L’Unione europea è stato un tema poco discusso durante la campagna elettorale, un vuoto abbastanza incredibile considerando il ruolo privilegiato ricoperto dalla Bundesrepublik al suo interno. Ma non bisogna fidarsi delle apparenze: la governance economica europea sarà al centro dei colloqui per formare una coalizione di governo, e uno dei principali ostacoli sulla strada di Olaf Scholz nella formazione di un governo “semaforo” fra i suoi socialdemocratici (rossi), i liberali (gialli) e Verdi.

Spd: una Ue fiscalmente robusta

La partita sarà complessa, sorpattutto perché non esistono compromessi ovvi per accontentare l’europeismo entusiasta dei Verdi e le posizioni più euroscettiche dei liberali.

Sarà Olaf Scholz a dover risolvere questo rompicapo. Da leader del primo partito ha il vantaggio di rappresentare la via mediana rispetto ai due possibili partner di coalizione. Una faccia nota negli ambienti europei, durante il suo mandato da ministero delle Finanze si è molto impegnato affinché fra le capitali europee convergessero su alcuni dossier chiave per la Germania. Il lavoro era iniziato nel 2019, quando il futuro candidato alla cancelleria per la Spd si disse pronto a negoziare una vera unione bancaria.  Nonostante Berlino non voglia dare troppe garanzie sulla tenuta di banche straniere, la proposta di Scholz è volta a stabilizzare il settore creditizio europeo e creerebbe il retroterra necessario per competere con i colossi americani del settore.

Da alfiere del patto di stabilità, Scholz ha preferito rimanere ambiguo su un possibile cambiamento delle regole di Maastricht, che impongono un tetto massimo al debito sovrano del 60 per cento del Pil e un deficit massimo del 3 per cento. Se a marzo si diceva ancora a favore di un “ammorbidimento” del patto di stabilità, già a inizio settembre ha escluso la necessità di una riforma e che la Germania stessa dovrà rientrare nei parametri di debito, abbandonati per contrastare la crisi pandemica, entro il 2031.

Pur rimanendo in generale fedele a una visione rigorista, Scholz sembra convinto che le grosse spese che la Germania dovrà incorrere nel proprio processo di modernizzazione e transizione ecologica saranno sostenibili solo se protette da un’Ue dalle spalle fiscalmente larghe. Nel 2020 ha definito il Next Generation Eu, parzialmente finanziato con tasse e debiti contratti direttamente dalla Commissione europea, come il “momento hamiltoniano” per l’Ue, evocando la creazione di una vera unione fiscale su modello americano.

Verdi: una Ue più federale

I Verdi, che vengono da anni all’opposizione, si sono finora mostrati i più convinti di una maggiore integrazione fiscale e finanziaria.  A differenza degli altri partiti, i Grünen del Bundestag hanno sempre coltivato un rapporto molto diretto con i propri europarlamentari: non a caso durante uno dei primi scontro televisivo Baerbock ha annunciato che la sua prima visita da cancelliera sarebbe stata a Bruxelles. Come la Spd, i Verdi privilegiano un rafforzamento delle istituzioni comunitarie (Commissione,parlamento) a scapito di un forum intergovernativo come il Consiglio. A differenza dei socialdemocratici sono tuttavia molto più convinti della necessità di rivedere il patto di stabilità, archiviando definitivamente le politiche di austerity e permettendo maggiori investimenti infrastrutturali. 

Oltre a uno scontato rafforzamento del Green Deal e del pacchetto “Fit for 55”, giudicati comunque più ambiziosi del programma della Grande coalizione, i Verdi hanno anche presentato il piano più dettagliato per riformare la governance economica europea. Il debito comune e il prelievo di tasse da parte della Commissione dovrebbero diventare permanenti ed essere utilizzati per rispondere a future crisi economiche e a investire in progetti di rilevanza europea, come collegamenti ferroviari fra diversi stati membri. I Verdi sono anche stati i principali critici del recovery plan presentato dal ministro delle Finanze uscente Scholz, accusato di dirottare soldi europei su piani di investimento obsoleti e lontani dagli standard imposti dalla Commissione.

Ci sono infine molte riserve sul piano di Scholz per il completamento unione bancaria. Sven Giegold, portavoce della delegazione dei Grünen al parlamento europeo, ha accusato il socialdemocratico di aver fatto fallire di proposito il progetto insistendo sull’esclusione dei meccanismi di garanzia istituzionale.

Fdp: Meno Europa, più concorrenza

Sarà molto difficile conciliare queste posizioni con quelle dell’altro potenziale regista della coalizione, i liberali del Fdp. Christian Lindner, soprannominato “Mini-Schäuble” dal Financial Times, ambisce alla poltrona di Scholz a Wilhelmstrasse in caso di una partecipazione di governo. Pur escludendo come Scholz la riforma del patto di stabilità, Lindner si oppone strenuamente a qualsiasi tentativo di rendere permanente l’emissione di bond da parte della Commissione.

Trattandosi del partito più vicino al mondo imprenditoriale, la ricetta che i liberali propongono per l’Europa è simile a quella che presentano per la Bundesrepublik: piuttosto che imporre tasse e divieti o creare meccanismi di redistribuzione fra stati membri, Bruxelles dovrebbe incoraggiare soprattutto investimenti privati e limitarsi a creare standard e regole di mercato condivise, lasciando che la transizione ambientale venga guidata dal settore privato. Il rispetto delle regole di Maastricht è una garanzia irrinunciabile che andrebbe addirittura rafforzata introducendo sanzioni più severe per gli stati membri che sforano i limiti di debito e deficit.

La Fdp è anche il partito che più enfatizza la competizione economica fra l’Ue e altri blocchi globali, specialmente la Cina. Rispondendo a un contestatore durante un evento elettorale a Berlino, Lindner ha spiegato molto chiaramente gli ambiti in cui vorrebbe un intervento più energico da parte di Bruxelles: «Che senso ha spegnere le centrali a carbone se la Cina ne apre un numero esponenzialmente maggiore ogni anno? Se vogliamo che le emissioni diminuiscano davvero dobbiamo trovare un accordo con gli altri stati del mondo, o le nostre aziende saranno solamente svantaggiate nella concorrenza globale».

Un governo diviso?

Un possibile accordo per il “semaforo” non forgerà quindi un governo ideologicamente compatto. Le coalizioni tedesche tendono ad affidare a partiti diversi ministeri tematicamente adiacenti: in una coalizione a tre questo significa che i ministeri dello Sviluppo Economico, delle Finanze e del Lavoro avranno “colori” diversi. Questo spezzatino creerà inevitabilmente un’atmosfera competitiva, ed è possibile che Bruxelles diventi il palco perfetto riaffermare le proprie convinzioni economiche e controbilanciare i compromessi fatti a Berlino.

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