La crisi ucraina ha messo a nudo l’ambiguità della linea politica di due leader italiani: il segretario della Lega, Matteo Salvini, e il presidente del Movimento 5 stelle, Giuseppe Conte. I due continuano a perseguire strade che li portano ai margini del dibattito politico sulla guerra, tramite una comunicazione social senza una vera direzione (soprattutto da parte del leader della Lega), giravolte sui rapporti con la Russia e Vladimir Putin e le battaglie dell’ultimo minuto sull’aumento delle spese militari. Conte e Salvini stanno procedendo con una sorta di conventio ad “auto” excludendum. Una riprova è il mancato invito a un convegno che si terrà oggi a Roma, nella sala del tempio di Adriano a piazza di Pietra, per parlare della difesa comune europea. 

L’incontro è stato organizzato dall’ufficio in Italia del parlamento europeo, in collaborazione con la Rappresentanza della Commissione europea. C’è un lungo elenco di invitati di peso: il ministro degli Esteri Luigi Di Maio (ieri sera ha fatto sapere che non può partecipare), il segretario del Pd Enrico Letta, Guido Crosetto di Fratelli d’Italia, in qualità di presidente della Federazione aziende italiane per l’aerospazio, il ministro della Difesa Lorenzo Guerini (sempre in quota Pd),  Antonio Tajani di Forza Italia, il leader di Azione Carlo Calenda ed Emma Bonino, senatrice di +Europa. È stato invitato anche l’ad di Leonardo, Alessandro Profumo.

Fuori dal dibattito

Foto AGF

I partiti di maggioranza sono quasi tutti rappresentati, manca Italia viva, ma soprattutto risultano due grandi assenti: Conte sia Salvini. Entrambi non sono stati invitati. «Non c’è stata una volontà escludente», dicono gli organizzatori.

In realtà, a quanto si apprende, era stato invitato il ministro leghista Giancarlo Giorgetti, ma non potrà esserci. Un particolare che sembra confermare, però, che l’esclusione non è casuale. O meglio l’auto esclusione. I due leader, infatti, sono sicuramente i più lontani dalla linea euro atlantica sulla guerra in Ucraina.

Basta leggere, ad esempio, l’intervista di Giuseppe Conte a Repubblica all’inizio di aprile, nella quale l’ex presidente del Consiglio se l’era presa con «il vetero-atlantismo di stampo fideistico unito a uno spirito bellicista».

C’è poi stato il caso tutto italiano dell’aumento delle spese militari del due per cento del Pil, deciso in ambito Nato nel 2012. Prima il Movimento 5 stelle ha votato a favore del rispetto del patto durante l’esame della questione alla Camera, poi è tornato indietro quanto lo stesso tema è stato affrontato al Senato. 

Mille Salvini

Il conflitto, in qualche modo, ha riunito gli ex alleati. E la guerra ha trasformato Salvini in un pacifista, sorvolando mestamente su tutte le posizioni del passato. Il 25 novembre 2015, quando era europarlamentare, ha pubblicato su Facebook una sua foto al parlamento europeo con un indosso una maglietta raffigurante il presidente russo.

Nel post ha scritto: «Qui Strasburgo. È appena intervenuto il presidente Sergio Mattarella, che ha detto che chiudere e controllare le frontiere europee non serve. No, certo, facciamo entrare altri milioni di immigrati… Cedo due Mattarella in cambio di mezzo Putin!».

Una maglietta l’ha sventolata anche il sindaco di Przemysl, Wojciech Bukan, di fronte al segretario leghista in visita al confine polacco, poco dopo l’inizio dell’invasione russa. Anche quella raffigurava Putin ed era identica a quella indossata da Salvini sette anni prima nel corso di una visita a Mosca. Il gesto del sindaco, ovviamente, è stato provocatorio.

Il segretario ha anche un ricco repertorio iconografico a tema armi risalente a neanche troppo tempo fa. La Lega, nel 2019, ha presentato anche una proposta di legge per facile l’acquisto di armi per la difesa personale. È il partito che ha fatto mesi di battaglie sulla legittima difesa, chiedendo una forte depenalizzazione nell’ambito domestico. 

«Mi piace Zelensky quando parla di pace, non quando si parla di invio di nuove armi o magari di mandare i nostri militari», ha detto a marzo il leader leghista. Sempre il suo partito, però, ha votato il decreto italiano per inviare le armi a Kiev. Anche questo fa parte di un percorso auto inflitto che porta entrambi leader ad essere poco credibili.

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