La domanda fondamentale sull’agricoltura biodinamica è questa: come può un settore così piccolo (lo 0,4 per cento dei suoli coltivati italiani) ed economicamente quasi irrilevante aver polarizzato così il dibattito, facendo indignare scienziati che in molti casi si occupano di altro come la senatrice a vita Elena Cattaneo? La domanda quindi è: cosa c’è in gioco? Ecco una risposta: in gioco c’è il futuro della nostra società.

Un dibattito antico

La coltivazione biodinamica, che unisce agronomia biologica integrale ed esoterismo, poggia su un nervo scoperto del nostro mondo, particolarmente scoperto in questo momento storico: il metodo scientifico avrà tutte le risposte di cui abbiamo bisogno? O si deve cercare anche altrove? È questa la domanda politica che avanzano le passate di pomodori o i costosi vini prodotti in terre concimate con il cornoletame o le vesciche di cervo maschio riempite di fiori di achillea.

Il disegno di legge approvato al Senato (e in attesa di tornare alla Camera) ha portato in superficie un dibattito viscerale che agitava la scienza agraria (e non solo) da anni.

Per capirci dobbiamo prima definire i termini della questione. Una legge sull’agricoltura biologica era attesa da anni, ha avuto la laboriosa lavorazione tipica del parlamento italiano ed è vicina al traguardo, un traguardo importante anche perché c’era da recepire un mandato europeo.

Secondo la strategia farm to fork, i paesi dell’Unione devono avere l’obiettivo di aumentare la coltivazione biologica fino al 25 per cento del totale entro il 2030. Già oggi l’Italia è il paese più bio d’Europa, 15,8 per cento, contro il 10,1 per cento della Spagna, il 9,07 per cento della Germania e l’8,06 per cento della Francia. Di questa transizione ecologica verso il biologico l’agricoltura biodinamica è una piccolissima parte, destinata a rimanere tale, eppure è quella che ha monopolizzato il dibattito politico.

Il ddl 988 è composto di ventuno articoli e la parola biodinamico ricorre solo quattro volte, ma sono state abbastanza da scatenare un conflitto totale e a tratti paradossale. Gli scienziati vedono l’equiparazione di biodinamico e biologico come una linea da non far superare all’Italia, una trincea da difendere a ogni costo. Gli «esoterici» invece usano le strategie retoriche che in teoria appartengono al fronte opposto, almeno prima delle guerre tra virologi sul Covid: sobrietà, invito ad attenersi ai fatti, denuncia di fake news. Insomma, i nemici del biodinamico stanno provando ad accendere il conflitto, mentre i suoi sostenitori tentano di depotenziarlo.

Sponsorizzare l’irrazionale

La lettura della questione proposta dai fautori del biodinamico è: tutta l’agricoltura biodinamica è anche biologica, non c’è bisogno di preoccuparsi, lo stato certifica solo il biologico, se poi quel biologico è anche biodinamico, esoterico, astrale, cosmologico, sono fatti di chi lo coltiva e di chi lo compra. La lettura degli scienziati invece è: lo stato equipara il biologico e il biodinamico, mettendo l’agronomia esoterica sullo stesso piano dell’agronomia scientifica del biologico, è come se citassimo in una legge fattucchiere e venditori di amuleti, è una sponsorizzazione pubblica dell’irrazionalità. In un certo senso hanno ragione entrambi.

È vero, l’agricoltura biodinamica è sempre biologica e in quanto tale può accedere ai benefici della legge, senza bisogno di farsi certificare l’adesione alle fasi lunari, i preparati con parti di animali e altre stranezze. Ma con il ddl 988 l’agricoltura biodinamica ottiene effettivamente una legittimazione senz’altro sorprendente, e la riceve all’interno di una legge storica, pensata per riscrivere il corso dell’agricoltura italiana. Diventa, come il biologico, «produzione di interesse nazionale».

Se la legge 988 passasse nella formulazione attuale, per l’agricoltura biodinamica sarebbe una vittoria epocale, proprio per questo motivo i suoi sostenitori stanno scegliendo di non festeggiare in modo troppo vistoso. È una strategia che viene fuori in modo evidente parlando con Carlo Triarico, presidente dell’Associazione per l’agricoltura biodinamica. Triarico è una via di mezzo tra un filosofo e un lobbista, epistemologo di formazione, formatore di lavoro, cresciuto sotto l’ala di Giulia Maria Crespi (fondatrice del Fai ed ex editrice del Corriere della Sera), la persona che del biodinamico in Italia è stata il volto pubblico fino alla sua scomparsa, nel luglio 2020.

Nella nostra conversazione, Triarico sottolinea alcuni aspetti civilizzati e meritori dell’agricoltura biodinamica, provando a mettere sullo sfondo quelli più controversi. Parla di aziende agricole a ciclo chiuso, dell’agronomia rispettosa della biodiversità, e ripete che nel disciplinare biodinamico «i famosi preparati come il cornoletame sono solo poche paginette» e mi avverte: «Potrebbe trovare citazioni controverse se messe fuori contesto, ma non si deve scandalizzare, erano figlie del loro tempo».

Scienza o fantascienza?

Nelle prime pagine del famoso disciplinare, che regola una produzione in procinto di diventare «interesse nazionale», c’è però tutta la visione cosmologica dell’agricoltura biodinamica. «Vogliamo un’agri-cultura (scritto così ndr) che abbracci il mondo materiale e spirituale e autorizzi l’umanità a essere cosciente delle forze e sostanze cosmiche e terrestri (Impatto Cosmico e Spirituale)». È questo il côté esoterico giudicato inaccettabile da tanti scienziati italiani. Uno dei firmatari dell’appello per fermare la legge è il biotecnologo Roberto Defez, ricercatore del Cnr, grande e storico avversario di questo mondo.

«Il fatto che il biodinamico venga citato in una legge avvalora una tesi, è come se lo stato facesse un ddl che dà uno status a quelli che vendono le pozioni d’amore, è come far entrare gli astrologi nei consigli di facoltà, si dà una dignità alla stregoneria ed è questo che ci spaventa. È uno sconvolgimento di tutte le regole della scienza come le conosciamo». Si accalora molto, la battuta finale è: «Queste sono le pozioni di Harry Potter, qual è il prossimo passo? Il ministero della magia?». Il livello dello scontro è questo ed è questo da diversi anni, ma ora è diventato un fatto pubblico, una battaglia nazionale, perché la legge è in dirittura d’arrivo, certo, ma anche perché la scienza è in una posizione delicata dallo scoppio della pandemia in poi.

L’eredità di Steiner

L’agricoltura biodinamica nasce infusa del pensiero sviluppato negli anni ’20 da Rudolf Steiner, il fondatore dell’antroposofia, le cui eredità oggi sono le scuole steineriane (circa 4mila alunni in Italia), alcuni aspetti della medicina alternativa e l’agricoltura biodinamica. «Le particolari basi conoscitive dell’agricoltura biodinamica, per quanto vada oltre l’esperienza pratica e scientifica, sono date dal corso di Rudolf Steiner Fondamenti scientifico-spirituali per il progresso e dal contesto spirituale dell’antroposofia», conferma il disciplinare. Steiner si era fatto la sua idea di cosa dovesse essere l’agricoltura guardando le fattorie austriache dell’epoca, che in un certo senso ogni azienda biodinamica tenta di replicare. Questo ci è utile anche per mettere in prospettiva le cose: il biodinamico nasce prima del biologico, anche se oggi ne è una piccola nicchia integralista e culturalmente connotata.

«Essendo arrivati prima del biologico potevano porsi come concorrenti, la loro abilità politica invece è stata farsi percepire come alleati, presentarsi come un satellite del biologico, mettendosi in scia come un ciclista dietro un camion», sintetizza Donatello Sandroni, ricercatore, divulgatore e giornalista, uno dei più esperti cronisti dal fronte di questa guerra culturale.

Il giro d’affari

Il fondamento del biodinamico, come nelle fattorie degli anni ’20 visitate da Steiner, è un modello integrato che riunisce quello che gran parte dell’agricoltura contemporanea ha separato, con gravi conseguenze ecologiche: la zootecnia e la coltivazione dei campi. Tutte le fattorie biodinamiche devono avere gli animali, la cui sostanza organica viene riciclata con i famosi preparati come il cornoletame.

A loro volta, gli animali sono nutriti con i prodotti della terra dell’azienda e in questo sta il ciclo chiuso, uno dei valori più spendibili pubblicamente della biodinamica. Parliamo, come detto, di un micro-mondo: in Italia sono 4.500 aziende (su oltre un milione), 9mila ettari su 12,6 milioni coltivati nel nostro paese. C’è un soggetto privato di riferimento, Demeter, che ha un monopolio di fatto (anche se non formale) sulla certificazione biodinamica, a differenza di quanto accade col biologico, dove ci sono protocolli più trasparenti e nel quale operano due decine di certificatori diversi. Questo è uno dei punti più critici: i protocolli biodinamici sono invece proprietà di un’azienda privata, che i detrattori definiscono «opaca multinazionale» e Triarico «una semplice federazione di contadini».

Il quartier generale di Demeter International è Darmstadt, in Germania. In Italia è un’associazione senza scopo di lucro e quindi con bilanci non depositati. Ha una storia centenaria, come l’agricoltura che promuove, prende il nome dalla dea della fertilità Demetra. In Italia certifica circa 400 aziende, non è proprietaria del marchio biodinamico ma esercita un controllo rigido su come viene usato e si riserva, come conferma Triarico (che ne è sia partner commerciale con la sua associazione che socio fondatore), il diritto di intervenire qualora le pratiche biodinamiche vengano esercitate fuori dalle regole dei disciplinari.

Insomma, non è obbligatorio passare da Demeter per essere biodinamici ma Demeter si prende il diritto di sorvegliare su cosa viene definito biodinamico in Italia. Si possono solo fare inferenze sul business del certificatore unico Demeter. Ci ha provato Enrico Bucci sul Foglio, calcolando un giro d’affari stimabile tra 500mila e qualche milione di euro all’anno. Torniamo al punto di partenza: è un mondo piccolo, in cui girano relativamente pochi soldi. La battaglia sul biodinamico trascende completamente la sua dimensione economica.

Intendiamoci, anche se la legge non ha voci di spesa, le conseguenze non saranno solo culturali, ma anche economiche e strutturali.

Le conseguenze della legge

Il biodinamico, sulla scia del biologico, si trova a essere promosso come forma agricola preferenziale, riceverà fondi di ricerca, dovrà essere privilegiato nelle mense pubbliche e convenzionate, si ritrova al centro del villaggio, sarà oggetto di master, dottorati, corsi di formazione. Alessandro Vitale dirigente del Cnr e portavoce di Federazione italiana scienze per la vita, è un altro avversario della legge e questo è uno dei punti che teme di più: «Come scienziato il biodinamico mi mette con le spalle al muro, quando parli di forze non materiali io che strumenti ho per verificare o smentire? Il Cnr sarà davvero obbligato a finanziare ricerche su filtri magici, nelle facoltà di Agraria si insegnerà che il corno di vacca concentra su di sé forze cosmiche, è sconfortante». In realtà l’agricoltura biodinamica chiede di essere verificata scientificamente più sugli aspetti agronomici, ma come dice Vitale è impossibile ignorare quelli esoterici che ne sono alla base. Inoltre, questa pratica è già da tempo entrata nell’università italiana.

A Firenze c’è stato di recente un convegno molto dibattuto nel settore, nel quale si presentavano i risultati di una serie di ricerche internazionali sulla biodinamica, per il settore è stato un grande momento di validazione accademica. «Però annunciavano 147 lavori, ne sono stati presentati davvero solo 68, un terzo era contrario», spiega Donatello Sandroni, che aggiunge: «È vero, ci sono alcuni effetti positivi misurabili sul suolo con la conduzione biodinamica, ma se non spingi le produzioni, fai rotazioni frequenti, va da sé che quel terreno avrà più biodiversità e sostanza organica. Ma l’agricoltura biodinamica è molto altro e quell’altro resta il suo tallone d’Achille, per quanto provino a metterlo in secondo piano». Alcuni biodinamici saranno anche bravi agronomi, ma hanno idee scientificamente impresentabili e lo stato, con la legge 988, non può fare distinzione tra la prima e la seconda parte, deve accogliere tutto il pacchetto.

Critici, scettici e...

Una persona con la quale è interessante parlare di biodinamico è Franco Ferroni, responsabile agricoltura del Wwf e difensore della pratica. L’ambientalismo italiano ha un rapporto di vicinanza e (cauta) apertura sul biodinamico, col quale condivide una serie di battaglie: la contrarietà alla chimica di sintesi, la tutela della biodiversità, l’avversione totale agli ogm, il trattamento etico degli animali. Anche nella lotta per cambiare la Politica agricola europea, la Aiab (Associazione italiana biodinamica) è al fianco di Legambiente, Lipu, Wwf e Slow Food tra i firmatari di appelli comuni. «Devo dire che anche all’interno del comitato scientifico della mia stessa associazione c’è un dibattito abbastanza acceso tra critici, scettici e pragmatici», avverte Ferroni.

«La posizione ufficiale è che l’agricoltura è la prima causa di perdita della biodiversità e che qualsiasi approccio che consenta di ridurne l’impatto è benvenuto. Poi quando si entra nel merito ci sono opinioni e punti di vista molto diversi». Il punto del dibattito però è un altro e Ferroni non lo ignora: «La scienza ha dei limiti, non tutto è dimostrabile con un approccio scientifico tradizionale, perché sappiamo pochissimo di come funzionano gli ecosistemi naturali, il riduzionismo scientifico non dà risposte su risultati oggettivi. I preparati biodinamici hanno una carica microbiologica superiore rispetto ai compost tradizionali. Non so perché i risultati ci dicono che migliora con l’allineamento con le fasi lunari, ma è così».

Il successo culturale e politico dell’agricoltura biodinamica si nutre anche di questo, dell’insoddisfazione verso la scienza e la sua naturale evoluzione, verso i ritardi, i rigori e le fatiche che fanno parte del metodo scientifico. Il biodinamico è costoso per i consumatori e ancora lontano dall’avere presupposti solidi, ma non fa male al suolo né alle persone, sceglierlo rientra nello spettro delle scelte individuali e della libertà d’impresa. Legittimarlo con una legge però vuol dire tradurre nell’ordinamento una manifestazione di quell’insoddisfazione anti-scienza ed è una decisione della quale è impossibile non vedere i pericoli, soprattutto in un momento storico nel quale il rapporto tra gli individui e lo stato è stato giocato esattamente su questo: affidarsi alla scienza come atto di cittadinanza.

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