L’Italia avrà la responsabilità  dell’incontro globale dei “Giovani per il Clima”,  Youth4Climate, a Milano, dal 28 al 30 settembre 2021, in preparazione della Cop26, la Convenzione delle Parti sul clima coordinata dalle Nazioni Unite, che riunisce i rappresentanti dei Governi di tutto il mondo al più alto livello.

Sarà la prima Convenzione delle Parti a discutere di crescita sostenibile dopo il disastro del Covid 19, a un anno di distanza dall’uscita degli Stati Uniti di Donald Trump dai negoziati globali. l’Italia ne sarà co-presidente di turno con la Gran Bretagna.

Ma è la Cop dei Giovani l’evento straordinario: a Milano, per la prima volta, i ragazzi tra i 18 e i 29 anni parteciperanno con un ruolo istituzionale ai negoziati sul clima, a dimostrazione che la loro voce e la ribellione di questi anni ha pesato.

I delegati provenienti dai 197 paesi della Convenzione delle Nazioni Unite (2 per paese) si incontreranno per preparare il processo negoziale della Pre-COP26. La guida è affidata a due giovani coordinatori dal curriculum impegnativo: Salina Abraham (di origine eritrea, riconosciuta consulente nelle Nazioni Unite, con studi a Harvard) e Ahmed Badr (ex rifugiato iracheno, scrittore, artista multimediale, imprenditore sociale, Fondatore di Narratio).

L’occasione per l’Italia può avere una rilevanza significativa e richiede preparazione adeguata per almeno tre motivi: per il contributo di pensiero che il nostro Paese può dare nello scenario mondiale; per il risvolto politico interno in un momento che richiede di valorizzare gli elementi di solidarietà collettiva emersi durante la crisi sanitaria; perché,  dopo il distanziamento sociale sofferto nella pandemia, i ragazzi avranno l’opportunità  di partecipare a questo impegno collegiale.

La preparazione

L’evento può contribuire a ricostruire un ponte con le nuove generazioni, oggi assai labile, per affrontare con strumenti adeguati il debito di carbonio che lasceremo loro.  Ed è naturalmente importante riempirlo di contenuto: da qualche mese i delegati comunicano tra loro in video, sui webinar del Ministero dell’Ambiente.

  A Milano si concentrerà l’impegno dei giovani per il clima su tre fronti, espressi da Emanuela Del Re, viceministra agli Affari Esteri e alla Cooperazione Internazionale: sicurezza alimentare, istruzione e parità di genere. Nell’istruzione rientrano la costruzione di una consapevolezza civile da diffondere e radicare, oggi carente, e l’alfabetizzazione climatica.

In Italia i giovani si sono mostrati attivi: i ragazzi del Fridays for future, ad esempio, si sono espressi in questi giorni con proposte e critiche da discutere sulla allocazione da parte del governo italiano del Next generation fund, giustamente da loro rivendicato come tale.

E’ un atteggiamento importante di discontinuità nel comportamento sociale giovanile rispetto al decennio passato, che richiede di essere colto e valorizzato. Nel confronto con le giovani generazioni del secolo scorso, infatti, la loro disaffezione dalla politica oggi colpisce. 

Meno politica? 

Uno studio approfondito, appena pubblicato dal Bennett Institute for Public Policy dell’ Università di Cambridge (UK), fondato su una impressionante serie di dati, mostra il distacco dei ragazzi di oggi  dalla partecipazione politica in confronto con le coorti di giovani del secolo scorso.

Raggruppati in 4 coorti – i Millennial, giovani del nuovo millennio nati tra il 1981 and 1996;  la Generazione X,  i giovani degli anni 1990, nati tra il 1965 e il 1980; i Baby boomers, la generazione degli anni “1960 - 1970”, nati nel 1944-1964; fino alla generazione dei nati tra le due guerre tra il  1918 e il 1943 – l’analisi mostra che la scarsa sensibilità democratica (democratic disconnect) maturata nei ragazzi di oggi è un’eccezione. La ascrive a cause che sono da ricercare nella forzata emarginazione sociale dovuta al basso reddito a fronte di un maggiore costo della vita, alla disoccupazione diffusa fino a un’età più avanzata che in passato, alla scarsa indipendenza economica che ne consegue, a una severa mancanza di prospettive che rendono difficile un ruolo attivo nella società.

La disaffezione colpisce soprattutto la enclave dei millennial nelle democrazie più sviluppate, in particolare nei paesi anglosassoni e nell’Europa meridionale, fino a generare una sfiducia nel futuro che rende molti giovani facile preda di populismi, di ribellismo anarchico, di debole (o nulla) identificazione  nelle istituzioni, raggiungendo i comportamenti estremi dell’adesione cieca di alcuni (pochi) al richiamo dell’integralismo islamico.

Tra le soluzioni c’è la necessità  di offrire prospettive economiche di lavoro e formazione per consentire un inserimento sociale dignitoso a un’intera generazione. E i progetti di crescita sostenibile di cui si discuterà nella Cop 26 dovranno incentrarsi sull’inserimento al lavoro di questa generazione attiva, portatrice di un pensiero nuovo.

Students attend a "Fridays For Future" protest rally in Rome, Friday, Oct. 9, 2020. (AP Photo/Gregorio Borgia)

Il disastro italiano

A partire da questi risultati l’Italia offre un pessimo esempio nel panorama europeo, è noto, per il debole interesse che la classe dirigente mostra nei confronti dell’istruzione e dell’inserimento dei ragazzi nel mondo del lavoro; nei dati tratti del Rapporto di Monitoraggio dei Giovani della Commissione Europea (2019)  il tasso di occupazione tra i 20 e i 34 anni in Italia è pari al 56,5 per cento, contro una media Ue dell’81,6 per cento.

Anche per questo è significativo che i movimenti di protesta giovanili che hanno riempito le piazze prima della pandemia, tra i Fridays for Future, trovino spazio e voce nel consesso globale del Youth4climate di Milano.

La crescita sostenibile richiede un capovolgimento del pensiero corrente, una visione che trascenda il presente, percorribile dai più giovani. Gli Accordi raggiunti nella Conferenza di Parigi della Cop21 (2015) fecero clamore per l’adesione mondiale e soprattutto per la responsabilità condivisa assunta da Xi Jinping e Barack Obama nella guida di una strategia fatta di interventi concreti. Fu un momento alto per la cooperazione globale, che ridiede speranza e visione alle popolazioni da poco uscite dalla grande crisi del 2008.

La battaglia per il clima sembrò offrire terreno alla consapevolezza che questa fase del capitalismo richiede un nuovo approccio multilaterale di lungo periodo da parte di leader visionari delle maggiori potenze, in grado di superare nazionalismi e strategie di corto respiro per affrontare i rischi incommensurabili che minacciano le popolazioni del pianeta.

L’occasione di Biden

Per un attimo, nel 2015, con la Cop21 si respirò la stessa aria di cooperazione internazionale che si aprì dopo la grande crisi del 1929 e le due guerre, e che a Bretton Woods portò i leader delle potenze mondiali a definire la strategia e l’architettura istituzionale di una cooperazione di lungo periodo.

Ma la speranza fu di breve durata. Dopo meno di due anni Trump ritirò gli Stati Uniti, facendo prevalere una visione commerciale nazionalista fondata su rapporti bilaterali che assicurassero agli Stati Uniti il prevalere della loro forza contrattuale.

Oggi dopo la tragedia della pandemia, la Cop26  riapre la possibilità di una svolta. E’ il punto che segna la maggiore discontinuità nell’alternanza elettorale degli Stati Uniti.

Joe Biden, da presidente eletto, ha subito dichiarato che gli Stati Uniti torneranno a essere parte della strategia globale sul clima e ne assumeranno di nuovo la responsabilità.

E’ dunque un momento storico, quello che l’Italia e la Gran Bretagna si trovano a coordinare nella Cop26: l’urgenza della crescita sostenibile, oltre a costruire un ponte tra generazioni, offre un terreno di cooperazione tra le grandi potenze -Stati Uniti, Cina e Europa- anche per sanare le indegne ingiustizie sociali emerse con drammatica evidenza nella pandemia.

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