La contraddizione non è così aspra e tragica come a Taranto, dove per l’Ilva i cittadini sono stati infilati a forza nel tritacarne della scelta tra lavoro da una parte e ambiente e salute dall’altra. Ma la contraddizione c’è, riassumibile in queste due domande complementari: quanta acqua dei fiumi deve scorrere libera verso il mare in modo che i prelievi lungo il percorso non depauperino la portata fino a compromettere l’equilibrio dell’ambiente fluviale? E quanta acqua può essere invece captata per irrigare i campi, conservare il paesaggio degli invasi e dei laghi, soprattutto sulle Alpi, e infine per produrre energia elettrica, l’energia verde per antonomasia?

L’Unione europea ha risposto a suo modo ai quesiti con una direttiva battezzata dagli addetti ai lavori «deflusso ecologico» che è «il volume di acqua utile affinché l’ecosistema acquatico continui a prosperare e a fornire i servizi necessari». Con una formula matematica assai complicata la direttiva calcola le quantità d’acqua che devono scorrere libere e quelle che invece possono essere trattenute.

Equilibrio storico

Tutto risolto? Per niente, perché quella formula non è accolta allo stesso modo dai paesi europei. Quelli del nord, abituati a piogge di solito abbondanti e solcati da fiumi di portata regolare e poderosa restano praticamente indifferenti. In quei territori, dalla Germania all’Olanda alla Danimarca, l’uso dei fiumi per scopi irrigui è relativamente modesto e consentire quindi il loro libero deflusso verso il mare non crea alcun problema. In Italia e nei paesi mediterranei il discorso è diverso, qui il regime delle piogge è incostante e l’acqua è un bene che fin dal medioevo è stato gestito con reti di canali e chiuse e più di recente con dighe e invasi per la produzione di energia elettrica. Quasi ovunque nelle regioni dell’arco alpino è stato trovato nei secoli un equilibrio tra la conservazione dell’ambiente fluviale e l’uso dell’acqua per scopi irrigui e industriali.

In Veneto, per esempio, che è la regione che più si sente minacciata dalla nuova normativa europea, l’acqua di Piave, Cordevole, Brenta e Adige, viene utilizzata per produzioni agricole che altrimenti rischierebbero di restare a secco. Nel bacino del Piave l’acqua del fiume irriga il radicchio trevigiano, le vigne del prosecco e circa 39 mila ettari a mais. Trattenuta negli invasi e nei laghi l’acqua dei fiumi veneti è inoltre una delle attrattive turistiche più apprezzate del paesaggio alpino e infine quell’acqua opportunamente stoccata viene utilizzata anche per produrre elettricità, soprattutto da Enel Green Power, circa 3 miliardi di chilowattora l’anno.

La direttiva europea è ormai a un passo dall’entrata in vigore (scatta il 1° gennaio del 2022) e rischia di sconvolgere questi equilibri con conseguenze ritenute gravi da chi le ha studiate. In Veneto i Consorzi di bonifica e l’Enel hanno effettuato una simulazione prendendo a riferimento i dati reali relativi a 11 anni, dal 2006 al 2016, e calcolando gli effetti che il deflusso ecologico produrrebbe sulla vita della regione. Le stime sono allarmanti: i bacini montani entrerebbero in sofferenza, ci sarebbe un calo di circa la metà delle produzioni agricole (46 per cento) e una diminuzione di energia idroelettrica di circa un terzo (1 miliardo di chilowattora), le entrate turistiche collegate all’ambito alpino diminuirebbero dai 25 ai 50 milioni di euro l’anno.

La direttiva europea sul deflusso ecologico, inoltre, rinfocola di fatto l’eterna polemica tra le agricolture mediterranee e quelle del nord, con l’Unione europea per l’ennesima volta sospettata di assumere provvedimenti che di fatto favoriscono queste ultime. Per far valere il punto di vista dei paesi mediterranei nell’uso dell’acqua dei fiumi è stato costituito una specie di sindacato degli irrigatori del sud Europa, Irrigants d’Europe, a cui oltre all’Italia aderiscono il Portogallo, la Spagna, la Francia mentre Grecia, Malta e Cipro stanno preparando il loro ingresso. Segretario generale è un italiano, Adriano Battilani.

L’Italia dormiente

Il concetto di deflusso ecologico non è un’invenzione europea dell’ultim’ora, sono decenni che l’Europa cerca di disciplinare l’uso dell’acqua fluviale in modo da salvaguardare l’ambiente. Fino a oggi la materia era regolata con un metodo conosciuto come il deflusso minimo vitale (Dmv), fissato dopo una lunga fase di sperimentazione nei primi anni Duemila. Il Dmv è la «portata residua in grado di permettere a lungo termine la salvaguardia della struttura naturale del corso d’acqua e assicurare un equilibrato utilizzo della risorsa idrica, salvaguardando le esigenze di soddisfacimento dei diversi fabbisogni sotto il profilo qualitativo e quantitativo».

I parametri imposti con il Deflusso minimo vitale sono stati sostanzialmente rispettati dall’Italia; in Veneto in particolare i Consorzi di bonifica hanno tenuto sotto osservazione lo stato delle acque e hanno accertato che l’utilizzo usuale per scopi irrigui e idroelettrici non compromette le condizioni dei fiumi che restano buone. Il Deflusso ecologico, però, introduce parametri molto più stringenti, da 2 a 3 volte superiori rispetto al Deflusso minimo vitale. È dal 2012 che si parla della sua adozione, ma l’Italia è come colta di sorpresa perché in tutto questo tempo i governi hanno dormito. In extremis la regione Veneto ora ha aperto una trattativa con il ministero dell’Ambiente e l’Unione europea nella speranza che il deflusso ecologico possa essere sospeso o modificato.

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