Non è stata una bolla estiva l’improvviso ritorno di attenzione verso l’energia nucleare. La rapida marcia indietro del ministro per la Transizione ecologica Roberto Cingolani non ha infatti cancellato le tracce degli interessi che si sono messi in moto intorno alle scelte sul clima nell’establishment economico e politico, non solo italiano.

È un quadro in movimento che ha descritto bene dall’economista premio Nobel Paul Krugman sul New York Times, con la potente e ricca lobby di imprese che vuole fermare in parlamento l’approvazione del piano del presidente americano Joe Biden contro il global warming, perchè non accetta l’idea che nei prossimi anni si dovrà arrivare a una rapida e radicale trasformazione del sistema energetico e economico. E quindi si organizza per combatterla con ogni mezzo economico, politico e mediatico.

Il fronte italiano

L’ex presidente di Eni Paolo Scaroni, con l’intervista rilasciata a Repubblica, si è fatto portavoce in Italia di questi interessi attraverso due tesi che sentiremo ripetere a lungo e che non possono essere sottovalutate.

La prima è a supporto del “nuovo” nucleare, indispensabile perché non possiamo puntare sulle sole rinnovabili su cui lui, da coerente petroliere, è sempre stato scettico.

Tanto vale investire anche qui, almeno per provarci e pazienza se le soluzioni arriveranno nel 2050 o 2100, quando secondo gli scienziati dell’IPCC il mondo sarebbe devastato da una temperatura cresciuta oltre i tre gradi.

La seconda argomentazione, direttamente collegata ma più pericolosa e forte dentro Confindustria, è che la transizione ecologica del sistema industriale italiano sarà un bagno di sangue, con conseguenze devastanti in particolare per chimica, energia, automotive.

Altro che accelerare rispetto ai target europei, piuttosto il governo si impegni a difendere l’interesse nazionale in questi settori con scelte meno «irrazionali», spinte da «ambientalisti radical chic che sono peggio della crisi climatica», per usare le parole del ministro Cingolani.

Conflitto tra interessi 

La ragione per cui questa discussione di inizio settembre continuerà a lungo sta nel fatto che si tratta di un vero e proprio conflitto tra interessi. Tra chi pensa che i cambiamenti climatici impongano una svolta politica e industriale – e tra questi l’Europa e la nuova amministrazione americana – e chi prova a smontare obiettivi su rinnovabili e gas serra, credibilità delle tecnologie e fattibilità reale di questo scenario.

La vera posta in gioco non sta nel ribaltare l’architettura di decisioni messa in piedi con l’accordo di Parigi sul Clima, ma nel rallentarla e ricavare uno spazio per ottenere fondi per la ricerca europea e nazionale sul nucleare, per la cattura e stoccaggio di carbonio collegata ad impianti a gas, per l’idrogeno da fonti fossili.

Le regole fissate da Next Generation Eu hanno impedito che questi progetti fossero finanziati con il Recovery Plan italiano e ora ad Eni, Snam, Leonardo provano a cercare altre strade per ottenere finanziamenti.

Sono tutte vicende note e già viste, il problema è che rischiano di rallentare processi di riconversione industriale che potrebbero generare benefici enormi in un paese che importa milioni di tonnellate di carbone, petrolio, gas, materie prime e che potrebbe diventare un campione internazionale in settori con colossali margini di crescita come rinnovabili, efficienza energetica, economia circolare.

Potrebbe, e il condizionale è d’obbligo, perché oggi siamo praticamente fermi e con poche idee e confuse al governo su come accelerare investimenti di cui potrebbero beneficiare famiglie e imprese.

Un risultato positivo di questo dibattito estivo sta nel fatto che si è chiuso il periodo di prova del ministro Cingolani. Ora dovrà decidere da che parte stare, perché uno scienziato ha la libertà di girare per convegni e fiere a commentare idee e tecnologie, ma un ministro parla con gli atti che è capace di far approvare.

Per lui il banco di prova arriverà presto, visto che nei prossimi mesi il governo dovrà approvare un nuovo Piano energia e clima con le scelte per raggiungere gli obiettivi fissati dall’Unione europea al 2030, e poi la semplificazione delle autorizzazioni per i progetti degli impianti da rinnovabili, le nuove politiche per aiutare i sindaci a rendere città e territori resilienti nei confronti di impatti climatici sempre più drammatici e realizzare una drastica accelerazione negli interventi indispensabili alla transizione ecologica previsti dal Pnrr.

Di sicuro non potrà trincerarsi dietro le accuse agli ambientalisti o alle regioni, visto che ha la responsabilità e il privilegio di poter definire in un momento delicatissimo scelte fondamentali per il futuro del Paese.

© Riproduzione riservata