La transizione energetica regge in Europa, mentre perde spinta sulla scala globale. È questa la lettura che si può fare dell’incrocio tra il delicato passaggio del pacchetto climatico europeo – Fit for 55 –  sopravvissuto in buone condizioni al duro negoziato tra i paesi membri, e il G7 in Baviera, che ha invece certificato come l’uscita dai combustibili fossili al momento per le grandi economie si traduca solo nella complicata uscita dai combustibili fossili di Putin.

Sembra la conferma della profezia fatta pochi giorni fa da Mauro Petriccione, direttore generale clima alla Commissione europea, all’inaugurazione della sede del Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici: «L’Europa deve accelerare sulla transizione, a prescindere da quello che fanno gli altri, non solo perché è moralmente giusto, ma perché è l’unica area in grado di dimostrare al mondo che un’economia prospera e decarbonizzata è davvero possibile».

Il testo finale del G7 ammette che finanziare combustibili fossili (carbone, petrolio e gas) mette a rischio gli obiettivi dell’accordo di Parigi, ma lascia una scappatoia per nuovi progetti di estrazione «in circostanze limitate» che ogni paese definirà per sé.

Le eccezioni

Il sostegno pubblico a nuovi investimenti in gas può essere appropriato «come risposta temporanea a circostanze eccezionali».

Come spiega Jacopo Bencini, policy advisor di Italian Climate Network: «Bisogna vedere cosa intendiamo per “temporaneo”, mancano otto anni alla fine del decennio, quando dovremo aver dimezzato le emissioni. Ogni investimento ci lega a nuove infrastrutture troppo care per durare pochi anni e poi essere abbandonate. Anche sul petrolio: si parla di sostituzione di quello russo, ma contemporaneamente si chiede all’Opec di aumentare la produzione».

Il G7 a guida tedesca ha certificato lo stallo globale causato dalla guerra di Putin. Al di là del felpato linguaggio diplomatico, siamo nella fase di un liberi tutti climatico, la corsa alla diversificazione dei fornitori di gas e petrolio ha rimpiazzato la transizione.

Il dilemma attuale di ogni paese democratico è come unire sicurezza energetica e sostenibilità. Il tassello che manca alla visione del G7, secondo Luca Bergamaschi, fondatore del think tank Ecco, è l’efficienza: «Il tetto al prezzo del gas, battaglia chiave dell’Italia, è un bluff inutile e facile da vedere per la Russia. Colpisce che un tecnocrate come Draghi sposi acriticamente la posizione dell’industria del gas. La soluzione è lavorare sulla domanda, attraverso efficienza e risparmio, assenti nei calcoli del G7».

Italia e G7 non hanno intenzione di andare in quella direzione, ridurre e rendere più efficienti i consumi è ancora un tabù politico e culturale. In Baviera c’è stata anche una resa al carbone, che non sembra affatto pronto a essere consegnato alla storia (come promesso alla conferenza sul clima di Glasgow) e una serie di intenzioni vaghe sulle auto elettriche.

L’impianto regge

Nelle stesse ore l’Ue ha dato una prova di convinzione sul pacchetto Fit for 55, le misure per ridurre le emissioni del 55 per cento entro fine decennio, condizione necessaria per azzerarle al 2050.

Il simbolo dello scontro era il 2035, la data per la fine della vendita di auto che emettono CO2 (benzina, diesel, ibride). Il Consiglio, cioè il negoziato tra gli interessi dei paesi, era il passaggio più complesso.

L’Italia guidava il fronte di chi chiedeva varie eccezioni e un rinvio di cinque anni. Le eccezioni sono arrivate, per le auto di lusso, e c’è la promessa di rivalutare i biocarburanti nel 2026, ma l’impianto ha retto.

«È una decisione storica, che ci dà una possibilità reale per zero emissioni al 2050. Ora l'industria avrà direzioni chiare e i governi non avranno scuse», spiega Veronica Aneris, direttrice di Transport&Environment Italia.

Il testo finale sarà approvato a settembre, ma la data di scadenza alla vendita di veicoli privati inquinanti non è mai stata così vicina.

Resta l’ambiguità del nostro governo: la cordata Draghi, Giorgetti (Sviluppo economico) e Cingolani (Transizione ecologica) ha fatto dell’Italia uno dei paesi più ecologicamente conservatori tra le economie avanzate.

In Europa ha vinto un'altra linea, meno visibile, quella che lega Orlando (lavoro) e Giovannini (infrastrutture), ma soprattutto ha retto la tenuta del Green Deal, anche contro l'improvvisata coalizione messa insieme dall'Italia contro le auto elettriche (Slovacchia, Romania, Bulgaria, Portogallo). Come spiega Aneris «anche il discorso pubblico sta cambiando, i sindacati sono i primi ad aver capito che posticipare di qualche anno la transizione non salverà i posti di lavoro, e che servire convertire rapidamente la filiera». Con Fit for 55 l'Unione sta provando a riscoprirsi baluardo della transizione, a patto di non essere sabotata dall'interno. 

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