I Verdi tedeschi, con la giovane Annalena Baerbock candidata per la cancelleria, sembrano avere una realistica probabilità di vincere le elezioni legislative del 26 settembre. La protezione dell’ambiente è la promessa elettorale dei Grünen, affermata con inequivocabile chiarezza. Si sente invece meno parlare delle promesse riguardo l’integrazione della comunità musulmana, una tematica importante considerando che in Germania vivono tra i 5,3 e 5,6 milioni di musulmani, equivalenti al 6,4-6,7 per cento della popolazione totale.

La questione dell’integrazione musulmana è rilevante anche per arginare la minaccia di un avanzamento del Afd, la cui popolarità è esplosa nel 2017, in risposta alla politica dell’immigrazione di Angela Merkel. Per contrastare la narrativa razzista e populista dell’Afd, narrativa che genera in molti tedeschi, memori della propria storia, un sentimento di sconforto, è quindi cardinale che i Verdi sappiano proporre un modello di integrazione efficace e sostenibile.

Una comunità integrata

Nel 2017, a Colonia, viene completata la Zetralmoschee Köln, Moschea Centrale di Colonia, una delle più grandi d'Europa e importante sito architettonico della città. La costruzione di questo luogo di culto è stata amministrata dalla Ditib, l’associazione dei turchi-islamici in Germania, una delle più grandi organizzazioni musulmane del paese. L'inaugurazione della Zetralmoschee Köln è stata accompagnata da un dibattito accesso, suscitato non tanto dall’opposizione ideologica alla costruzione di un luogo di culto islamico, quanto dall’origine dei fondi, tra i 17 ed i 20 milioni di euro, arrivati dalla Turchia.

Sono ormai anni che la Ditib è tenuta sotto stretta osservazione per i suoi rapporti con la Turchia. Un fenomeno che accomuna tante altre organizzazioni musulmane in Germania che rimangono finanziariamente e, di conseguenza, ideologicamente dipendenti dai rispettivi paesi di origine. La politica tedesca è arrivata presto a comprendere che, per evitare il consolidarsi di una comunità islamica parallela e disconnessa dalla società tedesca, è necessario immaginare interventi che favoriscano la progressiva indipendenza di queste organizzazioni.

A questo scopo, i Verdi propongono l’istituzione di corsi di formazione per imam residenti in Germania. Interpellata da Domani, Filiz Polat, portavoce della politica dell’immigrazione e dell’integrazione per il gruppo parlamentare dei Grünen, sottolinea che «il coinvolgimento degli imam, che hanno presa diretta sulla vita dei musulmani in Germania, è fondamentale per il diffondersi, tra gli islamici, di una pratica religiosa maggiormente autonoma dal paese d’origine» e quindi più aperta all’integrazione con la società tedesca.

Canan Topçu, giornalista e scrittrice turco-tedesca, spiega infatti che una parte considerevole degli imam in Germania non solo arriva direttamente da paesi esteri, come la Turchia, ma viene anche da questi finanziata. Tale dipendenza economica favorisce di conseguenza una predicazione fondata su un’interpretazione del Corano nazionalista ed estremista.

La Deutsche Islam Konferenz (Dik), piattaforma di dialogo tra il governo tedesco e le comunità musulmane, istituita nel 2006 dal ministero dell’Interno con lo scopo di trovare soluzioni concrete e tangibili per quanto riguarda l’integrazione di questa comunità, da tempo sostiene la formazione locale degli imam.

La speranza è quella di dare corpo ad autorità religiose islamiche maggiormente sensibili ai valori socio-culturali tedeschi quali, ad esempio, la parità di genere. Come sottolineato dalla Dik, «attraverso la formazione locale degli imam si sta sperimentando lo sviluppo di un modello alternativo a quello, attualmente dominante, di autorità religiose islamiche portatrici di influenze straniere». Lo scopo finale dell’esperimento sta nel verificare se un islam «in, da e per la Germania» possa divenire più permeabile ai valori tedeschi di democrazia e parità, e pertanto maggiormente predisposto all’integrazione sociale.

Rimane però irrisolta la questione dell’indipendenza finanziaria. Secondo Filiz Polat, questa è la questione «che dovrebbe essere in cima all'agenda del Dik, da affrontare insieme alle associazioni musulmane».

Canan Topçu, pur condividendo la priorità dell’obiettivo, dubita che sia attuabile nel breve e medio termine: «La comunità musulmana aspira ad istituire una propria organizzazione, riconosciuta a livello governativo, responsabile della raccolta e utilizzo di una "tassa per le moschee”, sul modello delle esistenti tasse a favore delle istituzioni cristiane».

In Germania, infatti, nove comunità religiose, tra le quali quella cattolica, quella protestante e quella evangelica, sono riconosciute come società pubbliche e in quanto tali hanno il diritto di riscuotere dai propri fedeli la cosiddetta “tassa per la Chiesa”.

La maggior parte di tali entrate fiscali sono utilizzate per coprire i costi amministrativi e del personale, nonché per la costruzione di nuovi centri di culto e la manutenzione degli esistenti. «Tale ambizione» continua Canan, «è tuttavia ostacolata, da un lato dal fatto che la comunità musulmana non gode dello stesso sostegno politico di quella cristiana e, dall’altro, dalla difficoltà che le stesse diverse organizzazioni musulmane hanno a trovare un accordo all’interno di un unico ente rappresentante».

Vi è infatti una forte concorrenza tra le diverse organizzazioni musulmane, ognuna convinta della superiorità e legittimità della propria interpretazione del Corano. Topçu è dell’idea che, per quanto sia importante il ruolo della Dik, ciò di cui vi è davvero bisogno è una piattaforma di conversazione istituita dalle comunità musulmane stesse, attraverso la quale si possa arrivare ad un’intesa.

La questione del velo

Ad oggi la fondazione di una tale piattaforma sembra un sogno lontano. Le comunità musulmane competono fra loro per far riconoscere a livello governativo le proprie specifiche idee religiose, presentandole ai politici come rappresentative dell’intero corpo musulmano. A parere di Topçu, i Grünen stanno ingenuamente abboccando all’amo, almeno per quanto riguarda la questione del velo.

La Costituzione tedesca protegge il diritto di professare liberamente la proprio religione. Una proibizione a tappeto dell’uso del velo è quindi fuori discussione, in quanto incostituzionale. Il dibattito politico riguarda piuttosto la definizione dei luoghi e delle circostanze in cui l’uso del velo andrebbe vietato, come ad esempio per il personale politico e giudiziario e per studentesse sotto una certa età.

Filiz Polat non specifica in quali scenari i Grünen appoggerebbero una tale proibizione. Si limita solo a sottolineare che «non spetta allo stato giudicare il codice di abbigliamento che una comunità ritiene obbligatorio per motivi religiosi o ideologici».

Tale affermazione non considera che lo stato tedesco ha anche il dovere di proteggere anche i propri valori di democrazia e parità ed inoltre elude il problema delle comunità musulmane estremiste, che, come spiega Canan, impongono il velo alle proprie donne, privandole di voce in capitolo. I Grünen, consultando esclusivamente le comunità musulmane a orientamento liberale, di fatto evitano di affrontare il problema di quei gruppi che usano questo simbolo religioso come uno strumento di oppressione del genere femminile.

Quale sia la soluzione è difficile a dirsi. Chiaro è invece l’oggetto del dibattito, «che non è la religione dell’Islam in sé, ma piuttosto certe pratiche, in diretta contraddizione con i valori tedeschi, rivendicate come musulmane dai gruppi estremisti».

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