Nel breve termine, il metano in atmosfera fa più danni della Co2: dura di meno, ma è fino a 80 volte più potente nell’alterare il clima. Un terzo del riscaldamento globale che stiamo sperimentando deriva da questo gas, che nell’aria arriva in diversi modi: per le emissioni degli allevamenti intensivi e delle discariche a cielo aperto, e per le perdite nell’estrazione e nel trasporto di combustibili fossili.

È il motivo per cui uno dei risultati più importanti della Cop26 era stato il Global Methane Pledge, l’accordo per ridurre del 30 per cento le emissioni di metano entro il 2030. Ora però sono arrivati su Nature i risultati di una ricerca che parte da un dato preoccupante: la concentrazione di metano in atmosfera non è calata nemmeno con i lockdown e la pandemia, quando le attività economiche globali hanno rallentato, ripulendo (per una breve ed effimera finestra) il clima.

Tutto questo con il metano non è successo ed è una specie di puzzle per gli scienziati: come è possibile che nemmeno un rallentamento brusco dell’economia abbia fermato le sue emissioni? La ricerca su Nature offre la risposta, e non è una buona notizia. Le emissioni sono fatte di input e di output, quello che entra (per cause umane o naturali) e quello che esce, perché i cicli atmosferici e naturali riescono a ripulirlo. Ecco, secondo i ricercatori si sta indebolendo in modo drastico la capacità dell’atmosfera di ripulirsi dal metano che ci buttiamo dentro. Questo gas serra ha un grande problema (riscalda la Terra più della Co2) ma almeno in teoria ci dà il vantaggio di avere una durata inferiore, ora sembra che questo secondo aspetto stia svanendo. E la colpa è di un altro effetto della crisi climatica: gli incendi.

Un circolo vizioso

A partire dal 2019 in Australia, quella degli incendi è diventata una crisi globale, dovuta alle estati più secche, aride, calde, che rendono le foreste molto più infiammabili. È la dinamica che ha messo in ginocchio la California, la Siberia, ma anche la Calabria, la Sicilia e la Sardegna la scorsa estate. Bruciando biomassa vegetale, gli incendi generano monossido di carbonio. Secondo questo studio il monossido di carbonio reagisce con il radicale di ossidrile, un’entità molecolare che ha un compito importantissimo: pulire l’atmosfera dal metano. È una specie di detergente naturale, spiegano gli autori dello studio. Gli incendi stanno inibendo su scala globale la capacità del detergente, il metano persiste molto di più ed è una pessima cosa per la prospettiva del riscaldamento globale.

«I cambiamenti climatici hanno aumentato il tasso col quale il metano si accumula in atmosfera, la Terra si riscalda di più e più velocemente, e questo fa accumulare ancora più metano. Un classico circolo vizioso» ha scritto su The Conversation Simon Redfern, uno dei due firmatari della ricerca. «Gli effetti del cambiamento climatico sul metano sono quattro volte più alti di quanto fosse stimato nell’ultimo rapporto Ipcc, che era stato pubblicato solo pochi mesi fa». Insomma, questa ricerca mostra che siamo più vicini al precipizio di quanto ritenessimo di essere. «Questi risultati sono scioccanti» prosegue Redfern, «perché dimostrano quanto gli effetti dei cambiamenti climatici sul funzionamento della Terra siano ancora molto sottovalutati».

Dal punto di vista delle politiche energetiche, il Global Methane Pledge, come tutte le altre misure decise a Cop26, sembra esser stato accantonato. Non vengono messe in discussione le fonti principali di emissioni di questo gas: allevamenti intensivi ed estrazione e trasporto di combustibili fossili.

Il metano sembra essere in questo momento un angolo cieco dell’azione per il clima, a febbraio (il giorno prima che scoppiasse la guerra in Ucraina, per altro) l’Agenzia internazionale dell’energia aveva diffuso un report secondo il quale i numeri ufficiali su emissioni e perdite di metano forniti dal settore energetico sottovalutavano il problema del 70 per cento. Ora la ricerca pubblicata su Nature chiude il cerchio: dal settore energia arriva più metano di quello che pensavamo e l’atmosfera diventa sempre meno capace di smaltirlo naturalmente. Tutto questo mentre globalmente la corsa a nuove estrazioni procede a pieno ritmo.

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