La settimana dell’assemblea generale delle Nazioni unite in cui si discute del conflitto mediorientale si apre con l’annuncio dell’assenza del cancelliere a New York. La motivazione ufficiale è la plenaria in programma al Bundestag, ma è chiaro che Berlino nonostante le critiche aperte (con toni piuttosto inusuali per gli standard tedeschi) al governo Netanyahu e ai piani di annessione della Cisgiordania si trova ancora in una situazione di imbarazzo perché ritiene di non poter togliere il proprio sostegno a Tel Aviv. Intanto, in Germania si discute del bilancio 2026, mentre alla Deutsche Bahn è arrivata una nuova ad bolzanina. Rimettere sul binario giusto le ferrovie tedesche è un’impresa quasi impossibile già di suo, ma il primo problema è già all’orizzonte. 

Evitare New York val bene una plenaria

Friedrich Merz, di fronte a una riunione non del tutto insignificante come l'assemblea generale delle Nazioni unite di questa settimana, ha scelto di non volare in America. Il rappresentante del governo tedesco, il ministro degli Esteri Johann Wadephul, ha ribadito che per Berlino il riconoscimento dello stato palestinese può arrivare soltanto alla fine di un processo per il raggiungimento della soluzione dei due stati. In attesa che questo risultato – arrivato ormai a essere piuttosto improbabile – si palesi, la Germania si mantiene in un difficile equilibrio. Nonostante non si contino più manifestazioni e prese di posizioni pubbliche di giornali ed editorialisti a favore della causa palestinese, il governo, in virtù di ragioni storiche ben note, non vuole allontanarsi troppo da Tel Aviv spingendosi oltre critiche ai piani di Netanyahu. 

È però interessante approfondire le diverse sfumature delle posizioni che si scontrano nel dibattito su questa questione. Deutschlandfunk ha interpellato diversi studiosi. Alcuni ribaltano il concetto di responsabilità che lega Berlino a Israele e ricordano come le posizioni del governo tedesco siano guardate con attenzione perfino dai membri del governo di estrema destra di Netanyahu. Quando Merz ha tagliato le esportazioni di armi in direzione Tel Aviv, l’ambasciatore israeliano e il ministro degli Esteri hanno sottolineato pubblicamente il peso di questo posizionamento. Della serie: dei consigli degli amici va tenuto conto, a maggior ragione se sono stretti. 

Ma al di là del rapporto diretto con il governo israeliano, c’è anche chi critica con forza la posizione di Berlino nel consesso europeo, dove Merz e i suoi tendono comunque a rallentare sanzioni troppo dure nei confronti di Tel Aviv. Lo stesso vale per il riconoscimento dello stato palestinese: i politologi raccomandano che la comunità internazionale agisca come un sol uomo, ma con le prese di posizioni di altri player europei come Regno Unito e Francia la posizione tedesca comincia a farsi piuttosto minoritaria oltre che lontana dal mainstream. 

Nella maggioranza è soprattutto la Spd a spingere per sanzioni più severe, mentre all’interno dell’Union c’è ancora una maggior varietà d’opinioni: la prima pietra del nuovo rapporto tra Germania e Israele fu posta proprio da Konrad Adenauer, primo cancelliere del dopoguerra. Prima del 1967, sottolineano gli esperti, il sostegno tedesco a Israele superava anche l’incidenza di quello americano, nel 2008 la cancelliera Cdu Angela Merkel arrivò a parlare dell’esistenza di Israele come di una ragione di stato per la Germania: solo tenendo a mente questi precedenti si può capire il malessere che ha provocato la decisione di Merz di tagliare la fornitura di armi all’interno del proprio partito. Ora, nonostante il cancelliere difenda una linea che comunque ribadisce costantemente le responsabilità di Hamas, la Cdu è spaccata tra chi sposa la linea critica di Merz e chi ne è più lontano: di questo gruppo fanno parte anche i bavaresi della Csu, sempre un po’ più a destra dei cugini berlinesi. 

Partenza zavorrata

Deutsche Bahn ha una nuova amministratrice delegata bolzanina, Evlyn Palla. Fin qui, il piano del ministro delle Infrastrutture Patrick Schnieder della Cdu è andato in porto: la candidatura era interna, Palla fino alla scorsa settimana dirigeva un ramo d’azienda e ora si troverà ad affrontare gli innumerevoli disagi con cui fa i conti da anni Db. Primo fra tutti, il ritardo cronico dei suoi convogli (a luglio quasi la metà dei treni di Db era in ritardo), per cui ora il vincolo però sarà meno stringente, grazie a un intervento in questa direzione proprio da parte di Schnieder.

Palla, che a differenza dei suoi altri colleghi del Cda è anche in grado di guidare un treno, dovrà subito fare i conti con le conseguenze di un’altra scelta del ministro: per la guida della controllata che gestisce la rete InfraGo infatti Schnieder ha scelto Dirk Rompf, altro manager interno che però non ha brillato nei suoi incarichi precedenti. Soprattutto quando è stato alla guida di Db Netz, altra società dedita alla rete, avrebbe dato prova di una gestione sconsiderata, eccessivamente orientata al risparmio: secondo il sindacato Evg, sono le sue scelte di allora che hanno portato rete e ferrovie alla situazione di grave sofferenza in cui versano oggi.

Un’obiezione che è stata accolta nelle ultime ore anche dalla Spd, che invece guarda con maggiore generosità alla nomina di Palla: la manager, che ha alle spalle parecchia esperienza interna al gruppo e prima in aziende internazionali come Siemens, Infineon ed E.on può contare anche su un solido rapporto con il forte sindacato dei macchinisti, che però sarà messo a dura prova nei prossimi anni dal processo di risanamento annunciato da Palla. Certo, partire già zavorrata da una spalla impegnativa come Rompf non era probabilmente nei suoi piani. Ma i cristianodemocratici non hanno intenzione di rivedere il pacchetto della nuova governance, trasformando la nomina di Palla in una mela avvelenata. 

Tutti gli altri tagli

Non sono solo le ferrovie a dover stringere la cinghia. Dopo il voto-lampo sulla legge di Bilancio 2025 contro cui si era schiantato il governo Semaforo, il Bundestag questa settimana discute della manovra 2026: la situazione è tutt’altro che rosea. E a mettere per primo le mani avanti è proprio il ministro delle Finanze Lars Klingbeil, che presentando il primo testo base ha annunciato di dover prendere in mano le forbici: nel bilancio di previsione del 2027, infatti, c’è già un buco di 30 miliardi che va colmato. 

Per il vicecancelliere socialdemocratico, chiaramente, è una scelta difficile ma da fare in maniera solidale, cercando di tutelare il più possibile il welfare e intervenendo di più sui più abbienti. Nei piani c’è però un “efficientamento” dello stato sociale, che deve anche intervenire in maniera più netta sugli abusi. Contemporaneamente il governo si propone di rilanciare l’economia con nuovi investimenti in infrastrutture di ogni tipo del valore di 126,7 miliardi di euro, con un occhio anche alle spese militari per cui il governo si è autoregalato anche un fondo speciale a debito a inizio legislatura. 

Le opposizioni, come da attese, sono già sul piede di guerra: l’accusa è quella di sfruttare i fondi a disposizione soprattutto per progetti del cuore dei diversi partiti, come la pensione per le madri, cavallo di battaglia della Csu, o il taglio delle imposte sulla gastronomia. Troppo poco per tutte le altre categorie, attaccano i partiti di minoranza. 

Trasloco in ritardo 

Abbiamo un piccolo trivia da veri nerd della Germania per voi questa settimana. Il sindaco di Berlino Kai Wegner ha infatti chiesto che venga finalmente completato un trasloco che dura da ben 35 anni: quello degli organismi legati al governo da Bonn a Berlino. Nonostante tutti i principali ministeri siano da tempo tornati nella capitale che nel 1949 venne temporaneamente abbandonata perché Berlino ovest era collocata nel cuore della Ddr, ancora oggi a Bonn lavorano circa un terzo dei dipendenti ministeriali e altre istituzioni. 

Non c’è una vera ragione per cui ci siano ancora persone a Bonn, anzi, le spese per i 20mila viaggi di lavoro che implica questa bipartizione secondo Wegner pesano sui bilanci e sull’ambiente. E poi, Berlino sarebbe ormai decisamente più sexy della cugina sul Reno. All’epoca, Bonn era stata preferita a Francoforte perché meno distrutta alla fine della Seconda guerra mondiale, ma era chiaro fin dall’inizio che la città da 300mila abitanti (giusto il numero di persone che attraversano Alexanderplatz in un solo giorno) sarebbe stata giusto una soluzione ponte. A Bonn però si erano già riuniti i padri e le madri della nuova Costituzione. E poi, il cancelliere Adenauer abitava dall’altra parte del Reno. 

Gli eredi degli abitanti di Bonn dell’epoca non ci stanno: la sindaca verde Katja Dörner ha catalogato la proposta del collega Wegner come «fuori strada e totalmente fuori dalla realtà». Per lei è cruciale che Poste e Telekom rimangano nella sua città, così come il Segretariato delle Nazioni Unite per il cambiamento climatico che ogni anno prepara la conferenza mondiale del clima. Un secondo capitolo del trasloco, per altro, costerebbe miliardi, a differenza dei 10-20 milioni di euro di costi per i viaggi Bonn-Berlino. 

Suore in fuga

Chiudiamo con una storia in apparenza spassosa (ma gravida di conflitto) che arriva dall’Austria, dove tre suore “condannate” a lasciare il loro monastero nei pressi di Salisburgo in direzione residenza per anziani sono fuggite dalla loro Rsa e hanno occupato il loro vecchio convento. A inizio settembre suor Rita, suor Regine e suor Bernadette, tutte e tre di età compresa tra gli 82 e gli 88 anni sono tornate con l’assistenza delle loro ex allieve alla loro scuola-convento a Goldenstein. L’iniziativa è stata sostenuta da una lunga serie di fan delle suore che hanno condannato la mossa della chiesa di spedirle nella Rsa. 

La storia ha fatto il giro del mondo e ora le sorelle hanno avviato un account Instagram che conta già 50mila seguaci. Le tre protagoniste vorrebbero restare nel convento dove alcune di loro vivono da quando sono ragazzine fino alla fine delle loro vite. Unico problema, Markus Grasl, commissario apostolico che decide sul destino delle suore e che, secondo loro, le ha ingannate due inverni fa per allontanarle dal monastero. Dopo alcune visite mediche, sarebbero infatti state consegnate alla residenza per anziani «ancora in camicia da notte». 

Ma le tre sorelle non hanno voluto accettare il loro destino, soprattutto dopo che il commissario le aveva anche estromesse dall’accesso al conto del convento, che peraltro Grasl starebbe smantellando. Ora resta da vedere cosa deciderà sulle suore Grasl: i loro sostenitori – di cui fa parte anche il sindaco del paesino adiacente di Elsbethen – chiedono che conceda loro di rimanere nel convento. Ma finora il commissario non sembra disposto a cedere, anche se in una nota si dice «perplesso e disperato». Secondo lui, le suore, che nonostante tutto raccomandano anche ai loro fan di non lasciare la chiesa in polemica con la situazione, sottovalutano i rischi medici della permanenza nel convento. 

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