Le immagini di devastazione dell’Emilia-Romagna sono drammatiche. Dopo ore di pioggia interminabile, di persone abbarbicate sui tetti in attesa di soccorsi, arriva la conta dei danni e a questa si aggiunge quella ancora più drammatica delle vittime e dei dispersi.

La regione Emilia-Romagna ha parlato di una «situazione gravissima» con quattordici fiumi esondati: Idice, Quaderna, Sillaro, Santerno, Senio, Lamone, Marzeno, Montone, Savio, Pisciatello, Lavino, Gaiana, Ronco. Quando un fiume esonda e non trova terreni capaci di assorbire tutta quell’acqua, vuol dire che le strade si allagano, le case vengono sommerse di acqua e fango, i campi di cereali e i frutteti vanno persi per sempre. Potremmo considerarlo un accidente se non fosse però l’ennesima istantanea di una crisi climatica che, giorno dopo giorno, presenta il conto in tutta la sua virulenza. Non più tardi di due settimane fa avevamo già osservato uno scenario simile, sempre in Emilia-Romagna, di nuovo “maltempo”, come si ostinano a chiamarlo ancora in troppi.

Nicola Servadei è un agricoltore di Faenza che produce frutta da generazioni. Mi racconta di «una nottata che non dimenticheremo mai più». Mi manda un video della sua azienda e quello che vedo è una grande distesa di acqua e fango, l’intera produzione agricola da buttare. Mi racconta dei vicini, dei colleghi agricoltori «in collina, dove hanno avuto danni ancora più gravi». Confagricoltura snocciola dati impressionanti, perdite da capogiro. Per Servadei, come per gli altri agricoltori, non è una novità. Se in questi giorni è stata l’acqua, l’anno precedente era stata una gelata notturna a devastare il raccolto. Quell’evento climatico estremo era stato l’ultimo di una lunga serie e l’aveva costretto a sradicare centinaia di alberi perché non era più redditizio tenerli in produzione.

Quella di Servadei è una storia come tante, purtroppo. Se pensiamo alla siccità anomala che ha colpito il nostro paese e l’Europa durante il 2022, è facile immaginare quanti produttori si trovino oggi in una situazione simile.

Cosa è stato fatto?

A questo punto però dobbiamo fermare il racconto. Interrompiamo la cronaca degli eventi e chiediamoci: cosa è stato fatto nel frattempo? Quali sono le azioni che le istituzioni hanno messo in campo tra la siccità della scorsa estate e le alluvioni di questi giorni, tra un evento meteorologico estremo e quello successivo? Perché possiamo (e dobbiamo) raccontare quello che accade in Emilia-Romagna ma abbiamo soprattutto il dovere di cercare risposte a queste domande. E purtroppo l’unica risposta plausibile è che è stato fatto molto poco.

A cavallo dei due eventi, la nostra vita, anzi la vita delle istituzioni, dei partiti, del mercato, quella dei sistemi produttivi, è andata avanti come se non fosse successo nulla, come se l’alluvione di questi giorni non li riguardasse, non ci riguardasse. Come se non avessero a che fare con il riscaldamento globale. Il problema è tutto qua e c’è una parola che definisce l’accaduto: inazione. Inazione climatica. La verità è che, andando avanti di questo passo, di eventi come questo ne dovremo contare sempre di più e a un certo punto diventeranno talmente normali che non ci stupiranno neanche più.

A più di sette anni dall’approvazione dell’accordo di Parigi, che ha impegnato la comunità globale a tenere l’aumento delle temperature globali entro +2°C rispetto ai livelli preindustriali, facendo tutti gli sforzi per non sforare il grado e mezzo, non sembra siano seguite azioni coerenti. Tanto che l’ultimo rapporto del Programma ambientale dell’Onu (Unep) dichiara sconsolato che «non è in atto un percorso credibile verso 1,5°C» e che una delle più prestigiose riviste di settore, Scientific American, è stata anche più severa: «Il mondo mancherà probabilmente l’obiettivo del grado e mezzo: perché nessuno lo dice?», titola il pezzo.

Cosa fare?

Sicuramente in questo momento bisogna gestire l’emergenza. Ma la vera sfida è capire cosa fare dopo. Ci sono diverse azioni da mettere in campo urgentemente e che in questi anni abbiamo proposto con l’associazione Terra!

Per prima cosa bisogna approvare il prima possibile una legge sul consumo di suolo. Fino a quando, come ci ricorda Ispra, in questo paese verranno consumati 70km2 di suolo all’anno, queste alluvioni avranno effetti sempre più dirompenti.

Bisogna ridurre le emissioni di tutti i sistemi produttivi, a partire dai sistemi alimentari che hanno delle responsabilità importanti e, per converso, ne pagano anche il prezzo più alto.

È necessario spendere efficacemente i soldi del Pnrr. Il piano, seppur parziale, ha delle misure che vanno nella giusta direzione della transizione ecologica ma bisogna fare in fretta e bene.

E infine bisogna chiedere scusa al movimento ambientalista, riconoscere che gli attivisti delle nuove generazioni stanno facendo bene a puntare l’attenzione sulla necessità di agire con urgenza. Una cortesia, però: smettetela di fossilizzarvi sulla forma della protesta, perché sembrano un alibi per non occuparvi della crisi climatica. La realtà è che a lavare la vernice lavabile che vi scandalizza così tanto, saranno le piogge torrenziali che sommergeranno le città.

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