Ennesimo scambio nella disputa tra Bruxelles e Lussemburgo, da un lato, Berlino e Karlsruhe dall’altro. A inizio settimana scadeva il termine di due mesi che Bruxelles (la Commissione europea) dava al governo federale tedesco (Berlino) per rispondere alle sue richieste sul primato del diritto europeo. La Commissione faceva espresso riferimento alla disputa tra la Corte di giustizia dell’Unione europea, con sede nel Lussemburgo, e il Tribunale costituzionale federale tedesco, che si riunisce nella cittadina di Karlsruhe. E la risposta da Berlino è arrivata: nel classico linguaggio diplomatico si cela il tentativo di rassicurare le istituzioni europee, provando a smontare le ambizioni di chi vorrebbe far leva su un possibile conflitto tra il diritto tedesco e quello europeo.

I precedenti

Quest’ultimo, nella sentenza del 5 maggio 2020, aveva considerato tanto i piani della Bce (quelli, per intenderci, iniziati da Mario Draghi) tanto la stessa sentenza della Corte di giustizia dell’Ue, che li aveva considerati legittimi, come contrari ai trattati europei. Atti ultra vires in gergo giuridico e, perciò, da non applicare in Germania.

Ci furono numerose critiche all’impianto della sentenza e due mesi fa la Commissione annunciava l’inizio di una procedura d’infrazione con l’invio di una lettera formale al governo tedesco: «Il tribunale tedesco ha privato una sentenza della Corte di giustizia dell’Ue dei suoi effetti giuridici in Germania, violando il principio del primato del diritto dell’Ue».

Secondo molti osservatori, da un lato, Ursula von der Leyen non voleva apparire troppo accondiscendente con il suo paese, dall’altro voleva confermare il primato del diritto dell’Ue in un momento in cui altri paesi – Polonia e Ungheria su tutti – potrebbero metterlo in discussione.

Si legge, infatti, nel comunicato stampa che annunciava la lettera: «La Commissione ritiene che la sentenza della Corte costituzionale tedesca costituisca un grave precedente, sia per la futura prassi della Corte costituzionale tedesca stessa, sia per le corti supreme e costituzionali di altri stati membri».

In realtà la mossa era azzardata. Considerare le valutazioni della Corte di Karlsruhe non per quello che affermavano ma per la loro possibile strumentalizzazione è di per sé singolare e difficilmente può produrre una maggiore coerenza tra l’interpretazione del diritto europeo da parte delle corti nazionali e quella del Lussemburgo.

Ma, d’altro canto, cosa potrebbe mai fare il governo tedesco nei confronto della propria corte costituzionale, che, in Germania, ha un potere enorme ed è molto stimata dai cittadini? L’indipendenza delle corti (e di questa in particolare) è qualcosa di praticamente immutabile.

E, del resto, appena pochi mesi fa la stessa corte di Karlsruhe aveva chiarito in una nuova ordinanza come la sentenza del 5 maggio 2020 non avesse effetti dirompenti. Il parlamento tedesco e il governo federale avevano ottenuto chiare risposte dalla Bce e una mozione era stata approvata in parlamento.

Questo soddisfaceva pienamente le richieste della Corte: ai ricorrenti che, delusi dalla mozione del Bundestag, chiedevano un provvedimento esecutivo più incisivo (vale a dire la richiesta di vietare alla Bundesbank di prendere ancora parte ai programmi della Bce) la Corte ribadiva l’autonomia dell’istituzione parlamentare, escludeva il provvedimento esecutivo e tuttalpiù invitava a procedere con un nuovo ricorso. In pratica il Tribunale costituzionale assestava un colpo micidiale alle ambizioni di quanti credevano, ricorso dopo ricorso, di essere arrivati al punto di non ritorno, che avrebbe segnato la fine della partecipazione tedesca al progetto di unificazione continentale. Persino la qualificazione di un atto delle istituzioni dell’Unione europea come contrario ai Trattati non produce effetti immediati ed esiste sempre la possibilità per le istituzioni nazionali di sanarlo.

La procedura d’infrazione

La vicenda poteva dirsi conclusa ma il 9 giugno scorso la Commissione ha annunciato l’inizio della procedura di infrazione. A inizio settimana la Commissione ha annunciato di aver ricevuto la risposta tedesca e di aver iniziato l’analisi. Rappresentanti del governo tedesco nel descrivere il contenuto della lettera (che aspira ad una «soluzione costruttiva»), su richiesta di Domani, fanno riferimento «al principio di interpretazione favorevole verso l’Unione europea della Legge fondamentale (la Costituzione, ndr) e di tutti gli organi costituzionali tedeschi. Nella sua giurisprudenza, il Tribunale costituzionale federale ha riconosciuto in linea di principio il primato del diritto dell’Unione e la giurisdizione della Corte di giustizia europea. Il governo federale ritiene che siano importanti un buon rapporto di cooperazione e dialogo tra i Tribunali europei».

Si tratta di pure dichiarazioni di principio e, tuttavia, difficilmente è possibile andare oltre: il primato del diritto dell’Ue non è mai stato messo in discussione, tantomeno la competenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, sebbene il Tribunale costituzionale federale si riservi il diritto di controllare atti che possano violare i trattati e, quindi, anche la Costituzione tedesca. La difesa del governo, quindi, è una conferma della giurisprudenza del Tribunale costituzionale degli ultimi trent’anni.

A questo punto la vicenda potrebbe dirsi conclusa: se la Commissione dovesse dichiararsi, però, insoddisfatta la procedura potrebbe finire proprio di fronte alla Corte del Lussemburgo.

Che sarebbe chiamata a esprimersi sulle proprie competenze e, quindi, a decidere sui limiti ai propri poteri. Si aprirebbe a quel punto una questione di legittimità non da poco, che finirebbe per danneggiare le stesse istituzioni europee. Non ne vale la pena.

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