Duro, il destino del navigator. Sono 2.680 i giovani, età media 35 anni, che si trovano in questa doppia condizione di nocchieri dell’Acheronte e anime del limbo. Il loro contratto che sarebbe scaduto adesso, a fine aprile, è stato appena prorogato dal decreto Sostegni di altri otto mesi, fino a fine anno. Dovrebbero dare una mano a chi riceve il reddito di cittadinanza. Ma restano come «color che stan sospesi», loro stessi in una condizione di precariato: senza diritto a ferie, malattia, trattamento di fine rapporto, maternità e quant’altro. «Quando mio padre è morto di Covid», racconta Antonio Lenzi, che li rappresenta un po’ tutti essendo delegato di Anna, l’associazione nazionale navigator, «non ho avuto neanche i tre giorni di permesso per organizzare il funerale».

Antonio ora lavora in remoto da casa, a Milano, e si sforza di mantenere i contatti con gli utenti, i percettori di reddito di cittadinanza, presi in carico in precedenza, oltre che con le agenzie interinali che dovrebbero fornirgli un carnet di offerte di lavoro. Con la pandemia, però, non può prendere contatto con nuovi utenti, fare loro il primo colloquio di orientamento, niente corsi da suggerire, scarsa possibilità di farsi rispondere via mail al questionario attitudinale o anche solo di insegnare come scrivere un buon curriculum e spedirlo telematicamente, perché la maggior parte degli utenti non possiede un computer e spesso non sa neanche come si usa uno smartphone, quindi non riesce a partecipare neanche alla formazione a distanza. E non c’è bisogno di convincere nessun beneficiario ad accettare un lavoro distante 100 o 200 chilometri dalla residenza, una delle condizionalità del patto per il lavoro obbligatorio per poter ottenere l’assegno, perché adesso non ci si può muovere tanto lontano. Difficile fare il navigator quando si può navigare al massimo in una vasca da bagno.

Antonio è soddisfatto solo di un risultato negli ultimi mesi: è riuscito a convincere una ragazza, una dei pochi percettori di reddito di cittadinanza con una scolarizzazione superiore alla quinta elementare o alla terza media, a iscriversi a Giurisprudenza. «Ho sentito che fare il mio lavoro aveva senso».

Chissà se la ragazza avrebbe preso questa decisione anche senza parlare con lui o se anche lei aveva proprio bisogno di un tutor, un personal trainer motivazionale.

Il destino del navigator in effetti è legato a doppio filo al reddito di cittadinanza: seguire chi ottiene il sussidio è la sua “mission”.

Il reddito di cittadinanza è stato recentemente rifinanziato per un miliardo di euro. Il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, ritiene sia stato «uno strumento essenziale in questa fase di pandemia per mitigare la povertà assoluta che è notevolmente cresciuta» e infatti la platea dei beneficiari è triplicata durante la crisi Covid rispetto agli esordi. Ma non si tratta ancora di una misura permanente, come vorrebbero i M5s. Il destino del reddito è ancora sub iudice.

E così il navigator resta anche lui nei campi elisi del precariato e dell’indeterminatezza.

E i centri per l’impiego?

Molti centri per l’impiego sono rimasti addirittura chiusi, neanche un ufficio con cui relazionarsi.

Il ministro Orlando, parlando su Sky qualche giorno fa, ha escluso che nell’immediato si intenda sostituire il presidente di Anpal e amministratore unico di Anpal Servizi che è anche l’inventore dei navigator, Mimmo Parisi, finito in un mare di polemiche per le spese folli che comporta un incarico del genere a Roma quando la sua vita lavorativa è radicata nel Mississippi, dove ha una cattedra come professore di Statistica.

Un problema di “governance” che finora non si è voluto affrontare per la netta contrarietà del M5s, anche se Orlando ha riconosciuto che il reddito di cittadinanza come «strumento di politiche attive per il lavoro, ha fallito» e che pertanto anche ai navigator spetterà «una manutenzione» in vista della riforma degli ammortizzatori.

All’Anpal Servizi, l’agenzia per le politiche attive che un tempo si chiamava Italia Lavoro e che coordina i navigator, spiegano che il lockdown ha bloccato il loro incarico proprio quando avevano iniziato a prendere il largo. I giovani co.co.co sono infatti diventati operativi a settembre-ottobre, cioè dopo l’estate e al termine del corso di preparazione. Sarebbe dunque prematuro dare un giudizio negativo del loro operato come nocchieri dell’empowerment o ricollocazione dei disoccupati. Le difficoltà per il loro ingresso nei centri per l’impiego non sono mancate fin dall’inizio, spiegano sempre all’Anpal, visto che si sono dovuti inserire in realtà molto diverse le une dalle altre, sottostare a 20 diverse convenzioni regionali, confrontarsi con realtà territoriali difformi da provincia a provincia all’interno anche della stessa regione. Alcuni centri per l’impiego funzionano bene e hanno valorizzato l’ingresso di questi giovani laureati, come a Prato o a Bergamo, altri non li hanno accolti altrettanto positivamente, a volte non li hanno accolti affatto. In Campania, da convenzione stipulata con Anpal Servizi, i navigator non possono neanche mettere piede nei centri per l’impiego, per volontà della regione che da sempre non crede nel loro ruolo.

Data la nebbia fitta in cui si trovano, non stupisce che circa 300 navigator abbiano trovato un altro impiego, o come liberi professionisti o partecipando a concorsi interni messi a bando dalle regioni per entrare come dipendenti a pieno titolo negli stessi centri per l’impiego. Erano in 2.940 ad aver passato le selezioni, prima per titoli e poi il “quizzone” delle 100 domande a risposta multipla da risolvere in 100 minuti. E sono rimasti 2.680.

Il profilo medio di questi giovani si deduce dai requisiti richiesti allora per il quizzone, ed è presto detto: sotto i 40 anni, laurea in Giurisprudenza, Scienze politiche, Psicologia, Economia con punteggio in media 107. Guadagnano 1.700 euro mensili, compresi 400 euro dati come rimborso spese forfettario.

Antonio Lenzi spera che il governo Draghi decida di non far finire l’esperienza: «Siamo gli unici preparati ad accompagnare i disoccupati, i sottoccupati, gli inoccupati o scoraggiati nel nuovo mercato del lavoro». Il resto del personale dei centri per l’impiego è quasi tutto composto da impiegati notevolmente più anziani, venendo dai vecchi uffici di collocamento provinciali è più abituato a mettere qualche timbro sui libretti di lavoro che a destreggiarsi con le competenze informatiche ora necessarie. E per il portavoce dell’associazione dei navigator sarebbe l’ora di valorizzarne la preparazione, dando anche seguito in questo modo alle «tante dichiarazioni fatte dai politici sulla necessità di valorizzare i giovani preparati, per evitare che emigrino all’estero a causa della mancanza di opportunità».

Lavoro o lavoretti?

I risultati, visti i pochi mesi di rodaggio, non sarebbero scoraggianti.

Nell’ultimo rapporto Anpal di novembre, tra tutti i beneficiari di reddito di cittadinanza – un milione e 369.779 nuclei famigliari – il 25,7 per cento ha trovato un lavoro nell’arco di questi due anni e tre mesi dalla sua introduzione. Si tratta di una percentuale in linea con quelle di inserimento lavorativo dei centri per le politiche attive della Germania, che però di personale specializzato nel mismatch tra domanda e offerta di lavoro ne ha dieci volte tanto.

Il fatto è che da noi, più che di una vera occupazione trovata, si tratta quasi sempre di lavoretti, tanto precari da non intaccare molto spesso neanche il diritto a percepire il sussidio in questione. Quasi sempre si tratta di posti nelle basse mansioni del commercio e dei servizi. Dalle pulizie alla ristorazione, settori nei quali spesso i soggetti presi in carico dal navigator hanno già trovato in passato brevi e precarissime occupazioni. Ciò che offre il mercato del lavoro dipende in ogni caso dal mercato del lavoro e non da chi ci naviga dentro tentando di non annegare e con il compito di salvare anche gli altri.

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