Dopo mesi in cui il cancelliere sembrava desideroso di migliorare il suo rapporto con il presidente americano, Merz ha ribattuto a Trump augurandosi che il tycoon non voglia scegliere “America alone”. È solo l’ultimo episodio di una settimana piuttosto movimentata per il capo del governo tedesco, che in patria porta a casa la riforma delle pensioni
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Una crisi di governo sventata, un confronto pubblico con gli elettori, un altro faro acceso (qualora ce ne fosse bisogno) su AfD. In tutto ciò, un rapporto quantomeno ambivalente nei confronti di Donald Trump: la settimana di Friedrich Merz, che nel frattempo ha trovato anche il tempo di fare una visita di stato in Israele, è stata quantomeno turbolenta.
Scatto di reni
Iniziamo dagli eventi più recenti. Giusto stamani il cancelliere ha usato toni sorprendentemente duri per descrivere gli ultimi sviluppi sul piano geopolitico. Ha spiegato di «non essere stupito» dal piano di sicurezza dai tratti propriamente sprezzanti nei confronti dell’Unione europea steso dall’amministrazione Trump, ma ha anche espresso l’auspicio che l’Ue si faccia più autonoma. «Alcune parti sono comprensibili e alcune accettabili (ma) altre inaccettabili per noi, dal punto di vista europeo» ha detto.
Un discorso che ricorda le primissime prese di posizione di un Merz appena eletto, che proprio la sera del voto prendeva posizione auspicando che l’Europa si sganciasse dal rapporto strettissimo che la legava a Washington. Apriti cielo, per un cancelliere della Cdu, partito atlantista per eccellenza nel panorama politico tedesco. Poi, però, Merz si era mostrato estremamente conciliante con il presidente americano.
A inizio giugno, quando era volato per la prima volta negli Stati Uniti, il cancelliere era arrivato preparato sulle abitudini di Trump, con un regalo d’eccezione: il certificato di nascita del nonno del presidente, originario di un paese tedesco. Anche la conversazione nello Studio ovale era apparsa rilassata, quasi amichevole: Merz ha puntato a lungo sulla possibilità di diventare il punto di riferimento europeo del presidente americano, ma il contrasto tra gli interessi europei e ucraini e quelli di Washington, passati nel corso dell’estate a essere sempre più allineati con Mosca, hanno costretto il cancelliere a tornare su una posizione più dura. E ora, il tentativo far fare uno scatto d’orgoglio a tutto il continente: così, Merz è arrivato a parlare del rischio che gli Stati Uniti prendano la via dell’“America alone”. Resta da vedere se lo slancio del cancelliere abbia prospettiva oppure Merz tornerà sui suoi passi com’è successo già in passato.
Pace con gli elettori
Sul fronte interno, Merz sta cercando di raddrizzare il destino della grande coalizione. È qualche numero che ve lo raccontiamo, e verosimilmente a questo punto penserete che ci siamo incartate nella stesura delle newsletter, ma il fatto è che l’alleanza tra socialdemocratici e cristianodemocratici continua a zoppicare.
La coalizione è riuscita però a portare a casa un traguardo importante per Merz e i suoi: il via libera, anche se per una manciata di voti, alla riforma pensionistica, per cui il cancelliere aveva fatto il pieno di critiche dalle file del suo partito. A soffrire era stata soprattutto la corrente dei giovani parlamentari, che speravano in una modifica più equa per le generazioni a venire. Il compromesso è stato raggiunto grazie alla promessa del cancelliere di tornare sull’argomento con un’ulteriore riforma il prossimo anno, in modo da rendere tutto il sistema più sostenibile. Alla fine, però, in aula il voto si è tradotto in una questione di fiducia informale e il timore è che la prospettiva della legislatura per Merz si faccia più difficile da questo punto in poi.
Il tema della riforma pensionistica è stato anche uno degli argomenti che hanno agitato gli ascoltatori presenti al confronto diretto con il cancelliere. Si tratta di un format molto caro alla tv pubblica tedesca, simile in parte agli incontri town hall a cui si sottopongono i candidati presidenziali americani in campagna elettorale. Olaf Scholz era spesso al centro di queste trasmissioni: per Merz è stata invece l’occasione per sistemare la sua dichiarazione sull’«ambiente urbano» che aveva fatto scalpore qualche settimana fa. Il cancelliere aveva fatto intendere che lo disturbavano le persone “fuori dalla norma” che vivono nelle città tedesche: nella trasmissione Merz ha cercato di recuperare punti-simpatia, tra le altre cose immaginandosi come «muratore che edifica la casa della Germania» e ha accettato la critica di una studentessa che lo rimproverava di dividere la società con affermazioni polarizzanti. Ma Merz non sarebbe Merz se avesse perso l’occasione per sottolineare che «chiunque abbia cercato di comprendere con un po' di buonsenso» le sue dichiarazioni, «le ha capite».
L’amico ingombrante
Sembra un numero un po’ merzologico della Deutsche vita, ci rendiamo conto, ma dobbiamo fare un passaggio sul viaggio del cancelliere in Israele. È il primo del suo mandato e soprattutto il primo dopo un periodo di stallo nelle relazioni diplomatiche tra Berlino e Tel Aviv. In questi mesi, perfino il governo tedesco – in particolare il ministro degli Esteri Johann Wadephul – che tradizionalmente tende a usare toni molto concilianti con gli esecutivi israeliani è arrivato a irrigidirsi commentando la devastazione messa in atto da Benjamin Netanyahu nella Striscia di Gaza. Ad agosto, il governo ha sospeso le forniture militari in direzione Tel Aviv: una decisione che oltre alle ovvie critiche israeliane ha provocato dissenso anche dentro la Cdu.
La visita sarebbe dovuta servire a calmare le acque, tant’è vero che Merz si è presentato come «amico d’Israele», pur parlando di «tempi complessi» e di un «dilemma di una certa portata» che il cancelliere ha dovuto affrontare di fronte a quello che è successo nella Striscia. Insomma, Merz si è trovato a camminare sulle uova, in un continuo sforzo a non esagerare né in un senso, né nell’altro. Ma il cancelliere ha già rinunciato alla solidarietà incondizionata a Israele che aveva invece proposto a suo tempo Angela Merkel e a Tel Aviv ne sono ben consapevoli.
Ora Merz sa bene che resta uno dei pochi capi di governo europei ad aver ancora un canale sufficientemente stabile con Netanyahu da prendere in mano le trattative in medio oriente qualora ce ne fosse bisogno. Tradotto: qualora Washington non avesse pazienza a sufficienza nel momento in cui dovesse riaprirsi il conflitto nella Striscia.
Ma i presupposti per ampliare il rapporto attualmente non sono dei migliori: a dividere il premier e il cancelliere resta soprattutto la soluzione dei due stati, di cui Merz è acceso sostenitore e che Netanyahu non prende neanche in considerazione. Lo stesso vale per le critiche al comportamento dei coloni in Cisgiordania. In ogni caso, durante la visita di stato il cancelliere ha ridotto al minimo le sue critiche pubbliche all’operato di Netanyahu. Ma un passaggio è apparso particolarmente imbarazzante: dopo la sua elezione a febbraio scorso, Merz aveva promesso di cercare il modo per invitare Netanyahu in Germania senza che venga arrestato. Con il passare dei mesi, quest’idea è finita nel cassetto, ma la questione resta scottante. Rispondendo a domanda diretta, il capo del governo tedesco ha spiegato che quando «il tempo» lo permetterà prenderà «eventualmente» posizione su un invito di questo genere. Netanyahu ha detto che è tanto che manca e gli piacerebbe tornare in Germania.
Movimenti alle estremità
Chiudiamo con due flash che riguardano le formazioni all’estrema destra ed estrema sinistra del Bundestag. Sahra Wagenknecht ha lasciato la presidenza del BSW. Non è chiaro se adesso la formazione rossobruna abbia ancora un futuro politico. La sua dante causa tuttavia resta collegata alla sua creatura, rinunciando però alla responsabilità per ciò che va male: Wagenknecht si occuperà infatti di una commissione con l’obiettivo di elaborare in maniera più chiara il profilo ideologico del BSW.
L’elettorato però è sfiduciato, soprattutto dopo che il partito non è riuscito a superare la soglia di sbarramento per entrare al Bundestag, il partito è diviso e le diverse correnti si sfidano per occupare ruoli di comando interni alla formazione. Il risultato della guerra di potere lascia molti insoddisfatti.
I nuovi dirigenti avrebbero lasciato fuori dalle decisioni il resto del partito, polemizzano i circoli dell’est, dove non è passato inosservato il fatto che i ruoli più pesanti sono stati occupati tutti da tedeschi dell’ovest. All’insoddisfazione si aggiunge la domanda su che forma dare al partito: bisogna aspirare al governo, anche se in coalizione, o fare un’opposizione polemica ai partiti tradizionali? Il timore è anche che, per compensare la carenza di linea sui temi economici vengano privilegiati nuovi innesti con background imprenditoriale: quasi un'«alternativa all’Alternative», come Wagenknecht stessa ha sempre descritto il suo partito. Con il rischio che BSW e AfD finiscano per assomigliarsi un po’ troppo, soprattutto per l’estrazione dei loro seguaci.
Alice Weidel, dal canto suo, deve fare i conti con le conseguenze derivanti dalle parole che ha pronunciato in un’intervista con la Welt in cui ha attaccato i servizi segreti interni che da tempo tengono sotto controllo le sezioni regionali e giovanili del partito. Il Verfassungsschutz ha sollevato dubbi sull'affiliazione all’estrema destra della Generation Deutschland, la neonata organizzazione giovanile di AfD, messa in piedi per sostituire la Junge Alternative, a sua volta accusata di estremismo. La leader del partito ha definito gli agenti dei servizi «viscide spie della Stasi», un paragone che ha provocato la presa di posizione dei mondi antifascisti ma anche di realtà come il sindacato della polizia, non esattamente composto da pericolosi boscevichi. Per Weidel i servizi «diffamano AfD da anni» e Merz ormai è «una figura tragica, un misto tra incompetenza e sopravvalutazione di sé stessi».
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