Le fondazioni politiche: che si amino o si odino, sono uno dei pilastri della democrazia tedesca. Lo ha capito perfino Alternative für Deutschland, che dopo anni di antipolitica e rifiuto del sistema partitico vuole finalmente creare la propria Stiftung. Non dev’essere stata una scelta facile per i radicali di destra, che per anni hanno accusato queste organizzazioni di «sfruttare lo stato» e aggirare le leggi sul finanziamento pubblico dei partiti (un tema su cui Afd ha già avuto parecchi problemi con la giustizia). Privarsi di una fondazione equivarrebbe tuttavia a lottare con una mano legata dietro la schiena, rinunciando a uno strumento con cui i partiti riescono a propagare la propria visione del mondo nella società.

Il problema, per il resto della classe dirigente tedesca, è proprio la visione del mondo che l’estrema destra vorrebbe divulgare. È dal 2017 che tutto l’arco parlamentare ha adottato, nel bene e nel male, una versione molto pragmatica del paradosso dell’intolleranza di Karl Popper, secondo il quale le democrazie debbono essere intolleranti con chi ne mette a repentaglio le fondamenta.

L’emarginazione del’Afd, un processo comunque controverso anche in uno stato esplicitamente antifascista, non potrebbe che essere esteso anche alla Desiderius-Erasmus-Stiftung, come il partito ha scelto di chiamare la propria fondazione.

Un progetto che non è comunque stato facile da lanciare, a partire dal nome: la scelta iniziale di Stresemann-Stiftung, in onore del grande uomo di stato conservatore della Repubblica di Weimar, era stata contestata dai discendenti del premio Nobel, ostili alle attività del partito. 

Una fondazione per complottisti

Non si può certo dire che non avessero le proprie ragioni: il comitato fiduciario della Erasmus-Stiftung è popolato da personaggi come Angelika Barbe, già attivista di opposizione in Germania Est che ha paragonato l’uso di mascherine alle stelle di David imposte alle vittime della Shoah; la direttrice designata Erika Steinbach ha invece sostenuto che i figli dei funzionari di Afd subiscono gli stessi soprusi dei «bambini ebraici» negli anni Trenta.

La nonchalance con cui il partito tratta l’Olocausto, oltre che alla retorica omofoba, xenofoba e complottista, sembrerebbe quindi riflesso anche nella neonata fondazione, pur stemperato dal tono accademico e pacato con cui la Erasmus-Stiftung presenta le proprie pubblicazioni.

Quel che è peggio è che dalla prossima legislatura queste idee potrebbero essere foraggiate con fondi pubblici, in barba al “firewall” con cui i partiti democratici hanno scelto di isolare Afd. Le fondazioni vicine ai partiti sono infatti uno dei principali destinatari di finanziamenti federali, seguendo il principio che per stimolare il dibattito pubblico serva fornire ai partiti (e alle constituency di riferimento) gli strumenti per elaborare politiche basate su ricerca e rigore scientifico.

Un obiettivo che è ragionevole pensare non sarebbe però condiviso da un partito negazionista del cambiamento climatico e che ha flirtato con posizioni poco salubri come la sterilizzazione forzata.

Le fondazioni politiche: funzionare al di là della legge

Ciò che mette in difficoltà gli altri partiti sono meno le intenzioni di Afd quanto le pecche nella governance delle fondazioni. O meglio, la mancanza di essa: non esiste infatti una vera e propria legge a cui si deve attenere la Commissione budgetaria del Bundestag. I 550 milioni di euro distribuiti nel 2020, senza contare i finanziamenti ad hoc per progetti e ricerche commissionate dai ministeri, sono ripartiti in base ai seggi vinti dal partito di riferimento alle ultime tre elezioni federali.

Ciò si applica ai partiti entrati almeno due volte in parlamento, come è virtualmente sicuro che lo sarà l’Afd dalla prossima legislatura; anche questa norma ha però origine in una dichiarazione comune siglata nel 1998 dai rappresentanti delle fondazioni.

Questa dichiarazione, tra le altre cose, impegna le Stiftungen a servire prima di tutto la democrazia tedesca, definendone il ruolo all’interno dell’agone politico. Come ammonito da una precedente sentenza della Corte costituzionale, le fondazioni non possono essere intese come strumento dei partiti per le campagne elettorali (per questo sono considerate parteinahe Stiftungen, fondazioni vicine ai partiti).

Piuttosto, queste istituzioni devono arricchire il dibattito pubblico attraverso un’opera di educazione, di ricerca e di supporto a studentesse e studenti con borse di studio. Il loro lavoro non è quindi mera propaganda politica, bensì il raffinamento di quei valori dei quali i partiti, almeno in teoria, si fanno portatori in parlamento.

La longa manus delle fondazioni

Questo aspetto è spesso sottovalutato all’estero, dove le fondazioni politiche tedesche vengono considerate un paradigma da imitare senza però capirne la funzione anzitutto sociale e scientifica. L’ingresso di Afd nel dibattito pubblico dimostra infatti anche i limiti di questo sistema.

Per la Erasmus-Stiftung, i valori da portare nella società si manifestano con articoli sulla “cattura” delle tv pubbliche da parte della sinistra radicale (con un pacato titolo come La tarda vittoria della Ddr), o una rivalutazione dell’autoritarismo nell’impero guglielmino.

È per questo che i partiti liberaldemocratici, sia all’opposizione che nella Große Koalition, si stanno attrezzando per evitare che questo tipo di ricerche venga sovvenzionato dopo le elezioni di  settembre.

Ironicamente, il modo più efficace e rapido per impedire un finanziamento della Erasmus-Stiftung sarebbe rendere più stringente l’impegno delle fondazioni a rispettare i valori fondamentali del Grundgesetz (la Costituzione). Per far ciò sarebbe tuttavia necessario codificare le regole autoimposte in una vera legge del parlamento, una mossa finora osteggiata dai partiti e probabilmente vista negativamente anche dalle altre numerose fondazioni vicine al mondo della politica, come quella dell’unione sindacale o quella della Bdi (Confindustria).

La difficoltà nel formulare un tale codice è legato anche al fatto che l’attuale ambiguità permette alle fondazioni di essere particolarmente competitive sul mercato del lavoro: pur dovendosi orientare agli stipendi del settore pubblico e non avendo il diritto di pagare i propri impiegati e dirigenti più di quello che potrebbero ricevere in un’istituzione federale, la Corte dei conti ha denunciato come le Stiftungen riescano spesso ad aggirare questi divieti.

Questa competizione fra istituzioni non è da poco se si considera quanto le fondazioni abbiano spesso una funzione “paradiplomatica” all’estero. Ad esempio, la Friedrich-Ebert-Stiftung, che con 625 collaboratori è in assoluto la fondazione con più dipendenti, ha più di cento uffici sparsi per il mondo, spesso in città di interesse strategico per la Germania come Mosca, Amman o Washington D.C.

Questi uffici, soprattutto se il partito di riferimento si trova al governo, serve spesso da canale di comunicazione informale fra Berlino e attori politici locali. Non sorprende quindi che stato e politica peschino dallo stesso pool di competenze.

Se la presenza di Afd nel prossimo Bundestag servirà a qualcosa, allora sarà costringere i partiti moderati a risolvere questa contraddizione nell’architettura della democrazia tedesca. Le conseguenze si faranno sentire sia in Germania che all’estero.

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