La stabilità politica della Germania è in buona parte dovuta alla presenza di un sistema partitico robusto, grazie al quale le diverse fazioni possono permettersi di formare classi dirigenti e organizzare un’azione politica coerente. Ma questa costanza non viene da sé: richiede apparati amministrativi complessi e, soprattutto, estremamente costosi.

Lo sa bene Wolfgang Schäuble, la cui ascesa ai vertici della Cdu negli anni Novanta si è arrestata bruscamente quando sono stati scoperti fondi neri, ottenuti dal partito con la sua complicità. La rivelazione che all’epoca era costata la segreteria del partito al futuro ministro delle Finanze era stata quella secondo cui nel 1994 un lobbista dell’industria bellica, in seguito arrestato, gli avrebbe affidato una ventiquattrore contente 100mila marchi in contanti. Anche se Schäuble non ha mai subito conseguenze legali, la scoperta dei finanziamenti illeciti ha creato in quel periodo un vuoto nelle prime file dei cristianodemocratici, aprendo la strada a una leader fino ad allora considerata di secondo piano: Angela Merkel.

Radicamento sociale

Da allora è stato fatto molto per rendere più trasparente il finanziamento dei partiti tedeschi. I bisogni finanziari della politica non sono infatti diminuiti, anzi: per il 2018, un anno senza elezioni federali, la Bundeszentrale für Politische Bildung (Bpb) riporta una spesa totale da parte dei partiti di circa 414 milioni di euro fra personale, attività politiche non elettorali e altre spese correnti, un aumento di quasi il 30 per cento rispetto al 2012. Cifre del genere sono sostenibili solo grazie a un sistema di finanziamento misto, la cui componente pubblica è garantita dalla Costituzione e regolata da una legge ad hoc sul funzionamento dei partiti.

I soldi pubblici che finiscono nelle casse dei partiti hanno come obiettivo il rafforzamento del loro ruolo di organizzazioni civiche: più una formazione è “radicata socialmente”, più risorse le vengono concesse dallo stato. Per misurare la rappresentatività si utilizzano diverse unità di misura, a partire ovviamente dai risultati elettorali. Sul sito del Bundestag è possibile trovare il “Conto elettorale” a disposizione di ogni partito, che rappresenta una somma dei consensi ricevuti nelle ultime elezioni locali e federali.

I partiti che superano lo 0,5 per cento dei voti alle elezioni federali (o l’1 per cento a quelle dei Land) hanno infatti diritto a un rimborso elettorale proporzionale ai voti riscossi: 1,03 euro a scheda per i primi quattro milioni di voti ricevuti, ridotti poi a 85 centesimi per ogni voto aggiuntivo. Il sistema di finanziamento tedesco non premia però soltanto la performance elettorale, bensì anche la capacità di mobilitare i cittadini fra una chiamata alle urne e l’altra. A ogni euro donato da iscritti e deputati eletti vengono aggiunti 45 centesimi dalle casse dello stato; stesso discorso per le donazioni private inferiori ai 3.300 euro.

Donazioni grandi e piccole

Almeno sulla carta la legge incentiverebbe dunque i partiti a coltivare consensi e donazioni nella base e fra gli eletti, indebolendo l’influenza dei grandi donatori. Ma basta uno sguardo ai numeri, per mostrare come i capitali privati siano ancora decisivi per i bilanci dei partiti. In parte ciò è dovuto dai limiti imposti al finanziamento pubblico: oltre a un tetto massimo stabilito di anno in anno, nessun partito può ricevere più soldi pubblici di quanti non ne ricavi da risorse proprie e donazioni.

In un anno non elettorale, i contributi dello stato rappresentano infatti solo il 36 per cento degli introiti dei partiti, a cui si aggiunge un 26 per cento di quote d’iscrizione. Il resto viene coperto da cosiddette “sponsorizzazioni” da parte di associazioni e donazioni private.

Queste somme diventano particolarmente generose nelle annate che prevedono appuntamenti elettorali, anche se il 2021 rimane comunque un anno record: a fine settembre l’associazione LobbyControl ha registrato un totale di 11,6 milioni di euro in “grandi donazioni” (definite come trasferimenti superiori ai 50mila euro), recepiti in gran parte dai liberali del Fdp (4,3 milioni) e la Cdu di Armin Laschet (3,2 milioni). «Mentre partiti come la Linke rifiutano per principio donazioni dal mondo del business, Fdp e Cdu sono tradizionalmente i principali beneficiari dei grandi donazioni» spiega Timo Lange, ricercatore dell’associazione LobbyControl.

Un dato più sorprendente sono i 3,4 milioni di euro recepiti dai Verdi, che da spauracchio dei colossi industriali e dei benestanti passano a essere il secondo partito più sostenuto dai privati. «È un fenomeno che abbiamo visto anche in Baden-Württemberg, anche prima che i Verdi vincessero la corsa alla presidenza del Land. All’improvviso c’è stato un aumento di donazioni provenienti dal mondo del business».

Sono soprattutto i sondaggi e la prospettiva di una partecipazione di governo a guidare i flussi finanziari. Ciò spiega anche le magre entrate della Spd, fino a poche settimane fa data come grande sconfitta della campagna elettorale: i socialdemocratici hanno incassato solamente 175mila euro in grandi donazioni, poco più della metà rispetto al partito satirico Die Partei.

Opacità e campagne parallele

La generosità dei privati non è però apprezzata da tutti. Episodi recenti hanno anzi riportato al centro del dibattito la necessità di rafforzare la legge che regola i contributi privati a campagne politiche. La prima vicenda vede come protagonista la destra radicale di Alternative für Deutschland (AfD), accusata di non aver rendicontato correttamente donazioni fatte dal miliardario Henning Conle attraverso prestanomi (i procedimenti sono ancora in corso, ma il partito ha per ora dovuto pagare una multa di quasi un milione di euro per un versamento non dichiarato di 326mila euro).

Simili sospetti esistono sull’ex banchiere August von Finck jr, come Conle domiciliato in Svizzera. Senza entrare nel merito della questione, l’AfD avrebbe provato a utilizzare una zona grigia nelle leggi attuali, che tace in merito al finanziamento di campagne apparentemente autonome dalle quelle organizzate direttamente dei partiti. Azioni parallele come la stampa di volantini o l’acquisto di spazi pubblicitari da parte di associazioni anonime non hanno alcun obbligo di rendicontazione, anche se vanno a ovvio beneficio dei partiti.

Una simile avversione per la trasparenza è condivisa dal ministro della Salute uscente Jens Spahn (Cdu), che durante una cena elettorale avrebbe invitato i suoi sponsor a donare un massimo di 9.999 euro, un euro sotto la soglia da cui scatta l’obbligo di segnalare il contributo. Altre fonti di guadagno, come la sponsorizzazione della festa del gruppo parlamentare Spd da parte della casa automobilistica Daimler, sono altrettanto poco regolate.

Insomma, la legislazione lascia una serie di scappatoie, tutte note alla politica, ma la cui cancellazione è stata per ora impedita soprattutto dalla Cdu. Ma anche secondo gli esperti, ciò che serve al sistema di finanziamento dei partiti tedeschi è più che altro un leggero ritocco, non un intervento strutturale.  «Un sistema misto è una buona cosa, le donazioni private possono dimostrare la radicazione sociale di un partito. Ma serve un tetto massimo alle grandi donazioni, così come misure per aumentare la trasparenza di quelle più piccole», dice Lange.

© Riproduzione riservata