Il Global Methane Tracker dell’Agenzia internazionale dell’energia è uno dei rapporti più attesi dell’anno per tre motivi. Primo: il metano è il gas serra più climalterante e pericoloso, molto più della CO2.

Secondo: il metano dura meno della CO2 in atmosfera (decenni contro secoli), quindi permette di avere effetti di riduzione più veloci e misurabili, è il cosiddetto “low hanging fruit” del clima, il frutto che si può afferrare prima perché si trova più in basso.

Terzo: da due anni la comunità globale dei paesi ha preso un impegno a breve termine di ridurre le emissioni del 30 per cento entro il 2030, quindi la curva del metano è un buon modo per confrontare l’attrito tra realtà immaginaria dei pledge – le cose che promettiamo di fare – con quella tangibile delle policy – le cose che concretamente facciamo. Bonus: la riduzione di metano è anche il principale fronte di collaborazione aperto tra Stati Uniti e Cina, uno dei pochi canali di dialogo in corso.

Il Global Methane Tracker 2023 è uscito e le notizie non sono buone: i livelli di emissioni di questo gas non solo non sono nemmeno lontanamente vicini agli obiettivi che abbiamo da qui a sette anni, ma continuano a crescere, hanno superato i livelli del 2020 e del 2021 e hanno sfiorato quelli del 2019 (anno record di sempre).

Il settore energetico

Il settore energetico è responsabile del 40 per cento del metano in atmosfera (il resto deriva da rifiuti, agricoltura e allevamenti). Nel 2022 le estrazioni di carbone, gas e petrolio hanno rilasciato 135 milioni di tonnellate di metano in atmosfera. Il grande paradosso è che si potrebbero tagliare queste emissioni del 75 per cento applicando al contenimento del danno tecnologie esistenti. Non servirebbero nemmeno rivoluzioni, solo manutenzione e responsabilità, estrarre meglio, in modo più razionale.

Il metano finisce in atmosfera a causa di perdite nell’infrastruttura o flaring, la pratica di bruciare il gas in eccesso estratto dai pozzi perché non ci sono abbastanza tubi per trasportarlo (perfetta metafora del presente). Questo spreco è anche utile a misurare quanto sia disfunzionale questa industria, che brucia ogni anno in atmosfera – per falle tecnologiche, infrastrutturali o di policy – l’equivalente del gas che ogni anno l’Unione europea importava dalla Russia prima dello scoppio della guerra.

Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia basterebbero 100 miliardi di dollari di investimento, il 3 per cento dei ricavi oil&gas del 2022, per ottenere una riduzione di due terzi del flusso di metano dai pozzi all’atmosfera. «Tagliare le emissioni di metano è la soluzione più veloce ed economica per ridurre il riscaldamento globale a breve termine», ha spiegato Fatih Birol, direttore della IEA. Dal momento che la CO2 resta secoli in atmosfera, ci vuole molto tempo per iniziare a osservare gli effetti della riduzione delle emissioni. Il metano dura meno, gli effetti sono visibili in poco tempo. Una verità scientifica lineare, che non è ancora entrata nei processi decisionali dell’industria oil&gas.

La CO2 emessa in atmosfera è costante, il metano al contrario deriva da singoli episodi, da picchi, da incidenti. Il più famoso del 2022 è stato il sabotaggio del gasdotto Nord Stream, un episodio vistoso, drammatico e ancora oggi senza responsabilità chiare. Sembrava una catastrofe ecologica su vasta scala ma in realtà, come ha spiegato Birol, è solo una normale giornata dell’industria del gas, «che rilascia in atmosfera l’equivalente del disastro Nord Stream praticamente ogni singolo giorno di operatività».

Secondo il Global Methane Tracker nel corso del 2022 ci sono stati 500 «super emitting events», episodi ad altissimo tasso di perdite di metano, tutti paragonabili al disastro del Nord Stream. Di quella storia siamo venuti a conoscenza per il suo valore geopolitico nell’attrito tra Russia, Unione europea e Nato, ma dal punto di vista ecologico e climatico è una cosa che accade più di una volta al giorno, ogni giorno dell’anno. A questi disastri nell’estrazione di gas e petrolio vanno aggiunto i 100 super emitting events nelle estrazioni di carbone.

È come se ogni giorno della settimane scoppiassero due bombe di metano delle dimensioni del Nord Stream, semplicemente perché l’industria non è in grado di spendere il 3 per cento dei suoi ricavi nel mettere in sicurezza la sua stessa rete.

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