Giraud è diventato direttore del programma di giustizia climatica, un campo di ricerca interdisciplinare, che unisce macroeconomia, scienza climatica, fisica, biologia. Il suo obiettivo è sviluppare un modello ibrido di previsione: «Mettiamo che io voglia calcolare l’impatto di una carbon tax in Italia», spiega Giraud, collegato via Skype da Washington. «Il modello ci dirà che impatto ha quella tassa sui consumi, l’economia, le emissioni e il clima». Nel 2012 ha pubblicato per la prima volta Transizione ecologica (Emi), un saggio imprescindibile per capire le connessioni tra finanza, politica e clima. Ha ovviamente osservato con attenzione le cose italiane, non ultimo per la connessione gesuita che sembra innervare la nostra vita pubblica.

Draghi ha frequentato una scuola gesuita, nel discorso al Senato ha citato il gesuita papa Francesco sull’ambiente. C’è qualcosa in questo approccio che lo rende sensibile al cambiamento climatico?

La risposta è sì. L’approccio francescano sembra in apparenza più adatto a una relazione profonda col creato ed è la ragione per cui un papa gesuita ha il nome di Francesco. Ma noi gesuiti abbiamo un forte legame con l’ecologia. Primo perché abbiamo un rapporto ottimista con l’antropologia, non siamo ossessionati dal peccato e dalla sessualità. Abbiamo fiducia nel fatto che l’essere umano farà il meglio di quello che può e questo ci rende ottimisti. Lo scetticismo climatico è il prodotto del pessimismo. Se credi che non ci sia via d’uscita, è più comodo credere anche che non ci sia nemmeno il problema. E poi abbiamo per natura un approccio globale ai problemi.

Che opinione ha di Draghi? Nel suo libro ci sono opinioni dure sul suo operato.

Ho un punto di vista sfumato. Quando divenne presidente della Bce ero critico, perché veniva da Goldman Sachs. Ma devo ammettere che ha fatto un lavoro migliore rispetto a Trichet, con la politica di quantitative easing ha aiutato gli stati dell’Eurozona. In realtà però lui ha salvato le banche, non gli stati in sé, come molte persone pensano. E lo ha fatto a patto che fossero in grado di rivendere quel debito. È un approccio perverso: vi teniamo a galla ma possiamo farvi annegare in qualsiasi momento. È un’eredità controversa, secondo me.

Dalle sue prime parole Draghi sembra intenzionato a una vera transizione ecologica.

Ogni volta che sono venuto a Roma negli ultimi anni sono rimasto sconvolto dal fatto che nessuno parlasse di problemi ecologici, anche se l’Italia è profondamente colpita dal cambiamento climatico. Un anno fa ho detto in Vaticano: se non fate niente, dovrete spostare la sede da Roma, proprio come la capitale dell’Indonesia si è dovuta muovere da Jakarta. Quindi è una buona notizia che Draghi abbia posto la sfida ecologica in cima all’agenda.

Lei vede la transizione ecologica non solo come una necessità, ma anche come un’opportunità per curare il nostro sistema economico. Perché?

Lo scenario economico dell’Europa occidentale rischia di diventare come quello del Giappone. Deflazione, nessuna crescita, tassi bassi, debito pubblico e privato molto alti. Economie addormentate e impossibili da svegliare. L’unico modo per sfuggire a questa minaccia è usare la transizione ecologica come un stimolo per il risveglio. In Francia significa diversi milioni di posti di lavoro, che i giovani aspettano e chiedono. Lavori che non possono essere delocalizzati. Se devi fare la ristrutturazione termica degli edifici, la devi fare in Italia, non in Cina. C’è il tema della mobilità green, quasi interamente su rotaia, con poche auto e solo elettriche, che ha bisogno di un ampio progetto di riorganizzazione urbana. Altro lavoro che si crea. E poi serve una riconversione industriale, su cui l’Italia ha grande vantaggio, perché c’è una tradizione industriale. Ci vogliono ingegneri, scienziati, manager.

La Francia ha iniziato questo percorso con Macron, ma sembra non stia funzionando. Perché?

Il percorso era stata avviato con Hollande, Delphine Batho e Ségolène Royal. Era stata creata una commissione scientifica per elaborare gli scenari della transizione, qualcosa che dovreste fare anche in Italia, cinquanta scienziati di massimo livello che possano elaborare modelli e soluzioni. Era stata fatta una buona legge sull’energia. Macron non ha implementato questo lavoro perché non crede nell’ecologia, è l’equivalente francese di Renzi, parla tanto e non fa niente.

Negli Stati Uniti dove vive siamo in una fase di grande ambizione climatica. Che ostacoli vede?

La pandemia e il potere dell’industria delle fonti fossili, ancora forte. Ma un ulteriore grande problema sono gli americani, totalmente dipendenti dal consumo di energia. Dovranno capire che devono consumare meno e questo è uno shock per la loro civiltà, fondata sul sogno che non ci siano limiti, che ci sarà sempre abbondanza di tutto. Dovranno comprendere che non è vero, che il mondo è fatto di risorse finite e che lo stiamo distruggendo con una crescita senza limiti.

Passando al suo campo di studi, quale sarà il ruolo della finanza nella transizione ecologica?

Un ruolo enorme, perché servono tanti, tanti soldi per le infrastrutture verdi. Servono migliaia di miliardi ogni anno, lo dicono l’Ipcc e l’economista inglese Nicholas Stern. Il problema è che la finanza ora fa solo greenwashing. Prendiamo i green bond: non sono green, sono solo bond. L’eredità del passato è ancora pesante. Banche, assicurazioni e hedge fund hanno troppi asset legati alle fonti fossili nei bilanci. Per il bene dell’ambiente dobbiamo chiudere quegli investimenti, ma così gli asset andranno a zero in pochi anni. Le banche falliranno e lo sanno. Parlano di transizione ecologica, ma non la vogliono, perché sanno che, se succederà, loro moriranno.

E come se ne esce?

Dovremmo chiedere alla Bce di comprare questi asset sporchi, toglierli dai bilanci delle banche, a un prezzo ridotto, così che il costo sia condiviso con le banche stesse. In cambio dovranno smettere di finanziare questi progetti. In Francia, sette euro su dieci che le banche investono in energia vanno ancora su fonti fossili. È una catastrofe. La Bce toglierebbe questi asset dal mercato, si terrebbe il danno economico e non sarebbe un problema, perché è una banca centrale, potrebbe ricapitalizzarsi, creare soldi.

Sarebbe un quantitative easing ecologico?

Esatto, lo si può chiamare così. È una cosa che sicuramente Mario Draghi può capire. Quando ne parlo con i banchieri francesi, quelli onesti sono d’accordo con me. E gli altri hanno paura di perdere il lavoro. Le banche faranno tutto quello che possono per impedire la transizione ecologica.

Pensa che questa transizione ecologica possa essere una nuova fondazione per l’Unione europea?

È quello che credo. Dovremmo rifondare il progetto europeo intorno all’ecologia, cancellando i debiti pubblici, per creare una nuova libertà fiscale e investire in infrastrutture verdi, con un pacchetto di stimoli pari a quello promesso da Biden, almeno duemila miliardi di dollari. Sarebbero una rinascita della società europea.

Qual è il ruolo della cristianità nella transizione?

Per cambiare servono anche nuove risorse culturali e intellettuali. È necessaria una promozione dei beni comuni, la salute, l’acqua, le foreste, e per farlo ci vogliono nuove istituzioni. Ne abbiamo per i beni privati, il mercato, per i beni pubblici, gli stati, ma non per i beni comuni. Dobbiamo inventare qualcosa che non sia né il mercato né lo stato. L’Italia può farlo, avete una grande creatività istituzionale, in fondo avete inventato l’università. La cristianità può essere una delle risorse che contribuiranno a queste nuove istituzioni. Mettere le cose in comune è un modo molto cristiano di organizzare la società.

Avrebbe visto le storture della nostra economia se non fosse diventato gesuita a un certo punto della sua vita?

Credo di no. Ero un consulente per le banche, diventare gesuita mi ha reso libero, perché non ho più una carriera da proteggere.

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