Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci della relazione della Commissione parlamentare Antimafia della XVII Legislatura, presieduta da Rosy Bindi per capire di più il ruolo delle logge massoniche negli eventi più sanguinari della storia repubblicana.


Il tema del rapporto tra mafia e massoneria affiora in modo ricorrente nelle inchieste giudiziarie degli ultimi decenni, con una intensificazione nei tempi più recenti, sia in connessione con vicende criminali tipicamente mafiose, soprattutto in Sicilia e Calabria, sia con vicende legate a fenomeni di condizionamento dell’azione dei pubblici poteri a sfondo di corruzione.

In tale prospettiva, la Commissione ha considerato un punto centrale della propria attività l’analisi del cambiamento delle mafie, e del loro nuovo modo di agire prevalentemente attraverso modalità collusive e corruttive, meno violente ma inclusive di una pluralità di soggetti all’interno della gestione degli affari, attraverso accordi di cui si fa garante con il consenso e le relazioni di cui gode e a cui conferisce forza per il tramite della propria “riserva di capitale” violento.

Di tali accordi corruttivi in cui sono presenti esponenti mafiosi si rinviene traccia ormai in tutte le indagini sui nuovi affari criminali, in cui confluiscono soggetti dell’impresa, della politica, dell’amministrazione e delle organizzazioni mafiose.

Sulla pericolosità del fenomeno la Commissione ha un interesse ad indagare che va ben oltre la mera ricerca degli elementi che qualificano la fattispecie di cui all’art. 416-bis c.p., che compete alla magistratura e che afferisce evidentemente alle condotte dei singoli e alla loro qualificazione giuridica. La Commissione indaga infatti su un piano diverso, politico, fondato sull’interesse pubblico della materia in base a un mandato della legge istitutiva, la quale stabilisce altresì che i compiti e i poteri di inchiesta sono attribuiti alla Commissione medesima con riferimento a tutte le forme e ai raggruppamenti criminali di questo tipo, non solo cioè quelli che abbiano le caratteristiche di cui all'articolo 416-bis del codice penale in senso tecnico, ma anche quelli “che siano comunque di estremo pericolo per il sistema sociale, economico e istituzionale”.

Su tale base, dal punto di vista privilegiato del proprio osservatorio istituzionale, la Commissione si è occupata dell’argomento delle infiltrazioni mafiose nella massoneria interloquendo con tutti i soggetti istituzionali coinvolti nella raccolta di utili elementi di conoscenza, soprattutto nel corso delle missioni territoriali in Sicilia e Calabria. Pur essendo già affiorato in precedenza, l’argomento è emerso con particolare rilevanza in occasione della missione effettuata a Palermo e a Trapani, il 18, 19 e il 20 luglio 2016.

In quell’occasione, nell’ambito delle attività istruttorie effettuate mediante interlocuzione con il prefetto, i rappresentanti provinciali delle forze di polizia, la magistratura distrettuale e circondariale, è stato ripetutamente affrontato il tema del rapporto tra Cosa nostra e la massoneria in Sicilia, anche in relazione alla vicenda dell’appartenenza a logge massoniche di alcuni assessori del comune di Castelvetrano (Tp), luogo di origine del noto capomafia latitante Matteo Messina Denaro.

Le vicende di Castelvetrano

Nonostante la mafia trapanese sia un’espressione tradizionale di Cosa nostra, già tendente di per sé al controllo economico e istituzionale di un territorio, essa - come accertato non solo nelle sedi giudiziarie ma anche nell'ambito dei lavori della Commissione antimafia da diverse legislature - ha caratteristiche proprie che assumono rilievo sia sulla sua particolare capacità di infiltrazione nella res pubblica sia sulla centralità, in siffatti affari, della cittadina di Castelvetrano.

In particolare, l’attuale capo della mafia della provincia di Trapani, il latitante Matteo Messina Denaro, da almeno un ventennio gestisce l’associazione mafiosa e il suo rapportarsi con il territorio secondo regole solidaristiche volte all’acquisizione del consenso degli associati e della società civile.

L’imprenditoria, ad esempio, non è vessata dall’imposizione del pizzo ma riceve l’aiuto economico e il sostegno mafioso offrendo in cambio, sinallagmaticamente, la titolarità di quote delle imprese. Pertanto, già la sola contrattazione della pubblica amministrazione con le società private, di fatto, finisce talvolta per avvantaggiare e rafforzare l’associazione mafiosa.

Significativi sono, al riguardo, sia i numerosi procedimenti penali sui condizionamenti degli appalti dove si evince, ancora una volta, l’assoggettamento dei pubblici interessi a quelli di cosa nostra e del suo leader Matteo Messina Denaro, sia, soprattutto, i diversi scioglimenti delle amministrazioni del trapanese (sette enti dal 1992 al 2012) e i molteplici provvedimenti di accesso ispettivo adottati negli anni, sebbene non conclusi con la misura sanzionatoria, fino a giungere, come si dirà, al giugno 2017 con lo scioglimento per infiltrazioni mafiose dello stesso comune di origine del latitante.

In tale contesto, la cittadina di Castelvetrano è al centro delle dinamiche mafiose della provincia di Trapani non solo quale luogo natale dei Messina Denaro, ma soprattutto perché questi da sempre amministra cosa nostra trapanese attraverso una cerchia di stretti parenti e di fidati amici lì residenti che gli consentono, dunque a tutela della sua latitanza, di evitare una continua permanenza in quel territorio e di mantenere comunicazioni diradate con gli associati.

Per comprendere quanto sia forte e determinante la presenza occulta di Messina Denaro a Castelvetrano basti richiamare le recenti vicende del defunto Lorenzo Cimarosa, cugino acquisito del capomafia e unico soggetto di quell’ambito familiare che ha reso dichiarazioni collaborative con la giustizia così minando, per la prima volta, l’intangibilità di una famiglia di sangue che è, al contempo, una famiglia mafiosa.

Ebbene, non solo egli e i suoi figli hanno subito l’isolamento da parte di taluni concittadini, ma dopo la sua improvvisa morte, avvenuta nel gennaio del 2017 a causa di una grave malattia, nel successivo mese di maggio la sua tomba è stata profanata.

Del resto, basti pensare alle agghiaccianti dichiarazioni rese sul punto proprio da uno dei candidati sindaco di Castelvetrano nell’ultima tornata elettorale (che poi non ha avuto luogo per l’intervenuto provvedimento ex art. 143 Tuel). In una registrazione diffusa tramite i social, egli, negando l’esistenza della mafia, inveiva contro il figlio del collaboratore invitandolo a prendere le distanze dalla scelta del padre, accusava la magistratura e, di converso, elogiava la criminalità organizzata della quale condivideva pubblicamente le ragioni della devianza.

È in tale peculiare contesto ambientale, dunque, che si verificavano una serie di accadimenti che, nell’estate del 2016, portavano la Commissione parlamentare antimafia a svolgere una missione a Trapani.

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