Secondo uno studio di Allianz Trade, la capacità di svolgere lavoro fisico cala del 40 per cento sopra i 32°C e si riduce di due terzi sopra i 38°C. Praticamente un intero nuovo mondo a cui adattarsi. Simoncini (Fiom Cgil): «Il cambiamento del clima non può più essere trattato come un’emergenza»
«Il cambiamento del clima deve essere trattato come un evento strutturale e non più come un’emergenza, che per definizione è un episodio imprevedibile. Qui di imprevedibile c’è solo la settimana in cui arriverà la prima delle ondate di calore dell’estate».
Silvia Simoncini, segretaria nazionale della Fiom Cgil, ha la voce stanca di chi sta saltando da un tavolo all’altro (anche ieri sono stati proclamati nuovi scioperi da caldo) dei metalmeccanici italiani alle prese con le temperature insostenibili sulle linee produttive. Sindacati e lavoratori sembrano aver capito meglio di altri in Italia che non c’è più niente di eccezionale nell’aumento della frequenza e dell’intensità delle ondate di calore estive, e che le scelte decisive sono quelle che saranno fatte quando caleranno le temperature, e si potrà tornare a programmare e adattarsi.
«Il tema deve essere affrontato a settembre, bisogna ripensare tutto nelle fabbriche e nei cantieri, dalla ventilazione agli indumenti da lavoro, dobbiamo prevenire e non tamponare». La domanda cruciale è: qualcuno si occuperà delle ondate di calore quando ci saranno 20°C?
La parte più prevedibile
Le ondate di calore sono la parte più prevedibile della crisi climatica, quindi quella per cui è più facile prepararsi in anticipo. E sarà meglio farlo, perché cambieranno in modo irreversibile l’organizzazione del lavoro, le fabbriche e l’intera economia mondiale.
Secondo l’Istituto sindacale europeo (Etui) già con una temperatura superiore ai 30°C gli infortuni legati al calore aumentano del 5-7 per cento, con 38 gradi aumentano del 15 per cento. Per chi lavora all’aperto, la zona di maggior pericolo sono le primissime ore o giorni di attività, quando il corpo non è ancora acclimatato alle condizioni estreme e avvengono il 70 per cento dei decessi.
Il gruppo più vulnerabile agli infortuni da ondate di calore sono i maschi tra i 15 e i 34 anni, perché sono meno consapevoli dei rischi o si sentono meno esposti. Quest’ultimo dato viene dal progetto di ricerca europeo AdaptHeat, al quale ha collaborato la Fondazione Giuseppe Di Vittorio, che ha indagato proprio come cambia il lavoro al tempo della crisi climatica.
I più vulnerabili
Il profilo del lavoratore su cui l’ondata di calore mette un mirino è giovane, impiegato in una piccola e media impresa, con scarsa tutela e rappresentanza sindacale, o con un contratto non regolare, o in somministrazione.
I settori più esposti sono quelli all’aperto o ad alte temperature di base: edile, industriale e estrattivo registrano il maggior numero di infortuni sul lavoro legati allo stress termico. E poi: marittimi e portuali, lavoratori degli impianti petrolchimici, logistica all’aperto, pubblica sicurezza, forniture di carburante, manutenzione linee elettriche e idrauliche, operatori ecologici.
Questo è l’esercito che in questi giorni ha affrontato i colpi peggiori delle ondate di calore, mentre tutti gli altri erano al conforto dell’aria condizionata (una ricerca del 2021 della Stanford University aveva misurato che per le fasce di reddito più basse il rischio di morte da colpo di calore sul lavoro aumenta di cinque volte).
Settore agricolo
Un discorso a parte è quello del settore agricolo, dal quale però arriva la stessa richiesta: interventi strutturali e non solo emergenziali. Come spiega Silvia Spera di Flai (Federazione lavoratori agroindustria), «le ordinanze non sono risolutive, né lo sono di per sé le protezioni. A noi preoccupa che, per chi lavora all’aperto, sia tutto affidato alle regioni, ai cui tavoli a volte si fa fatica a far comprendere la gravità della situazione caldo nell’agricoltura italiana. In Lombardia è stato difficilissimo ottenerla, l’ordinanza».
La richiesta è un quadro legislativo nazionale che non lasci tutto alla buona volontà del momento o allo stato del dibattito sul clima (che spesso è pessimo) e dia più garanzie a chi lavorando sotto il sole rischia la vita.
«L’agricoltura poi ha problemi specifici, se il prodotto è fresco, il raccolto va fatto, non può essere rinviato, serve un investimento in tecnologia, perché la raccolta viene ancora fatta quasi tutta a mano. Ma servono investimenti, lungimiranza, comprensione della situazione climatica, del fatto che è qui per restare».
Cambiamento profondo
Il caldo strutturale che persiste sopra temperature così elevate per diversi mesi l’anno è destinato a cambiare il volto dell’economia globale. È un tema di salute, ma è anche un tema di produttività. Tutti gli studi recenti vanno in questa direzione, secondo l’Organizzazione mondiale del lavoro andrà perso il 2,2 per cento del potenziale di ore lavoro globali a causa dello stress da calore, l’equivalente di sottrarre all’economia mondiale ottanta milioni di lavori a tempo pieno.
Nel 2021 il Lancet Countdown aveva quantificato l’ammanco in termini assoluti in 470 miliardi di ore lavoro, aumentato nel 37 per cento rispetto ai valori degli anni ‘90, con la situazione più preoccupante nei paesi in via di sviluppo: con un ulteriore aumento di 1°C delle temperature medie globali, il caldo e l’umidità impediranno a un essere umano su otto che vive tra i Tropici e l’equatore di lavorare all’aperto per la maggior parte delle ore diurne.
Il risultato di questo piano inclinato, secondo uno studio di Moody’s Analytics, è già una perdita dell’1 per cento del Pil globale a causa delle ondate di calore, che triplicherà a metà secolo: 3,2 per cento di Pil evaporato.
Il caso italiano
Una nuova ricerca di Allianz Trade accende i riflettori di nuovo sull’Italia, dove già nei prossimi anni la perdita di ricchezza a causa del troppo caldo sarà dell’1,2 per cento, molto più alta di quella in Francia (0,3 per cento) o Germania (0,1 per cento). Come se, solo per il fatto di essere un paese del Mediterraneo, giocassimo a condizioni alterate la competizione globale (la media europea è 0,5 per cento).
Secondo questo studio di Allianz, la capacità di svolgere lavoro fisico cala del 40 per cento sopra i 32°C e si riduce di due terzi sopra i 38°C. Praticamente un intero nuovo mondo a cui adattarsi.
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