Era il 10 febbraio quando, dalle pagine di Domani, ReCommon metteva in guardia sulle porte girevoli tra finanza pubblica e industria fossile, con il conseguente rischio di importanti conflitti d’interesse. Nei giorni precedenti, Rodolfo Errore aveva lasciato la presidenza di Sace – l’assicuratore pubblico controllato dal ministero dell’Economia e delle Finanze, che copre dai rischi politici e commerciali le multinazionali italiane nel loro export e investimenti – per approdare ai vertici di Ludoil, società attiva nei settori petrolifero e petrolchimico.

Se quella porta era “in uscita”, il timore che funzionasse anche in senso inverso si è infine concretizzato: il nuovo presidente di Sace, Filippo Giansante, è anche membro del consiglio di amministrazione di Eni. Si potrebbe dire che è facile essere Cassandra con il sistema Italia.

I fondi green

In data 18 maggio, l’assemblea degli azionisti di Sace ha approvato il bilancio d’esercizio 2021 e ha nominato il nuovo consiglio d’amministrazione, in carica fino al 2024. Le posizioni apicali di uno degli enti chiave per l’implementazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) in chiave “green” saranno così ricoperte da Alessandra Ricci come amministratore delegato e, appunto, da Filippo Giansante nel ruolo di presidente.

Alessandra Ricci ha finora ricoperto il ruolo di responsabile dei programmi “Garanzia Italia” e “Garanzie Green” di Sace, che avrebbero il compito di trainare l’economia italiana fuori dal pantano post pandemia in chiave ecologica. Tuttavia, da aprile 2020 a oggi, numerosi prestiti erogati dalle banche e garanti all’80 per cento da Sace sono finiti a società operanti nel business dei combustibili fossili.

Tra questi, troviamo 365 milioni di euro a Maire Tecnimont; tra i progetti in cui la multinazionale è coinvolta, si può annoverare l’Amur Gas Chemical Complex, della società russa Sibur: “il più grande progetto realizzato da Maire Tecnimont”, come afferma la società. Ci sono poi 662 milioni di euro garantiti tra il 2020 e il 2022 a Saras, il colosso petrolchimico della famiglia Moratti, spesso sotto i riflettori per le denunce di inquinamento, con gravi ripercussioni sulla salute, da parte delle persone che vivono nei pressi della raffineria di Sarroch, Sardegna.

Tra le società beneficiarie delle garanzie di Sace c’è anche Saipem, controllata da Cassa Depositi e Prestiti ed Eni, vero “braccio” degli interessi fossili italiani, contribuendo alla costruzione di infrastrutture per nuovi progetti di esplorazione, produzione e trasporto di idrocarburi. Di recente, Saipem ha beneficiato di un importante piano di salvataggio, con un finanziamento di 855 milioni di euro garantito da Sace. Ciò significa che, alla luce del presente incerto di Saipem, se qualcosa dovesse andare mle il prestito bancario sarà ripagato con soldi pubblici.

“Garanzia Italia” è stato istituito dal governo Conte II con il decreto legge Liquidità di aprile 2020 e rinnovato periodicamente, innescando un processo di radicale trasformazione di Sace, facendola divenire un attore di primo piano per tutto il sistema Italia, non solo sul lato dell’esportazione. Il dl Liquidità permette infatti a Sace di garantire con i soldi pubblici i prestiti bancari alle aziende italiane in difficoltà per la pandemia operanti sul territorio italiano. Ciò significa che, in caso di insolvenza, i soldi della cittadinanza vanno a saldare il debito con le banche anche per le operazioni nazionali. Con il dl Semplificazioni di luglio 2020, è stato affidato a Sace il ruolo di rilasciare garanzie a sostegno di progetti tesi ad agevolare la transizione verso un’economia pulita e circolare.

Una questione di lobbying

Filippo Giansante è invece membro del CdA di Eni in quota Mef. La principale multinazionale fossile italiana ha esercitato tutta la sua “potenza di fuoco” nel tentativo di orientare i fondi del Pnrr, all’epoca Recovery Plan, a favore del suo business fossile: fra il 2020 e il 2021, Eni ha guidato l’attività lobbistica con almeno 20 incontri ufficiali.

Sfruttando le sue relazioni privilegiate con lo stato, il Cane a sei zampe è riuscito a far sì che le successive versioni del piano coincidessero sempre più con il suo piano industriale. Solo l’intervento della Commissione europea ha posto un freno all’esito più pericoloso per l’ambiente e il clima. Tuttavia, la guerra in Ucraina rischia di sparigliare le carte di Next generation Eu e, di conseguenza, di tutti i piani nazionali di ripresa, tra cui quello italiano.

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