Pur essendo molto lontana dal riconoscimento dello stato palestinese, Berlino ha annunciato di volersi coordinare più strettamente con Parigi e Londra, innanzitutto per organizzare al più presto la consegna via aria di alimenti e altri aiuti. L’Italia non è parte dell’accordo
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Settimana carica di notizie, soprattutto economiche. Ovviamente partiamo dai dazi, che soddisfano Berlino solo in parte, considerato l’ammorbidimento della posizione americana sull’import di automobili, ma parliamo anche della posizione del governo su Gaza. Teniamo d’occhio anche i movimenti italo-tedeschi di Mfe dopo che Pier Silvio Berlusconi ha annunciato il rilancio nella sua offerta su ProsiebenSat.1 per sconfiggere l’Ops concorrente. Ma reggetevi forte, c’è anche l’opera.
Danni in vista
Il cancelliere non ha usato mezzi termini: «L’economia tedesca sarà pesantemente danneggiata da questi dazi» ha detto Friedrich Merz commentando l’accordo stretto tra Unione europea e Stati Uniti sulle tariffe doganali da fissare al 15 per cento. Il cancelliere prevede anche che ci saranno conseguenze anche negli Stati Uniti, nello specifico sull’inflazione e sui volumi complessivi di commercio transatlantico.
«Non sono soddisfatto del risultato nel senso che l’esito “va bene così”, ma evidentemente non era possibile fare di meglio». Ma mentre il partito del cancelliere cerca di vedere il bicchiere mezzo pieno sottolineando come il buon rapporto che Merz è riuscito a creare con il presidente americano stia pagando più di un approccio ostile, la Spd è molto più critica e segnala la debolezza dell’Unione europea, soprattutto per quanto riguarda i settori di acciaio e farmaceutica, che restano fuori dal deal. C’è anche il tema dell’acquisto di 750 miliardi di euro di energia dagli Stati Uniti: nella pratica significa tornare a investire in fonti fossili come petrolio, gnl e carbone, che sono il tipo di prodotto che Washington può offrire. Non esattamente una spesa green.
Lo Spiegel ha indagato anche sul clima tra i produttori tedeschi alla luce dell’accordo: anche se in tanti non sono soddisfatti di come ha trattato l’Ue, soprattutto l’automotive tira un sospiro di sollievo, considerati gli scenari negativi che aveva messo in conto e che a questo punto non si realizzeranno. A soffrire saranno comunque soprattutto marchi di lusso come Audi e Porsche: entrambe le case importano per intero ogni singola auto venduta sul mercato americano e con i nuovi dazi anche i due punti di riferimento del gruppo Vw che in genere compensano risultati mediocri di altre realtà rischiano di vedere i loro utili falcidiati dai dazi. Altri marchi, come Bmw, hanno impianti negli Stati Uniti dove producono i Suv di taglia più grande (che possono fare a loro volta concorrenza ai modelli Audi e Porsche).
In questo quadro, conclude con franchezza il settimanale, «chi a questo punto investe in Germania è un cretino». Motivo per cui Audi starebbe già pianificando la realizzazione di un impianto negli Stati Uniti, investimento che invece per Porsche non sarebbe redditizio. Per migliorare la situazione generale dei suoi affari – e ottenere nel migliore dei casi un’esenzione specifica per Porsche – l’ad di Vw Oliver Blume ha intenzione di andare a trattare di persona con Trump, mettendo sul piatto investimenti miliardari.
Filo diretto con Parigi
Se Merz è perfettamente allineato con Emmanuel Macron sulla posizione da tenere nella trattativa sui dazi, nei giorni scorsi il rapporto si è un po’ raffreddato nei giorni scorsi dopo la decisione di Parigi di annunciare il riconoscimento dello stato palestinese. Su quel punto, ha fatto sapere Berlino, non c’è da aspettarsi nessuna novità a breve. Per il governo, «soltanto una soluzione dei due stati può portare pace duratura e sicurezza per israeliani e palestinesi».
Il cancelliere – consapevole che il riconoscimento di uno stato palestinese è una linea rossa per il suo elettorato, ancora ancorato alla massima merkeliana sull’esistenza di Israele come ragione di stato – sta però tentando di mostrare il suo impegno sulla questione mediorientale su altri versanti. Berlino ha annunciato che si coordinerà strettamente con Londra e Parigi (il cerchio E3, attualmente la triangolazione più di efficace negli occhi di Merz) nei prossimi passi, oltre a continuare a chiedere un cessate il fuoco e spingere per ammettere nella Striscia aiuti e viveri. Il cancelliere vorrebbe poi mettere in piedi insieme alla Giordania un ponte aereo – sempre coordinato con Regno Unito e Francia.
Rilancio a ostacoli
Il giallo finanziario estivo che riguarda ProsiebenSat.1 non è ancora finito. Mfe ha infatti rilanciato sull’offerta pubblica di scambio proposta agli azionisti del gruppo tedesco per aggiungere una gamba europea all’azienda italiana. La settimana scorsa Pier Silvio Berlusconi aveva incontrato il ministro della Cultura tedesco per discutere la possibilità della scalata di Prosieben, raccogliendo però poco entusiasmo da parte di Wolfram Weimer, che ha sottolineato come chi vuole controllare il gruppo deve avere «più da offrire che sinergie economiche». Per Weimer, è importante che il panorama mediatico sia popolato di «redazioni che lavorano liberamente e indipendenti».
E poi, un richiamo al fatto che «quando Mfe parla di una piattaforma europea, non basta usare la parola “Europa” come un’etichetta, ma c’è bisogno di un nucleo democratico e di un’indipendenza giornalistica». Non esattamente una prova di calda accoglienza. Anche un portavoce del governo ha specificato che l’acquisizione non dovrà avere effetti negativi sul panorama mediatico tedesco, così come l’ordine dei giornalisti tedesco, che da tempo si è esposto contro la scalata, temendo tagli all’occupazione ma anche la «vicinanza a posizioni populiste di destra».
Ora, il rilancio agita i mercati tedeschi, consapevoli che Mfe – che ha scavalcato la soglia del 30 per cento delle azioni – continuerà ad acquistare partecipazioni senza impegnarsi in una costosa Opa. I cechi di Ppf, invece, non hanno in mente l’avanzamento fino a raggiungere una quota di controllo ma sostengono di avere a cuore l’indipendenza del gruppo, punto su cui vogliono spalleggiare il management attuale. Sembra che Ppf non abbia ugualmente desiderio di approfondire la partnership con Mfe, ma fino al 13 agosto può succedere di tutto, incluso un rinvio della scadenza del duello.
Beccarsi a Bayreuth
La scorsa settimana si sono aperti anche i Bayreuther Festspiele, il festival wagneriano che ogni estate va in scena nella cittadina bavarese. È LA data da non perdere per gli appassionati di opera, ma è sempre anche una gran passerella per la politica, paragonabile a grandi linee con la prima della Scala.
Al di là delle presenze (c’era anche Angela Merkel, grande appassionata di lirica) è stata notevole l’opera che è stata scelta per la prima: si tratta di Die Meistersinger von Nürnberg, una delle composizioni più politicamente dibattute di Richard Wagner. La ragione sta in alcuni passaggi musicali, considerati musica ideale per la propaganda, tanto che i nazionalsocialisti decenni dopo la morte di Wagner la utilizzarono nel 1935 per inaugurare il loro congresso a Norimberga.
Ad aggiungere ulteriore problematicità c’è l’antagonista della vicenda, Sixtus Beckmesser, considerato una «caricatura di ebreo» (come recita la brochure), perfettamente in linea con l’antisemitismo che animava la produzione del compositore. Che ha provveduto anche a comporre per Hans Sachs, uno degli eroi, un monologo finale nazionalista in cui evoca «la sacra arte tedesca», mette in guardia dalla «decadenza del popolo tedesco e del Reich» e dalla «foschia» e dalla «paccottiglia» francese (a fine Ottocento, Parigi era ancora l’avversaria d’elezione).
A dirigere è Daniele Gatti, ed è interessante leggere nella critica di Sebastian Hammelehle come il direttore sia riuscito a mettere in luce la bellezza deprivando l’opera di tutta la sua esagerazione. Un ottimo completamento della messa in scena di Matthias David, che finora ha lavorato soprattutto sui musical e ha voluto enfatizzare il lato buffo della composizione. Effettivamente gli elementi comici sono parecchi – soprattutto per gli standard di Wagner – ma spesso a farne le spese è il personaggio di Beckmesser. Che però, nella nuova versione, è semplicemente privo dei tratti antisemiti che lo caratterizzavano nel testo originario. Alla stessa maniera, a certificare la denazificazione dell’opera grazie ad allegria e serenità, c’è una ridicolizzazione del monologo finale.
E così, complice la buona scelta degli interpreti e alcune libertà che si è preso lo scenografo, come l’inserimento di comparse piuttosto simili a politici attuali, continua Hammelehle, dopo diversi anni di magra, la prima di Bayreuth è tornata a essere un buon successo.
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