Ancora all’inizio della crisi economica del 2008, la capitale tedesca era il sogno per giovani da tutto il continente. Con quello che in Italia bastava a malapena per una singola a Roma o Milano, a Berlino ci si poteva permettere un monolocale. Magari con doccia in cucina e bagno minuscolo, ma pur sempre una casa tutta per sé.

Negli anni le cose sono cambiate. Per la verità, già la maggioranza dei ventenni o più quando cadde il Muro (che vivevano a ovest) pensava che il cambiamento fosse già iniziato: la Berlino così bella era il Muro, una volta caduto, sarebbe scomparsa, prima o poi, anche quella città. Gli anni Novanta sono stati una bolla, i mondiali di calcio del 2006 il tentativo di presentare una città di nuovo unita e ancora diversa: «Berlino è povera ma sexy» come scherzava l’ex Borgomastro Klaus Wowereit. Ma le cose, lentamente, iniziano a cambiare. Un po’ come per l’aeroporto. Ci hanno messo anni per terminarlo. Per i miliardi buttatati, si poteva pensare che la città volesse restare quella che era, attaccata ai suoi aeroporti piccoli (Tegel) e scomodi (Schönefeld). Ma, prima o poi, bisogna cambiare.

La “nuova” capitale ha bisogno di amministratori, di funzionari, tecnici, professionisti. Molti arrivano dal sud della Germania. Interi quartieri cambiano faccia. Sono gli anni in cui si iniziano a sentire slogan contro la gentrificazione, gli affitti, lentamente, iniziano a salire.

Le proteste si sono fatte sempre più massicce: tra il 2017 e il 2018 Google avrebbe voluto aprire un suo campus nel quartiere di Kreuzberg, per sfruttarne il prestigio tra i giovani. Il quartiere si è ribellato, il colosso americano ha fatto dietrofront. Nel frattempo, come nelle altre città europee, Airbnb comincia a penetrare nella città tedesca: ancora oggi c’è una brutta aria tra la multinazionale statunitense e la città-stato, che l’accusa di opacità, di danneggiare il mercato immobiliare e di violare le norme fiscali.

Tra Mietendeckel ed esproprio

In effetti, il clima, per chi è in affitto, cambia. Il diritto tedesco era storicamente favorevole agli inquilini. Da anni le cose sono andate cambiando. Lo si vede nelle pubblicità: oggi negli spot sempre più banche consigliano mutui o altre soluzioni per comprare casa.

È un problema soprattutto nelle città grandi e medie. Berlino, Amburgo, Monaco e Colonia (le città che superano il milione di abitanti). Ma anche nelle altre come Francoforte, Stoccarda, Rostock e persino Lipsia si cominciano ad avere problemi. Gli affitti salgono e le società che gestiscono migliaia di case offrono servizi sempre più scadenti. Alcune diventano sempre più opache: risalire ai veri proprietari di alcune aziende è complicato. Alcune case vengono affittate anche per accogliere i rifugiati.

Un giro di soldi e persone che fa impressione, un sistema vero e proprio: lavoratori il più delle volte impiegati a nero nell’edilizia che portano a opacità, a voler essere buoni, nella gestione dei cantieri. Vengono rivelate inquietanti connessioni tra alcuni proprietari, sfruttamento dei lavoratori nell’edilizia e dell’immigrazione. L’immobiliare è un mercato che a Berlino non conosce crisi.

Al Senato cittadino, dove da anni governano i socialdemocratici, Klaus Wowereit prima e ora Michael Müller, si tenta di correre ai ripari. L’idea è il Mietendeckel, un complesso sistema che, letteralmente, fissa un tetto massimo agli affitti. Non è una misura radicale, si tratta di mettere un freno all’impennata degli affitti. Secondo i critici non può funzionare e, anzi, peggiora la situazione per chi cerca casa: comincia qui un dibattito infinito su come risolvere il problema casa.

Per alcuni «serve costruirne di più», ma negli ultimi anni si è costruito ovunque. Per altri «occorre rivedere le leggi per le case popolari». Alcuni cittadini decidono quindi di organizzarsi nella rete Deutsches Wohnen Enteignen. Si tratta di esperimento di democrazia diretta, garantito dalla Costituzione di Berlino. Un referendum popolare per espropriare, sulla base dell’articolo 15 della Costituzione, le aziende immobiliari con più di 3.000 appartamenti: coinvolti sarebbero poco meno di 250mila alloggi, che finirebbero nella mani del Land, su oltre un milione e mezzo disponibili a Berlino.

Dal 2018 gli organizzatori devono superare diverse prove: una prima raccolta firme (poco meno di 80mila) per portare la proposta al Senato cittadino, che deve verificarne la compatibilità con la Costituzione della città. Poi servono circa 180mila firme per autorizzare il referendum vero e proprio.

Pochi mesi fa arriva il tribunale costituzionale federale che cancella la legge del Senato sul Mietendeckel. Non dice nulla sul merito: gli affitti sono una materia federale, il Land, Berlino, non può metterci bocca. A sinistra e tra i Grünen si comincia a ragionare di una misura analoga per tutta la Germania da far approvare al Bundenstag.

A quel punto l’entusiasmo per la proposta di esproprio scoppia. Lo stesso giorno in cui la sentenza è emessa, a Berlino si radunano gli attivisti e organizzano un corteo per le strade della città, in poco tempo gli organizzatori raccolgono ben oltre 250mila firme. Il referendum si farà, il voto sarà a settembre, insieme a quello per il parlamento federale e quello della città-stato.

Perché il referendum sia approvato è necessario che un quarto degli aventi diritto voti a favore, poco più di 610mila cittadini. Soglia elevata, ma non impossibile: raggiunto nel 2011 per la pubblicazione dei contratti sulla parziale privatizzazione della gestione idrica il quorum mancò invece nel 2013, quando si era votato per la ricomunalizzazione della società energetica. E l’esperienza dimostra che, accorpato insieme ad altre elezioni, il quorum è certamente più semplice da raggiungere.

Serve o no?

Sul referendum si è detto di tutto. Che, dovendo prevedere una forma di indennizzo per chi subirebbe l’esproprio, sarebbe un esborso enorme per le casse, da sempre malconce, della città-stato. Sui numeri si litiga: si va da una stima di 8 miliardi fino addirittura a oltre 60, secondo alcuni. Franziska Giffey, candidata a Borgomastro per la Spd, ha deciso di schierarsi contro il referendum, da tempo.

I giovani del partito, gli Jusos, sono invece a favore. Secondo i piani alti del partito, il voto «spaventa gli investitori e non risolve il problema: servono più case»: quello degli investitori spaventati è un leitmotiv che pare preoccupare solo la dirigenza della Spd.

In realtà le società immobiliari hanno paura del clima che si respira in città, che è diventata una polveriera, come ha dichiarato il capo di Vonovia, la società immobiliare più grande della Germania, in un’intervista allo Spiegel. La società ha persino rinunciato agli arretrati che pure le sarebbero stati dovuti dopo la sentenza del tribunale costituzionale (si tratta della differenza che gli inquilini non hanno pagato negli ultimi mesi) per dare un segnale.

Proprio Vonovia, nel frattempo, sta acquisendo Deutsches Wohnen, che a Berlino gestisce 114mila appartamenti e che è stata all’origine del movimento per l’esproprio. Da questa operazione dovrebbe nascere la più grande immobiliare d’Europa: a Berlino si teme per il potere che la nuova società potrebbe avere in alcuni distretti.

Certo, servono nuove case: la popolazione della capitale cresce, il Senato cittadino calcola che fino al 2030 serviranno circa 200mila nuovi appartamenti. Ma negli ultimi anni – con l’esclusione del 2020 – il numero di nuovi appartamenti disponibili è andato aumentando: nel 2019 erano stati 18.999, era dal 1997 che non se ne costruivano tanti. Oggetto di discussione (e di una trattativa politica nella coalizione rosso-rosso-verde, di Spd, Verdi e Linke) è anche la quota di nuovi appartamenti da indicare come Sozialwohnungen. L’idea è di rimettere in mano pubblica una quantità maggiore di case popolari, perché la città non diventi un luogo accessibile a pochi. Nel frattempo, molti lasciano comunque Berlino e vanno a vivere nel Brandeburgo, la regione che circonda Berlino, dove il Land intende rivitalizzare i paesini quasi scomparsi dopo la riunificazione tramite nuove reti ferroviarie.

La questione casa, ormai, anima il dibattito politico tedesco. Persino la Cdu, nel tentare di opporsi al referendum e a un Mietendeckel federale, ha speso molto spazio nel suo programma per spiegare come intende abbassare i prezzi degli affitti e assicurare più case (in una parola, la solita: bauen, costruire).

Anche in caso di vittoria, sarà poi complicato imporre quanto previsto dalla legge proposta, rischiando poi un nuovo confronto col tribunale costituzionale, che secondo molti giuristi sarà nuovamente chiamato a decidere. Ma il tema ormai si è imposto: sulla questione casa ci si gioca quanto resta di sociale del Model Deutschland.

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