Una settimana della verità. Quella iniziata per Friedrich Merz a Johannesburg nel fine settimana, alla ricerca di un modo per rendere il piano di pace di Trump potabile anche per il governo ucraino, prevede numerosi ostacoli per il cancelliere cristianodemocratico. 

Rischio fiducia 

È la settimana dell’approvazione del bilancio per il 2026, e si avvicina ogni giorno lo showdown sulla riforma pensionistica. Attualmente non appare possibile che la corrente Junge Union della Cdu e la Spd arrivino a un compromesso in tempi utili, ma è assolutamente necessario trovare una soluzione: intanto per concludere le votazioni sulla legge di Bilancio, poi perché l’accordo di stabilizzazione del livello delle pensioni – l’adeguamento della cifra è il casus belli per la Ju, che si rifiuta di ribaltare sulle generazioni future un debito aggiuntivo – che definisce la soluzione attuale è in scadenza a fine anno. 

Resta il fatto che la Ju detiene 18 voti, sei in più della maggioranza parlamentare su cui può contare Merz. Tradotto, senza di loro la grande coalizione va sotto. Da mercoledì, quando il cancelliere affronterà il Bundestag, le cose potrebbero farsi interessanti. Le opposizioni insisteranno anche molto sui nuovi debiti contratti dal governo, anche grazie i fondi speciali autorizzati a inizio legislatura, una linea finanziaria in grande contraddizione con la tradizione Cdu. 

E poi, giovedì, un nuovo vertice di maggioranza, per risolvere il nodo sulla riforma (qualora non si riuscisse già prima), per ripercorrere gli accordi di coalizione e non dare l’impressione di uno scontro continuo. Resta il problema del pacchetto pensioni: non sembra escluso che alla fine Merz debba ricorrere al voto di fiducia, uno strumento che viene utilizzato nella politica tedesca meno spesso che in Italia. 

Muri che cadono

Il consenso sempre maggiore che guadagna AfD continua a essere un tema per chi si muove nella bolla berlinese. L’associazione che difende gli interessi delle imprese familiari ha messo da parte la sua strategia di contrasto ad AfD e ha accettato di ospitare alcuni esponenti del partito di estrema destra in una serata per i parlamentari a inizio ottobre. La presidente Marie-Christine Ostermann ha spiegato di voler mettere alla prova «sul merito» i parlamentari, una strada che non è percorribile se si parla di AfD solo con «categorie di buoni e cattivi». Piuttosto, l’obiettivo è quello di mostrare come i politici di estrema destra siano spesso «vuoti a livello di contenuti e contraddittori». Ostermann ha anche ribadito di non voler vedere AfD parte di una coalizione di governo. 

La scelta ha ricevuto forti critiche. Altre associazioni paragonabili hanno ribadito il loro “no” a una cooperazione. Sono arrivate le prevedibili critiche dalla politica, la Deutsche Bank ha reso nullo un contratto con l’associazione, vietandole di fatto di utilizzare gli spazi di sua proprietà

Il “nostro” Görli

Görlitzer Park è al centro di un appassionato dibattito tra i cittadini di Berlino. È un luogo di disagi, dove «si accelera per superare gli spacciatori» e poi «si preferisce guardare le proprie scarpe» per non vedere la condizione in cui versano le persone che si aggirano nel parco, scrive la Zeit. Una situazione che viene tollerata da alcuni abitanti di Kreuzberg, ma che altri non vogliono più vedere. Nel 2024 nel parco la polizia ha registrato 245 lesioni, 242 furti e 24 delitti a sfondo sessuale. Ma c’è anche chi ama il parco nonostante i suoi problemi e di conseguenza non accetta l’approccio del municipio alla sua sorveglianza, carica di presenza di polizia e, a breve, anche di chiusura notturna. 

Secondo gli oppositori, la chiusura è un regalo per l’elettorato cristianodemocratico, con il sindaco Cdu Kai Wegner che non vedeva l’ora di fare il duro sulla situazione del Görli. Tanto da intervenire contro il volere della sindaca di municipio dei Verdi, che non sostiene la costruzione del recinto. Dal loro punto di vista, il modo di risolvere la situazione è un altro, più attento ai bisogni sociali dei protagonisti: assistenza per chi è dipendente dalle sostanze, alloggi per gli homeless e permessi di lavoro per gli spacciatori. Non sappiamo come andrà a finire: per il momento, la notte del 21 dicembre il parco sarà chiuso. 

Estremo tentativo

Per l’ottantesimo anniversario dei processi di Norimberga scegliamo un lato meno noto della storia della giustizia messa in campo contro i primi responsabili di genocidio e altre violenze del periodo nazista in Germania. Nello specifico, il tentativo di un gruppo di ex dirigenti della Nsdap di riscrivere la storia: raccolti in un campo di prigionia americano vicino a Darmstadt, gli ex gerarchi hanno prodotto un documento da oltre 4.000 pagine in cui vengono raccolte in maniera puntuale e paradossalmente precisa atti di violenza subite dai reclusi da parte degli alleati. 

Il tentativo era stato quello di far avere il fascicolo ai difensori dei dirigenti di primo piano alla sbarra a Norimberga, che pure puntavano a dimostrare l’assurda tesi dei crimini di guerra degli alleati nei confronti dei tedeschi. Ma nel tempo, con una copia distrutta dalle guardie del campo, una finita in Sudamerica lungo la cosiddetta Ratline, la via di fuga dei gerarchi alla fine della guerra, e una terza riscoperta in Germania, il documento è diventato a più riprese propaganda per chi ancora si aggrappa(va) alla vecchia ideologia di estrema destra. 

Nei decenni, stralci del plico sono stati pubblicati in diverse occasioni. Storicamente è difficile verificare la veridicità delle accuse degli internati nella Civil Internment Enclosure 91, pensata all’epoca come un campo di rieducazione democratica. L’obiettivo incoraggiato dagli americani era l’autogestione e le condizioni generali di vita per l’epoca – era pur sempre la fine della guerra – erano piuttosto buone anche per i prigionieri, che riuscivano addirittura ad assumere 1.700 calorie giornaliere. Ciononostante, soprattutto nei primi tempi dopo la fine della guerra si diffusero molte storie su presunti maltrattamenti da parte dei soldati americani: molti di loro avevano visto le crude immagini di Auschwitz e altri campi di concentramento e agivano sull’onda emotiva di ciò che avevano visto. 

Per porre fine alle voci, le autorità dell’Assia mandarono nel campo per avere una valutazione di prima mano il giornalista Eugen Kogon, oppositore del regime e lui stesso prigioniero di Buchenwald. Kogon mosse molte critiche alla gestione americana, perché tra i reclusi c’erano anche ex perseguitati dai nazisti, ma non riuscì a sentire empatia per i nazisti reclusi, che chiedevano giustizia pur essendo del tutto privi della consapevolezza delle loro colpe. 

© Riproduzione riservata