Ad Annalena Baerbock poteva andare molto peggio. Dopo l’archiviazione della campagna elettorale in cui la candidata verde si è clamorosamente autosabotata, ora ha di fronte a sé la sfida del ministero degli Esteri: Baerbock potrebbe vincerla grazie alle sue grandi capacità di analisi, riuscendo a imprimere al suo mandato un carattere atlantista mai visto prima a Berlino.

Come prima candidata cancelliera dei Verdi, la leader degli ecologisti ha dovuto sopportare un enorme peso mediatico e politico. La colpa per il crollo nei sondaggi e del declassamento dei Grüne da speranza dei progressisti a partner junior nella coalizione semaforo è stata addossata a lei: è stata accusata di essere troppo poco combattiva, troppo “prima della classe” e di non aver saputo connettersi emotivamente con gli elettori.

Ciò che è però stato un difetto in una campagna elettorale può dimostrarsi un pregio per il ruolo che andrà a ricoprire nel governo di Olaf Scholz. Il ministro degli Esteri tedesco è un ruolo particolarmente delicato negli equilibri europei, e Baerbock gode indubbiamente di una preparazione tecnica superiore a quella della maggior parte dei suoi predecessori (tutti uomini) alla guida dell’Auswärtiges Amt.

Certo, Baerbock non ha mai ricoperto una posizione di governo e sarà complicato per lei esercitare il controllo su un ministero con un esprit de corps così forte. D’altro canto, la politica estera era uno dei pilastri del programma elettorale dei Verdi, e il partito può contare su figure estremamente competenti in materia.

Baerbock stessa è nota nei circoli che contano nei rapporti transatlantici e nell’Europa politica: come membro del European Council on Foreign Relations ed ex del German Marshall Fund, avrà poche difficoltà a muoversi a Bruxelles e Washington.

I rapporti con gli Stati Uniti

Sarà infatti la dimensione atlantica a segnare il mandato della nuova ministra. Dopo il giuramento di Joe Biden i Verdi avevano presentato una bozza programmatica sulle iniziative che la Germania dovrebbe prendere per rafforzare l’alleanza fra gli Stati Uniti e i partner europei.

Nello scritto, pubblicato sul quotidiano conservatore e atlantista Frankfurter Allgemeine Zeitung, si è delineata un’agenda ambiziosa, il cui obiettivo è riconciliare il desiderio di maggiore sovranità strategica per l’Ue con il ritorno di un presidente amico alla Casa Bianca.

La gran parte di questo editoriale consiste nella proiezione internazionale delle priorità domestiche dei Verdi, che in un modo o nell’altro hanno trovato un proprio spazio anche nel contratto di governo fra i tre partiti della maggioranza.

Gli Stati Uniti vengono rappresentati come alleato necessario per la riuscita della transizione climatica e tecnologica, come l’introduzione coordinata di una carbon tax e la regolamentazione globale dell’intelligenza artificiale.

Molti di questi obiettivi saranno competenza dei ministeri in mano ai due leader verdi: Robert Habeck, il co-segretario al quale Baerbock ha dovuto cedere l’onore di diventare vicecancelliere, comanderà infatti un superministero per lo sviluppo economico, energia e clima.

Tutte priorità centrali anche per l’amministrazione Biden, con la quale i Verdi condividono una visione complessiva dell’economia e dell’ambiente: nessuna politica domestica in questi campi potrà essere priva di una sponda internazionale.

Baerbock troverà terreno comune con l’amministrazione Biden anche per quel che riguarda la linea dura nei confronti delle autocrazie. Negli anni all’opposizione gli ambientalisti hanno duramente criticato la politica mercantilista di Merkel nei confronti della Cina, così come la ricerca di un dialogo a ogni costo con Mosca.

Con la nomina di Baerbock si consuma un paradosso nei rapporti russo-tedeschi. I Verdi sono infatti esplicitamente opposti all’attivazione del Nord Stream 2, il gasdotto che i critici dicono aumenterà la dipendenza europea dalle risorse fossili russe. La nomina di Baerbock arriva però dopo l’accordo fra Washington e Berlino con cui gli americani hanno rinunciato a sanzionare la Germania per la costruzione di Nord Stream 2.

Allo stato attuale Baerbock dovrebbe quindi sostenere un progetto che piace al partito del cancelliere Scholz ma che irrita sia i Verdi sia l’alleato americano.

Rimane da vedere se i Verdi proveranno a riesumare le vecchie obiezioni statunitensi (e dei paesi dell’est europeo). Una questione simile si pone riguardo alla Cina.

Da un lato, Baerbock ha fatto propria la retorica di una competizione ideologica fra le democrazie liberali e Pechino; dall’altro, i funzionari del ministero sono poco inclini a sostenere una politica di contenimento esplicitamente anti cinese, come invece vorrebbero i falchi americani.

Multilateralismo verde

Baerbock e i Verdi rimangono sostenitori di un multilateralismo robusto e del disarmo, anche se sostengono una politica attivamente orientata alla difesa della democrazia. Non è un compromesso facile: nel complesso, la ministra dovrà alternare iniziative pacifiste a rassicurazioni internazionali dovute a logiche interne alla maggioranza.

Nel contratto di coalizione, ad esempio, il nuovo governo anticipa la volontà tedesca di permettere la continuazione della condivisione nucleare, cioè l’equipaggiamento della Luftwaffe con testate nucleari americane alla base della politica di deterrenza Nato.

Allo stesso tempo si annuncia l’ingresso come osservatori nel Trattato per la proibizione delle armi nucleari, appagando così la linea antiatomica dei Verdi.

Baerbock dovrà dimostrarsi capace di gestire le contraddizioni all’interno del governo e in parte nel proprio partito. L’ala centrista dei Verdi ha investito molto per sottolineare la propria affidabilità all’interno dell’alleanza atlantica.

A inizio anno Franziska Brantner, voce autorevole del partito in materia, si è addirittura contrapposta a un accademico americano sostenitore del ritiro degli Usa dall’Europa: una posizione impensabile per i fondatori del partito, provenienti dal movimento pacifista.

L’altra grande sfida per Baerbock sarà sapersi affermare in un sistema decisionale molto frammentato. Chi lavora nel ministero si aspetta la sostituzione di numerosi capidipartimento nominati negli ultimi nove anni di guida socialdemocratica del ministero.

Baerbock dovrà anche fare i conti con la parziale esternalizzazione delle competenze del Auswärtiges Amt da parte di altri dicasteri: negli anni Merkel c’è stato uno spostamento dei dossier più scottanti, primo fra tutti i rapporti con la Russia, verso gli uffici tematici della cancelleria.

Lo stesso fenomeno si è verificato su molti dossier politici europei, come la cooperazione con la Francia. Nel frattempo, le questioni finanziarie saranno gestite dal ministero delle Finanze a guida liberale.

L’approccio preciso e studioso di Baerbock, così poco adatto alla campagna elettorale, potrebbe però aiutarla a riconquistare un po’ di peso in complesse trattative multilaterali, oltre che fare la differenza nei temi rimasti in mano al ministero, primo fra tutti disarmo e rafforzamento delle organizzazioni internazionali.

In ogni caso, Baerbock avrà vita più facile del suo predecessore Maas, il cui mandato è coinciso con l’amministrazione Trump, spesso ostile rispetto alla cooperazione multilaterale.

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