Angela Merkel probabilmente avrebbe immaginato il suo ultimo anno al potere in maniera molto diversa da come si sta realizzando. Nonostante la partenza accidentata del 2020, quando la sua pupilla Annegret Kramp-Karrenbauer era stata silurata a causa di un’apertura della Cdu all’estrema destra di Alternative für Deutschland, avrebbe potuto chiudere l’anno ricordando i traguardi raggiunti in sedici anni di cancellierato: oltre a quelli di natura sociale, come la legge sul matrimonio per tutti, anche l’abbandono dell’energia nucleare e il raggiungimento della Schwarze Null, il famoso e famigerato pareggio di bilancio.

A livello europeo, il semestre di presidenza di turno era partito con grandi ambizioni. Si sarebbe dovuto parlare di una lunga lista di nodi irrisolti, non ultimi Brexit e immigrazione. Tantissimi argomenti sono rimasti solo sulla carta. Insomma, l’anno che poteva essere una rivendicazione di un elenco di successi si sta trasformando in una lotta con la pandemia che porta la cancelliera a toccare i propri limiti.

Problemi interni

Nell’intervento di mercoledì pomeriggio al Bundestag, quando Merkel è intervenuta per chiedere ai cittadini un’ulteriore limitazione dei contatti sotto Natale nell’ottica di evitare che sia «l’ultimo per i nostri nonni», traspariva dalle parole della cancelliera una frustrazione mai comparsa nei suoi interventi pubblici prima d’ora.

Fin dagli inizi della seconda ondata, Merkel ha toccato nella sua comunicazione un tasto emotivo che non le appartiene: da sempre ha chiesto ai cittadini di collaborare, lodando a ogni nuovo intervento la loro disponibilità, fino ad arrivare, nel suo ultimo discorso, a implorarli.

Cerca la loro sponda per aggirare i capricciosi governatori dei Land, la cui autorità non può e non vuole scavalcare, nonostante la legge emergenziale approvata per garantire un quadro normativo ai provvedimenti decisi per arginare la pandemia. L’altro grande cruccio che affligge la cancelliera sono i no-mask e il fatto che neghino le evidenze scientifiche. Una situazione che da fisica non riesce ad accettare, ma contro cui può fare poco e niente, considerato che ogni limite posto alle manifestazioni dei cosiddetti Querdenker garantisce un alibi agli antagonisti, che tra l’altro ormai si sono apparentati con neonazisti, estremisti religiosi e complottisti di ogni genere.

La cancelliera non può far altro che appellarsi ai dati, definendo 590 morti al giorno «un prezzo inaccettabile». Pur essendo alla fine della sua corsa politica, Merkel guarda al futuro e si chiede «come passeremo alla storia».

Lo sguardo è a come lascerà il paese e l’Europa a chi li gestirà dopo di lei. A iniziare dal suo partito, ancora in alto mare in vista delle elezioni dell’anno prossimo: nessuno dei possibili successori riesce anche solo ad avvicinarsi ai suoi livelli di gradimento, proiettati verso nuovi picchi dall’imprevisto della pandemia, nonostante l’addio al pareggio di bilancio, da anni feticcio soprattutto degli elettori conservatori.

Il semestre appannato

«Fast alles ist noch im Fluss», ha detto la cancelliera parlando dell’agenda europea, un modo di dire che si può tradurre pressappoco con: «Lo scenario è ancora fluido». E in effetti quasi nessun tema inserito nelle priorità del semestre di presidenza di turno è approdato a una soluzione. I provvedimenti per contrastare la pandemia hanno richiesto molto tempo, ma su diversi argomenti non c’è stato nessun progresso: primo fra tutti, l’immigrazione, per cui un compromesso è stato sempre un traguardo lontanissimo, ma che negli ultimi mesi non è comparsa neanche negli ordini del giorno delle riunioni dei capi di governo.

Tutto rimandato, anche perché andare a stuzzicare proprio in queste settimane Ungheria e Polonia su questioni che da sempre sono viste dai governi iperconservatori come fumo negli occhi non sembra la strategia più adatta per convincerli ad accettare un accordo almeno sulla questione centrale del Recovery fund.

Dopo aver bloccato i pacchetti economici per evitare che i fondi siano legati al rispetto dello stato di diritto, Budapest e Varsavia si stanno muovendo verso Bruxelles, accettando la proposta tedesca di rinvio del meccanismo.

Se la trattativa dovesse andare in porto sarebbe comunque una vittoria a metà, anche perché diversi esperti di diritto comunitario e tedesco hanno già riscontrato fragilità del programma: potrebbero portar con sé problemi legali sia a livello europeo sia per la Corte costituzionale tedesca, già più volte critica nei confronti dei pacchetti di salvataggio decisi negli anni da Bruxelles.

Trovare l’accordo significherebbe chiudere un nuovo capitolo del conflitto di Merkel con il suo avversario storico, Viktor Orbán. Spesso i due si sono trovati su posizioni opposte, non ultimo nel conflitto sull’immigrazione.

Ironia del destino: entrambi sono cresciuti all’ombra di Helmut Kohl, il cancelliere della riunificazione, tra i primi a congratularsi con Orbán per i suoi successi alla fine degli anni Novanta, e provengono da nazioni in cui la caduta dell’Unione sovietica ha permesso l’inizio della loro carriera.
I loro sentieri si sono dipanati in direzioni opposte, e nonostante i numerosi tentativi di ricucire (la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, considerata bendisposta verso Budapest, è stata per esempio eletta anche con i voti di Fidesz) i due oggi sono più distanti che mai.

Fine dell’asse con la Francia

Resta sul tavolo anche la riduzione delle emissioni di anidride carbonica, su cui la presidenza deve prendere posizione: ancora una volta, a mettersi di traverso sono Polonia e Ungheria, che non vedono di buon occhio una riduzione che arrivi al 55 per cento rispetto ai dati del 1990. Non è però certo che Merkel arriverà a proporre questa cifra come traguardo, oppure se si limiterà a una riduzione del 40 per cento.

Non sono praticamente stati toccati neanche i dossier politica estera, come il rapporto con la Turchia, su cui l’asse francotedesco si spezza e l’alleato Emmanuel Macron, molto indipendente anche in altre questioni, la vede in maniera totalmente diversa da Berlino. Manca l’intesa anche sulla Brexit, che a meno di miracoli si concluderà senza un accordo su molti aspetti importanti, e anche nella definizione di una linea univoca nel rapporto con Stati Uniti e Cina. L’eredità politica di Merkel è quantomeno disorganica.

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