La società 3-I spa è diventata tristemente celebre per via del suo ex presidente, Claudio Anastasio, che nelle sue comunicazioni istituzionali citava con orgoglio l’atto simbolico di inizio della dittatura fascista in Italia, cioè la rivendicazione da parte di Benito Mussolini del delitto Matteotti. Il presidente scelto dal governo Meloni se ne è andato, ma in tutto il dibattito attorno alla vicenda non si è parlato di cosa dovrebbe essere, o avrebbe dovuto essere 3-I spa, e perché il fatto che al momento sia solo una scatola vuota è grave.

Per capire il progetto che sta dietro a quella che viene definita la «software house» di Inps, Inail e Istat, bisogna inserirlo nei piani di digitalizzazione del paese al 2026, nella traiettoria tracciata dalla costituzione del polo strategico nazionale per il cloud e nell’orizzonte del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Un orizzonte di cinque anni, alla fine dei quali, considerata l’arretratezza delle infrastrutture digitali nazionali, almeno avremmo dovuto avere una nuova infrastruttura pubblica da cui partire.

Il progetto, inserito nel Pnrr, è stato sviluppato quando al ministero dell’innovazione c’era il manager Vittorio Colao e al ministero del Lavoro Andrea Orlando. L’idea era di creare un polo per la gestione dei dati della amministrazione pubblica che valorizzasse l’enorme patrimonio che oggi le amministrazioni gestiscono in maniera poco consapevole. Il progetto iniziale era persino più ampio di quello corrente. Avrebbe dovuto, infatti, includere anche le attività che Sogei, società in house del ministero dell’Economia, realizza per conto del Miur, il ministero dell’Istruzione oggi anche del Merito, che sul fronte digitale è sguarnito. Alla fine il perimetro si è fermato alle tre grandi I, cioè Inail, Inps e Istat, e il progetto ha preso la forma di una società in house delle tre agenzie: di fatto il polo dei dati del welfare e del lavoro. In questo schema Istat avrebbe avuto un ruolo leggermente diverso: i professionisti dell’istituto di statistica avrebbero dovuto soprattutto dare un contributo nel trattamento e nell’impacchettamento dei dati. Ma in sostanza ci saremmo trovati di fronte a una società con in pancia tutti i dati su contratti, salute dei lavoratori, infortuni, contributi, retribuzioni, ma anche welfare aziendale, e chi più ne ha più ne metta.

Quali obiettivi

La newco, secondo le discussioni che ne hanno accompagnato l’ideazione, sarebbe dovuta essere strategica sotto almeno quattro aspetti. Il primo: avrebbe permesso di ottenere informazioni più accurate e con procedure più semplici, rendendo interoperabili le banche dati di Inail e Inps, a favore sia della Pa che dei cittadini.

Il secondo: avrebbe garantito la gestione dei dati, merce preziosissima per gli operatori del cloud, ponendosi in una posizione di forza con eventuali prestatori di servizi privati del comparto, per dettare condizioni, sia per le competenze concentrate nell’agenzia sia per la dimensione dei dati gestiti.

Tre: da quel tesoro di dati avrebbe potuto generare nuove applicazioni per la Pa, ma permettere ad altri di generarne, offrendo i dati anonimizzati a sviluppatori e programmatori, come nella migliore tradizione inaugurata da alcuni comuni, da Milano a Barcellona, dove i dati delle città metropolitane sono diventati sorgente di nuove attività di business e di servizi ai cittadini. Quattro: avrebbe aiutato, grazie alla possibilità di incrociare le informazioni, il contrasto delle irregolarità sia nei rapporti lavorativi, sia nell’erogazione del welfare. Nel futuro avrebbe potuto anche diventare la banca dei dati personali dei lavoratori a cui le imprese sono obbligate a garantire accesso, secondo il decreto 104 del 2022.

Ma il progetto, già complesso di per sé per la necessità di mettere d’accordo gli enti coinvolti e superare le opposizioni sindacali, si è incagliato anche nella politica. L’idea iniziale era di avere un consiglio di amministrazione snello. Tre membri in rappresentanza delle tre agenzie: Inail, Inps e Istat. Poi è prevalsa l’idea di un consiglio d’amministrazione a cinque membri: con rappresentanti del ministero del Lavoro e della presidenza del Consiglio in aggiunta a quelli dei tre soci.

L’uomo che avrebbe dovuto guidare il cda, nello schema pre caduta di Draghi, era Roberto Lancellotti, già consigliere di Inps, con precise competenze sulla digitalizzazione. Era lui il referente individuato dall’ex ministro Colao. Dopo lunghe discussioni sul perimetro che la nuova società avrebbe dovuto includere – in sostanza che attività si sarebbe dovute trasferire dalle tre agenzie e quanto personale –, a luglio i piani operativi erano pronti, comprese le condizioni vantaggiose da offrire per attrarre al trasferimento i dipendenti dei tre enti. Ma la crisi di governo ha fatto saltare tutto. Sono seguiti diversi rinvii della firma per la costituzione della società ed è stato nominato Anastasio.

Ma manca tutto. E mancano soprattutto i decreti: in particolare il decreto per la struttura organizzativa, cioè le chiamate dirette e su base volontaria del personale. Nel piano originale, la società avrebbe dovuto impegnare i primi cinque-sei anni, dal 2022 ad almeno il 2027, solo nella missione di rendere interoperabili le banche dati di Inps e Inail. Ora chissà se mai ci arriveremo.

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