I negoziati sul clima di Bonn sono iniziati, lunedì 16 giugno, col segnale peggiore, almeno secondo chi si occupa di diplomazia della lotta al riscaldamento globale: un conflitto sull’agenda. Cioè sui temi da discutere, che vengono di solito decisi in assemblea plenaria il primo giorno.

I paesi fanno fatica anche a mettersi d’accordo su quali sono le cose su cui dovrebbero mettersi d'accordo. Le due settimane di summit sul clima a Bonn si tengono ogni anno a metà strada tra una Cop e l’altra.

Di solito, è un passaggio più tecnico che politico, senza delegazioni di alto livello, una cosa da sherpa, ma in questo mondo così fratturato di «non politico» non è rimasto più nulla, e così la sede della Convenzione sul clima dell’Onu dove si tiene il vertice è un microcosmo che riflette il caos geopolitico degli ultimi mesi.

Verso Belém

Lo scopo politico dei dialoghi di Bonn (termineranno il 26 giugno) è far sopravvivere la possibilità, almeno teorica, che la prossima Cop abbia un senso. Sarà la trentesima, sarà in Amazzonia, a Belém, in Brasile, a dieci anni dall'accordo di Parigi, e sta diventando sempre più delicata.

Le Cop sono un processo pensato per tempi di pace: possono reggere un clima di guerra? Secondo Jacopo Bencini, presidente di Italian Climate Network: «Il sistema ha retto finché le guerre erano fatti periferici rispetto ai paesi del Consiglio di sicurezza, ora che riguardano direttamente le superpotenze ecco che tutto il meccanismo comincia a scricchiolare. Non era mai capitato di avviare un negoziato così importante proprio in mezzo a una escalation militare che potrebbe portare a un cambio di regime».

Dove eravamo rimasti

Dove eravamo rimasti? Avevamo lasciato Baku, novembre 2024, con i delegati che urlavano di rabbia, dopo aver dovuto accettare uno degli accordi più al ribasso mai visti nella diplomazia climatica: i paesi poveri chiedevano 1.300 miliardi di dollari l’anno il prima possibile, per affrontare la crisi climatica, ne avevano ottenuti 300, a partire dal 2035.

La Cop29 era stata anche quella del congedo degli Stati Uniti dall’accordo di Parigi, era passata solo una settimana dal voto americano. L’exit trumpiana sarà completata, come da protocollo, a gennaio 2026, a un anno dall’avvio del processo, ma la dismissione è già in corso.

Gli Usa non hanno mandato nemmeno un funzionario a Bonn. È la prima volta che succede. Donald Trump aveva fatto ritirare la delegazione Usa anche dagli incontri degli scienziati dell’Ipcc. Sta smontando la diplomazia del clima un pezzo alla volta. Ha anche fatto chiudere l’ufficio del Dipartimento di stato che si occupava di questi negoziati.

Non che non ci siano americani, come spiega Caterina Sarfatti, che partecipa alle Cop a Bonn in quanto delegata del network di città C40: «Gli Usa non ci sono in via ufficiale, ma ci sono rappresentanti di città e stati. Il negoziato è paralizzato dai conflitti e dalle tensioni, ma stiamo osservando una rinascita degli spazi della società civile. Forse stiamo, in un certo senso, osservando la Cop come potrebbe essere, in uno scenario più inclusivo».

Contro i dazi

I negoziati di Bonn servono a preparare il terreno per la Cop30, il cui compito è rilanciare l’ambizione dentro gli impegni climatici formali che i paesi sono tenuti a presentare proprio nel 2025.

È un passaggio previsto dall'accordo di Parigi, pochi lo hanno già fatto (20 su 195). Nessuno ha voglia di pensare al clima, in questo momento storico, anche molti dei grandi emettitori sono in ritardo. Poi ci sono le questioni più politiche. L’agenda invece è diventata oggetto di scontro perché un fronte di paesi (Bolivia, Arabia Saudita, Cina) si è scagliato contro i dazi.

Non quelli protezionisti degli Usa, ma quelli climatici dell’Unione europea, il cosiddetto CBAM, il meccanismo di aggiustamento del carbonio alle frontiere, cioè il sovrapprezzo che la Commissione ha deciso di mettere a prodotti come acciaio o alluminio che entrano nel mercato comune europeo e che vengono da paesi dove si è ancora liberi di bruciare carbone senza pagarci tasse o permessi.

Sono scaramucce, segno di enorme diffidenza reciproca, ma è la finanza che rischia di diventare ancora una volta la voragine in cui precipita la diplomazia del clima.

A Baku ci si era messi d’accordo su un salvadanaio comune di pochi soldi rispetto alla scala della crisi, con la promessa di una percorso per migliorare la quantità e la qualità di questi fondi, la cosiddetta roadmap Baku to Belém. Sembra impossibile pensarlo, ma a novembre 2024 eravamo stati addirittura ottimisti.

Nel frattempo gli Usa hanno smantellato i fondi dell’agenzia Usaid, generando una reazione a catena che ha ulteriormente prosciugato le risorse per la cooperazione internazionale. La ong Power Shift Africa ha ricordato a cosa servono quelle risorse: 600 milioni di africani vivono senza elettricità, 970 usano fuochi liberi per cucinare, inquinanti e pericolosi.

Cina e Unione europea

Bonn però è anche l’emergere di nuove leadership: quella brasiliana, innanzitutto, ambiziosa e ottimista nel suo nuovo ruolo di paese ponte tra i vari blocchi in conflitto, in rapporti sempre più solidi con la Cina, dove Inácio Lula è appena stato in visita di stato.

Pechino sarà la guida ombra di questa Cop, da Bonn a Belém. Dopo il dominio industriale sulla transizione, Xi Jinping vuole prendersi anche quello politico. E l’Unione europea? La ceo di Cop30, Ana Toni, ha detto a Politico: «Speriamo che l’Europa sia in grado di continuare a guidare il dibattito sul clima, hanno la tecnologia, hanno i soldi, il loro contributo serve più che mai, sarebbe una delusione enorme se non approvassero il nuovo obiettivo di riduzione delle emissioni al 90 per cento». La decisione sarà presa a inizio luglio, diversi governi sono contrari, tra cui l’Italia. È uno snodo decisivo.

Come ricorda Maurantonio Albrizio dell’ufficio europeo di Legambiente, «l’accordo di Parigi fu sbloccato grazie a un dialogo diretto tra gli Usa di Barack Obama e la Cina, un G2 del clima, che si potrebbe riproporre a dieci anni di distanza, ma tra Europa e Cina. Bonn è la semina di questa ridefinizione degli equilibri globali. Mi aspetto che a Belém, per la prima volta, si veda anche Xi in persona a una Cop».

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