Mentre in Italia continua il battage a favore della riapertura al nucleare, è passato in secondo piano la notizia della severa relazione della Corte dei Conti francese sul reattore nucleare EPR (European Pressurized Reactor) che lo scorso 14 gennaio ha dato il costo finale di quest’ultimo reattore, costruito a Flamanville, con 12 anni di ritardo: 23,7 miliardi di euro. L’impianto doveva costarne 3,3. La Corte ha raccomandato all’azienda francese Edf di rimandare il progetto dell’EPR2 – cioè una versione semplificata dell’EPR - prima di averne risolto tutte le criticità.

Per la Corte, i costi dell’elettricità sarebbero compresi tra i 122 e i 176 euro a megawattora, se il reattore funzionasse a pieno carico per l’85 per cento del tempo, cosa che al momento non accade. I valori calcolati non sono troppo lontani da quelli stimati dalla Banca d’affari americana Lazard che, per i due costosissimi reattori americani AP1000, valuta un prezzo di 190 dollari al megawattora.

In questo momento, né negli Usa né in Francia, ci sono altri reattori in costruzione. Dunque, ha ragione chi afferma che investendo nel nucleare le bollette aumenterebbero. Per fortuna, il referendum del 2011 bloccò l’accordo italo-francese per costruire 4 EPR in Italia. Quando ci si riferisce alle bollette francesi ci si dimentica non solo che il prezzo dell’elettricità in Francia è amministrato ma, soprattutto, che la gran parte dei reattori è vecchia (dunque ha ammortizzato gli alti costi di investimento).

Sia l’EPR francese che l’AP1000 americano, pur essendo diversi, sono reattori ad acqua pressurizzata (PWR) come i tre quarti dei reattori oggi in esercizio. La Westinghouse, che ha sviluppato l’AP1000, aveva iniziato a costruire quattro di questi reattori, ma due li ha cancellati per i costi esorbitanti che portarono l’azienda a fallire nel 2017. Ha sviluppato invece l’AP300, che è il suo progetto di “piccolo reattore modulare” (SMR, Small Nuclear Reactor), il tipo di reattori che il governo italiano vorrebbe costruire in Italia. Peraltro, la Westinghouse di recente, ha proposto di costruire gli AP300 nei vecchi siti nucleari italiani. Si tratta del progetto di un “piccolo” reattore da 300 Megawatt, che sarebbe comunque più grande di quelli chiusi a Trino Vercellese, Latina e Garigliano.

Non esiste ancora alcun prototipo né di questo SMR né di nessun altro modello in un Paese occidentale. Quando Federico Fubini, sul Corriere della Sera del 10 febbraio, cita l’ottantina di progetti di Small Nuclear Reactor in corso, dimentica di aggiungere: di diverse tecnologie e nessuno ancora mai costruito nemmeno come prototipo in occidente.

E la grande varietà di progetti in campo indica l’estrema immaturità dell’industria, ognuno va per suo conto e in direzioni assai diverse. E, poi, Fubini prende come assioma che lo stoccaggio dell’energia (rinnovabile) su base stagionale non ci sarà mai (dunque serve il nucleare), mentre sia il governo tedesco che Terna lo ritengono un obiettivo raggiungibile nel medio periodo.

Ma poi questi SMR produrrebbero mai elettricità a minor costo dei loro fratelli maggiori? Pare proprio di no. Proprio il progetto della Westinghouse, basato su tecnologia esistente e largamente dominante, quella ad acqua pressurizzata, è stato analizzato sotto questo profilo dal Mit: anche costruendo 75 reattori AP300, il costo della loro elettricità sarebbe comunque quasi il 50 per cento superiore a quello del reattore di maggior potenza, l’AP1000, su cui invece il Mit è ottimista per il futuro. Ma, nel caso del EPR francese, come ricorda Robert Wright sul Financial Times del 10 febbraio, i costi dei reattori sono andati aumentando dal primo costruito in Finlandia a quelli in costruzione nel Regno Unito.

E i reattori innovativi? Nella storia di circa 70 anni dell’industria nucleare, non è mai successo che “tecnologie innovative” abbiano ridotto il costo di questa fonte (si è continuato a insistere con i reattori ad acqua pressurizzata). La storia, ad esempio, dei reattori veloci autofertilizzanti al plutonio – che dovevano produrre più plutonio di quanto ne consumassero – è fallita e a uno dei progetti principali, il Superphenix francese, costato circa nove miliardi in euro, partecipò anche l’Italia. Fu chiuso a fine anni ‘90 per i numerosi problemi irrisolti anche legati al punto di fusione del sodio (circa 98°C). Il battage attuale per i reattori veloci raffreddati a piombo fuso (oltre 327°C), un’idea non nuova, mai realizzata commercialmente, ricorda molto quell’esperienza, oggi nel dimenticatoio, coperta da un superficiale battage pro nucleare.

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