Nel 1988 James Hansen indossava una cravatta rossa, aveva 47 anni ma ne dimostrava dieci di più, era uno scienziato che pochi fuori dalla comunità accademica conoscevano. Si sedette davanti ai senatori degli Stati Uniti, il presidente era ancora Ronald Reagan, e diede iniziò alla battaglia globale contro i cambiamenti climatici, passando l’informazione chiave dalla scienza alla politica: il pianeta si sta riscaldando a causa delle emissioni di gas serra e questo è grave.

Sono passati trentasei anni, Hansen ne ha ottantatré e continua a fare ricerca. Il suo ultimo studio sulle prospettive climatiche della Terra ha avuto l’effetto di una detonazione, perché Hansen ha dichiarato «morto» e «ormai irraggiungibile» anche l’obiettivo meno ambizioso dell’accordo di Parigi, quello di tenere l’aumento delle temperature entro 2°C rispetto all’era pre-industriale. Secondo i nuovi calcoli della squadra di ricercatori che Hansen ha coordinato, potremmo trovarci oltre quella soglia già prima della metà del secolo, nel 2045.

Ancora oggi James Hansen è uno dei climatologi più importanti al mondo, ma il suo catastrofismo è spesso criticato da colleghi altrettanto eminenti (su tutti, Michael E. Mann). Da un paio d’anni la scienza del clima si è organizzata lungo questa faglia: rispettabili scienziati che dicono: «la situazione è grave, ma era tutto previsto», contro scienziati altrettanto rispettabili che dicono: «è ancora tutto peggio del previsto».

Un indizio su dove stiamo andando, però, ce lo ha offerto gennaio del 2025, che è stato il gennaio più caldo mai registrato (il record era del 2024). È una pessima notizia, perché da qualche mese siamo entrati nella fase di Niña, che in teoria dovrebbe avere un effetto rinfrescante sulle temperature globali. Che invece a gennaio sono state più alte di 1.75°C rispetto alle medie pre-industriali. Un’enormità.

Da un paio di anni, la comunità scientifica si sta interrogando sulla linearità del riscaldamento globale e sulla sensibilità del clima: quanto velocemente reagisce alle emissioni di gas serra? I record degli ultimi due anni sembrano portare nella direzione di un aggravamento della situazione, soprattutto ora che non abbiamo più l’«alibi climatico» di trovarci in una fase di Niño, che contribuisce ad aumentare le temperature.

Una risposta paradossale

Cosa sta succedendo, quindi? Hansen una risposta ce l’ha, ed è una risposta paradossale: potrebbero essere alcune misure anti-inquinamento marittimo ad aver dato questa accelerata all’aumento di temperature. Per decenni, le particelle di solfato dei carburanti delle navi cargo avevano peggiorato la qualità dell’atmosfera ma avevano contribuito anche a schermare la radiazione solare.

Dal 2020 le nuove regole anti inquinamento hanno tagliato queste particelle di aerosol, togliendo però questa schermatura e facendo aumentare le temperature in modo imprevisto. Il dibattito scientifico è aperto, Zeke Hausfather del Breakthrough Institute ha commentato dicendo che entrambi i temi, la reazione climatica e gli effetti dei tagli agli inquinanti, sono ancora aree di grande incertezza. Anche il successore di Hansen alla Nasa, Gavin Schimidt, ha descritto il suo metodo come «semplicistico».

Lo studio è stato pubblicato su Environment: Science and Policy for Sustainable Development e si basa su una metodologia diversa da quella della maggior parte delle ricerche climatiche aggregate dall’IPCC. La scienza del clima si affida prevalentemente a modelli di simulazione, mentre Hansen fa più uso di osservazioni sul campo e statistiche paleoclimatiche, cioè sul clima del passato. Hansen si è spinto a ipotizzare che un aumento così brusco delle temperature nei prossimi due decenni possa portare anche al collasso della circolazione atlantica nei prossimi trent’anni, il punto di non ritorno più temuto di tutto il sistema climatico terrestre.

Anche nel suo pessimismo, James Hansen non pensa che tutto sia perduto, ma servono, secondo l’ex capo del centro clima della Nasa, misure più drastiche e ambiziose di quelle che abbiamo messo in campo finora. Secondo Hansen, è necessario un massiccio ricorso all’energia nucleare per rimpiazzare le fonti fossili ed è anche un sostenitore della soluzione più estrema di tutte: la geoingegneria, cioè le misure per schermare la radiazione solare e portare così un abbassamento delle temperature. Nelle ricette di Hansen però c’è anche una tassa globale sul carbonio emesso dai combustibili fossili, i cui dividendi andrebbero reinvestiti nella transizione.

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