Per la prima volta da quando siamo in pandemia, i Fridays for Future tornano a manifestare. La giornata d'azione è globale, ma in Italia ha un significato, un obiettivo e un avversario peculiari rispetto al resto del mondo. Il tema di oggi da noi è l'istruzione: come si formano i docenti a parlare in classe di emergenza climatica? Con quali contenuti e materiali, adottando quale punto di vista? La questione in Italia è diventata cruciale perché a gennaio, poco prima della pandemia, l'Associazione nazionale presidi aveva affidato a Eni l'aggiornamento degli insegnanti su cambiamento climatico, l’efficienza energetica, rifiuti e bonifiche. Era seguita una sollevazione: presìdi, proteste, diffide legali.

«Ci sembrava paradossale che una delle aziende più inquinanti al mondo potesse venire a insegnarci la sostenibilità, omettendo ovviamente le proprie responsabilità», spiega Monica Capo, portavoce dei Teachers for Future, l'associazione degli insegnanti a supporto della causa. L'occasione di avere un focus dedicato alle scuole nasce proprio dalla fatica con la quale queste sono ripartite da noi. «Mentre in altri paesi sono iniziate prima e in modo più ordinato, in Italia è stato tutto confuso e problematico, non ce la siamo sentita di organizzare una manifestazione su larga scala, gravando pure noi sul sistema», spiega Luca Sardo, attivista Fridays for Future di 21 anni, studente di Economia e statistica a Torino. Lo sciopero vero e proprio da noi sarà quindi il 9 ottobre, quando verranno portate avanti le idee e le proposte aggregate durante il lockdown intorno alla piattaforma Ritorno al Futuro.

Il programma politico

Nei flash mob e nelle azioni di oggi invece l'obiettivo primario è «ribadire l'importanza dell'istruzione nella lotta alla crisi climatica» ed «evitare subdole operazioni di greenwashing», hanno scritto nell'annuncio. Tradotto: riprendere il filo dell'indignazione di gennaio e ribadire che loro non vogliono i formatori di Eni a spiegare il cambiamento climatico nelle scuole.

L'insegnamento del climate change era stato annunciato a novembre scorso dall'allora ministro Lorenzo Fioramonti, poi si è perso per strada, per le sue dimissioni e per la pandemia, che ha sconvolto piani e priorità. Una delle poche tracce concrete sono stati quei seminari Eni per i professori. «Non sappiamo ancora se l'educazione climatica sarà un insegnamento trasversale o una nuova materia», spiega Luca Sardo a nome dei Fridays for Future, «ma in Italia c'è tanto capitale umano, dagli scienziati dell'Ipcc e quelli del Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici, non capiamo come potesse essere Eni il soggetto a cui affidare la formazione degli insegnanti».

C'è una dose di paternalismo nel modo in cui vengono raccontati i Fridays for Future, come se la loro fosse più una fase di crescita che una battaglia politica da prendere sul serio, ma in questi anni hanno mostrato una capacità di elaborazione e proposta che va analizzata nel merito. Durante la prima fase del lockdown, i gruppi italiani hanno coinvolto più di 200 scienziati per sviluppare le idee di Ritorno al futuro. Gli studenti chiedono un piano di finanziamenti pubblici per la transizione ecologica, la conversione delle industrie inquinanti, l'efficientamento energetico degli edifici, nuove infrastrutture per le rinnovabili. Tra le richieste c'è l'eliminazione graduale del 19 miliardi di euro in sussidi ambientalmente dannosi, da riconvertire a favore della giustizia climatica (il governo sta discutendo interventi sul punto). Questo è uno dei punti più radicali della loro agenda: non devono mai essere i lavoratori a pagare il prezzo della transizione.

«Il principio sociale è lo stesso che Ipcc, il gruppo di scienziati di riferimento dell’Onu, applica su scala globale: i paesi occidentali devono arrivare per primi a zero emissioni, permettendo agli altri di raggiungere standard di vita confrontabili con il nostro. La transizione energetica va fatta tutelando i lavoratori, non è colpa loro se la Centrale a carbone di Civitavecchia inquina, non possono perdere il reddito se viene chiusa». C'è qui un aspetto centrale nella visione del mondo degli studenti italiani: vogliono uno stato più forte e protagonista, nel quale il ruolo pubblico sia riaffermato con forza. Per loro l'unica via per la transizione energetica è affermare l'interesse pubblico, con «lo stato attore primario di indirizzo nel processo della transizione su tutto il territorio, che coordini, supporti e controlli le aziende – in particolar modo le partecipate – affinché rispettino gli obiettivi climatici», come si legge nelle proposte di Ritorno al Futuro. E qui torniamo a Eni, per la quale chiedono una conversione totale alle fonti rinnovabili, più netta di quanto annunciato dall’amministratore delegato Claudio Descalzi. A maggio hanno protestato, insieme a Greenpeace all’assemblea degli azionisti e contro il Piano strategico 2050, contestando l'aumento della produzione di gas e la vaghezza delle compensazioni, come i progetti di riforestazione e di cattura e stoccaggio della Co2.

I fondi europei

Saranno anche apartitici, ma sono un soggetto politico e come tale hanno deciso di agire, e non è casuale la scelta del 9 ottobre come data dello sciopero, una settimana prima della scadenza per inviare l'impalcatura delle proposte per l'utilizzo dei fondi Next Generation EU. «Chiediamo che non venga sprecata l'occasione per l'abbandono completo dei progetti di energia da fonti fossili, che sono costosi e che ci vincoleranno per decenni. L'Italia deve investire da subito per arrivare a un 100 per cento di produzione rinnovabile, potremmo essere all'avanguardia nell'immaginare un mondo nuovo, per come è fatto il nostro territorio sarebbe un gol a porta vuota». Attualmente non c'è aria di volerlo segnare e c'è una certa frustrazione nei Fridays for Future italiani per il riscontro ricevuto dalle loro proposte: «Riceviamo un diluvio di complimenti dopo gli eventi, il segretario del Pd Nicola Zingaretti ci aveva dedicato la vittoria alle primarie, ma quando conta davvero di attenzione alle proposte ce n'è ancora poca. I politici italiani non hanno capito l'importanza della questione», spiega Sardo, «È la questione cruciale del secolo, non solo per i pericoli che corriamo, ma anche per le opportunità che di sviluppo ci offre». Insomma, meno complimenti, meno dediche e più ascolto.

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