo campo è oggi messo benissimo, come presenza di imprese e per potenzialità di sviluppo che sono enormi visto che rappresentano un’alternativa più efficiente e sostenibile rispetto a sistemi che utilizzano gas. Dove sta il problema? Oggi l’Italia è l’unico paese in Europa a non avere una strategia o uno straccio di idea per accompagnare queste imprese, gli investimenti e l’occupazione. La Francia ha presentato quest’anno un piano per far crescere il settore, con incentivi per la creazione di nuovi impianti produttivi e l’obiettivo di arrivare a produrre un milione di pompe di calore dal 2027 ogni anno. Analoghi piani sono stati approvati in Germania, Regno Unito e Olanda con l’obiettivo di coinvolgere il sistema industriale nell’accelerare la decarbonizzazione di un settore strategico come quello edilizio dove gli investimenti saranno rilevantissimi nei prossimi anni. In tutti questi strumenti l’obiettivo è chiaro: approfondire numeri, problemi e potenzialità per capire, attraverso il confronto con le imprese, quali scelte occorre prendere per accompagnare gli investimenti in nuove fabbriche e negli edifici. In particolare, si mettono in evidenza le politiche di incentivo che risultano più efficaci, le semplificazioni e i programmi di formazione indispensabili per mettere in moto un ciclo virtuoso di investimenti. Guardare al futuro di queste tecnologie è importante anche per le possibilità che oggi si aprono di integrarle con impianti fotovoltaici e geotermici a bassa entalpia, con sistemi di accumulo elettrici e termici per il riscaldamento e per l’acqua calda sanitaria. La Ehpa (l’associazione europea delle pompe di calore) ha pubblicato una mappa dei siti di produzione di questi impianti e della componentistica. L’Italia con 50 siti è il paese con la maggiore diffusione in Europa, con una concentrazione in Pianura padana ma anche impianti distribuiti al centro e sud. In tutte le proiezioni internazionali si evidenziano grandi prospettive di sviluppo per la progressiva elettrificazione dei sistemi di riscaldamento, la crescente domanda di raffrescamento e le innovazioni in corso con tecnologie diverse e sempre più efficienti (ad aria, acqua, geotermiche, ecc.), costi in riduzione e impianti di dimensioni sempre più grandi per rispondere a fabbisogni di riscaldamento e raffrescamento di imprese, complessi edilizi, ospedali e condomini, interi quartieri. Pil, l’Ocse smentisce il governo. La manovra sarà un’impresa Occasioni da sfruttare La domanda a questo punto è scontata: ha davvero senso stare fermi e continuare a dare le colpe agli ambientalisti di come va il mondo oppure, piuttosto, occorre sedersi a tavolino con i propri campioni nazionali – da Ferroli ad Ariston, da Riello a Teon – per capire di cosa hanno bisogno per diventare più forti, competitivi e spingerli a creare prodotti a prezzi accessibili per le famiglie italiane e i mercati internazionali? L’occasione ce la offre l’Europa, perché entro il 31 dicembre di quest’anno il nostro paese deve presentare a Bruxelles il piano per la ristrutturazione degli edifici, come previsto dalla direttiva Case Green. Uno strumento che deve servire proprio a identificare le priorità e i modelli di intervento, le tecnologie che si vogliono spingere – e dunque il ruolo che avranno questi impianti –, quali e quanti finanziamenti saranno necessari. Le imprese non aspettano altro che di essere ascoltate, anche per mettere ordine tra strumenti di incentivo con incredibili differenze e contraddizioni. Un altro appuntamento ineludibile è la prossima legge di bilancio, dove il governo dovrà decidere se ridurre o meno le aliquote di detrazione per la riqualificazione energetica degli edifici (attualmente è previsto passino dal 50 al 36 per cento), su quanti anni spalmarle. E nulla vieta che, come negli altri paesi europei, si apra una riflessione su come ridisegnare la fiscalità – accise, Iva, ecc. – per premiare chi abbandona il gas, e le politiche di supporto (Industria 5.0) perché facciano da volano agli investimenti in ricerca e sviluppo e ad interventi capaci di aiutare davvero le famiglie in povertà energetica. Anche facendo finta che il clima non stia cambiando e che dalle caldaie a metano non dipenda l’inquinamento delle nostre città, sono ragioni molto concrete a dover convincere tutti che non possiamo sprecare queste opportunità. Se Giorgia Meloni non fosse ossessionata come Donald Trump dalla transizione ecologica sarebbe la prima a rendersene conto.