Scontri con la polizia, pietre contro i cantieri: nel 2018 l’appassionata battaglia dei No Tap, il gruppo di attivisti contrari al gasdotto Trans Adriatic Pipeline che dovrebbe trasportare il metano dall’Azerbaigian alla Puglia, ha contribuito al successo elettorale del Movimento 5 stelle. Oggi il loro rapporto si è rotto.

All’epoca “l’amore” era nato sulla spiaggia di San Foca di Melendugno, punto di approdo del gasdotto. Il Movimento 5 stelle aveva promesso che avrebbe bloccato l’opera e persino il sindaco di centrosinistra, Marco Potì, aveva sostenuto questa battaglia. Gianluca Maggiore, uno dei volti più noti del movimento No Tap, pur non considerandosi un grillino, conferma che tanti altri, come lui, credettero in quella promessa e, per questo, votarono il M5s : «Non era un voto di convinzione, ma un voto di speranza». La successiva resa del Movimento e le ripicche contro i manifestanti da parte dell’allora ministra per il Sud, Barbara Lezzi, ha fatto crescere la delusione. E anche per questo le elezioni regionali del 20 e 21 settembre saranno un interessante banco di prova.

Un storia finita male

Il Movimento, che ha tra le sue “cinque stelle” costitutive l’ambiente, si è avvicinato ai No Tap nel 2013, alla viglia delle elezioni che, per la prima volta, avrebbero fatto entrare in parlamento degli eletti grillini. Maggiore dice che quell’avvicinamento, però, non si è concretizzato in un «ingresso ufficiale» degli esponenti Cinque stelle fra i No Tap.
Ciò nonostante, alle elezioni del 2018, i vertici del Movimento facevano a gara a fare dichiarazioni contro il gasdotto. Alessandro Di Battista, durante un evento a San Foca insieme a Lezzi, garantiva che una volta al governo avrebbero fatto cadere il progetto in «quindici giorni». Luigi Di Maio, che poi sarebbe diventato ministro dello Sviluppo economico e del Lavoro nel primo governo guidato da Giuseppe Conte, in campagna elettorale a Brindisi affermava: «Non è un'opera strategica, ma un'opera che serve a fare business e a far fare business ad altri paesi».

Poi è arrivata l’estate ed è iniziata l’esperienza del governo gialloverde. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in visita in Azerbagian il 18 luglio del 2018, dice: «C’è l’impegno comune a portare avanti il progetto». Subito dopo Giuseppe Conte, premier da meno di due mesi, in visita a Washington annuncia che sarebbe andato in Puglia (sua regione di nascita) con l’intenzione di placare gli animi. La ministra per il Sud, Barbara Lezzi, tra le più appassionate contestatrici dell’opera, dice: «Sono soddisfatta dell'impegno assunto dal presidente Conte perché le comunità che si appresta ad incontrare hanno tutte le informazioni che gli faranno cambiare idea». Insomma, alla fine il Movimento cambia idea. La giustificazione ufficiale è che le penali da pagare in caso di uno stop al progetto sarebbero insostenibili. Lo scontro tra M5s e No Tap è invetibali. Lezzi a quel punto condivide sui social un video in cui attacca Maggiore che viene minacciato di morte dai follower della ministra.

A che punto è l’opera

Non basta un tubo a fare un gasdotto. Il Tap si snoda dal confine greco turco per 878 chilometri, di cui 550 chilometri in Grecia, 215 chilometri in Albania, 105 chilometri nell’Adriatico e 8 chilometri in Italia. Nonostante gli stop e gli scontri, la parte italiana che passa sotto la spiaggia di San Foca è stata conclusa ad aprile e l’opera, riporta la società, è completa al 93 per cento. Mancano ancora alcuni passaggi fondamentali, tra cui il completamento del terminale di ricezione del gas. Snam inoltre sta collaudando i 55 chilometri di rete che collegheranno il gasdotto alla rete di trasporto nazionale . Secondo la società Tap, partecipata dall’italiana Snam, l’azera Socar, la britannica Bp, la belga Fluxys, la spagnola Enagás, e la svizzera Axpo, il gas dovrebbe arrivare entro dicembre. Per i manifestanti, che continuano a monitorare i cantieri, i lavori sono in ritardo, e la protesta continua. «Ogni martedì continuiamo a riunirci in assemblea», dice Maggiore.

Ormai non ci sono più scontri. Così come i politici, anche la stampa, almeno fino a ora, non si è più occupata dei manifestanti No Tap. L’undici settembre sono iniziati due processi: uno contro i vertici della società Tap, uno contro i manifestanti. Per quanto riguarda i primi secondo la procura non sarebbero state rispettate le indicazioni della valutazione di impatto ambientale che riguarda aree sottoposte a vincolo paesaggistico e idrogeologico, i lavori si sarebbero svolti in assenza di autorizzazioni ambientali, l’espianto degli ulivi dell’area sarebbe avvenuto in un periodo diverso da quello autorizzato e infine i lavori avrebbero inquinato la falda acquifera. Alla prima udienza la regione si è costituita parte civile. Il presidente uscente (e ricandidato per il Pd alle regionali del 20 e 21 settembre) Michele Emiliano, d’altronde, nel 2018 non diceva no al gasdotto ma chiedeva un altro approdo. Il ministero dell’Ambiente invece, guidato dall’ex generale dei Carabinieri in quota Cinque stelle Sergio Costa, pur citato tra le persone offese, ha deciso di non costituirsi parte civile.

Dall’altro lato ben 92 attivisti No Tap, «colpevoli di aver lottato per difendere un territorio e un ideale» come si legge in un loro post su Facebook, sono comparsi davanti al giudice con varie imputazioni a seguito delle manifestazioni. «La nostra lotta non si ferma davanti a nulla, la nostra lotta va avanti sempre più forte», dicono. «Non si potrà mai processare la voce di una lotta che cerca di difendere il futuro. Il nostro crimine è soltanto quello di essere in grado di sognare...».

Versioni a confronto

Le verità le stabiliranno i processi. Dal canto loro, i No Tap continuano a dire che il progetto ha avuto sul territorio un impatto negativo che non sarà sanato. Dice Maggiore: «Bisogna venire a vedere quello che c’è dietro la spiaggia. Non sono stati creati posti di lavoro, sono state impiegate soprattutto ditte che non sono locali». La ragione di Snam e di Tap, rispettivamente gestore del trasporto gas e società che ha costruito il gasdotto e lo gestirà, è che la diversificazione aumenterà il fattore sicurezza degli approvvigionamenti, possibilmente abbassando anche il prezzo del gas. In Italia si consumano circa 70 miliardi di metri cubi di gas all’anno provenienti per lo più dalla Russia (40 per cento), poi dal Mare del nord, dall’Algeria, dalla Libia, dalla produzione interna e trasportato via nave per lo più dal Qatar. Il gas azero potrebbe andare a coprire più del 10 per cento dei consumi.

Dal Tap all’Ilva

L’azione No Tap del M5s si è arenata all’inizio della stagione parlamentare e il progetto Tap oggi viene menzionato come se fosse una storia remota. La candidata del Movimento alle prossime regionali, Antonella Laricchia, interrogata sul tema dalla Gazzetta del Mezzogiorno, ha detto: «Sul Tap l’esperienza ci ha insegnato che a volte il sistema nasconde le informazioni, come dovette constatare Barbara Lezzi quando chiese l’accesso agli atti». La colpa, quindi sarebbe del sistema, ma Lezzi, che pubblica foto con la candidata a pochi giorni dal voto, dopo due anni si rifiuta di parlarne, mentre il gruppo di attivisti che appoggia il Movimento a Melendugno, si è sciolto due anni fa. Adesso per la candidata Laricchia bisogna pensare all’Ilva: «Non abbiamo compiuto passi indietro, abbiamo scritto che avremmo lavorato alla chiusura progressiva delle fonti inquinanti e alla riconversione economica. Ed è quello che stiamo portando avanti nonostante i partner di governo che non sempre si dimostrano veri alleati». Al voto l’ardua sentenza.

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