Secondo le disposizioni attuali che determinano la gestione dello scalo di Linate con l’entrata in vigore di Brexit, l’aeroporto “Enrico Forlanini” dovrà interrompere i voli da e per Londra. Dal 31 ottobre, gli scali di Malpensa e Orio al Serio saranno gli unici del sistema aeroportuale milanese da cui potranno partire e arrivare i voli per Londra. La regolazione dei voli – destinazioni, quantità e tipologia degli aeromobili – è stata dettata nel tempo da cinque decreti ministeriali. Il primo, del 1998 e a firma del ministro dei Trasporti Claudio Burlando, è il risultato di una lunga e paradossale mediazione tra Linate e Malpensa che è diventato hub intercontinentale proprio nel 1998, anche se il progetto si chiamava allora Malpensa 2000.

Storia di Malpensa

Quella mediazione è alla base dello sviluppo “rachitico”, ma costoso per le finanze pubbliche del settore aeroportuale degli ultimi 20 anni. Questo periodo è stato caratterizzato dai continui salvataggi di Alitalia, gestita nel peggiore dei modi, dall’avvio della liberalizzazione dei cieli europei, e anche dalla costruzione di Malpensa, il più grande investimento aeroportuale italiano del secolo scorso con oltre 1,5 miliardi di euro di spesa. L’apertura dello scalo è stata disastrosa, con una settimana di enormi disagi per passeggeri e compagnie aeree.

I manager Sea, il gestore pubblico controllato dal comune di Milano di Linate e Malpensa, avevano mire espansionistiche e si stavano occupando allora dell’acquisizione di una quota degli aeroporti argentini. Quando venne aperta Malpensa, i migliori tecnici della Sea erano quindi in trasferta in Argentina. Inoltre mancavano il collegamento ferroviario – la fretta fa i micini ciechi – e la corsia d’emergenza della ipercongestionata autostrada A8.

Per molto tempo ci si chiese se fosse più conveniente ridimensionare Linate per favorire lo sviluppo di Malpensa o far perdere benessere a compagnie e passeggeri del molto più comodo e più funzionale Linate. Il primo derby tra Malpensa e Linate si concluse col decreto di Burlando che incassò l’ok dalla Unione europea prevedendo però che solo i vettori comunitari potessero continuare a operare su Linate, in modo da andare incontro alle compagnie europee che non volevano spostarsi su Malpensa. Il primo decreto ridimensionò il Forlanini, fino al completamento delle opere di collegamento, vietando ai vettori non comunitari l’uso dello scalo e riducendo le capacità dei collegamenti precedentemente in essere nel limite del 34 per cento, spostando il restante 66 per cento a Malpensa. La navetta aerea Linate-Fiumicino, una gallina dalle uova d’oro e uno dei tanti aiuti anticoncorrenziali, fu lasciata a Linate in esclusiva all’Alitalia. Venne poi posto un tetto al numero di passeggeri di sei milioni anno, dai dodici milioni del 1998 che venivano gestiti dal Forlanini. Successivamente, nel 2000, fu il ministro dello Sviluppo Pier Luigi Bersani a ridefinire il tetto ai voli dei vettori comunitari. Nel 2001 fu ancora Bersani ad abbassare a 18 movimenti orari il limite dei voli, i quali dovevano anche essere point-to point: in pratica venne vietato il transito da un volo all’altro. Gli aerei operanti su Linate, inoltre, non potevano avere più di un corridoio.

Nel 2014 il ministro Maurizio Lupi lasciò invariato il numero dei voli e, con un decreto pre-Expo, aprì a tutte le destinazioni europee, eliminando il vincolo di poter volare solo sulle capitali. Una mini liberalizzazione dei limiti dei precedenti decreti. Infine nel 2016 Graziano Del Rio rimosse, come chiesto dall’Unione europea, il vizio formale del precedente decreto, che era stato emanato senza sentire preventivamente le compagnie aeree.

Tutti questi vincoli sarebbero dovuti servire a fare di Malpensa un hub, cosa positiva ma non sufficiente a collegare l’aeroporto con destinazioni intercontinentali, vista la gestione di Alitalia che non ha voluto entrare in una delle grandi alleanze aeree mondiali per non perdere sovranità decisionale, l’italianità era ed è ancora solo questa. Per dar vita a un hub, senza avere la flotta intercontinentale necessaria a dar vita a un hub, Malpensa diventò un “linatone”.

Non competitivi

La sovranità è invece servita per continuare con una gestione consociativa e clientelare del vettore, tenendo alta la bandiera italiana. La bandiera issata era però quella di alte tariffe non competitive, bassa qualità e scarsa puntualità dei servizi aerei e di terra. Le restrizioni imposte a Linate non hanno salvato Malpensa, che in questi anni ha avuto un modestissimo sviluppo: con una capacità di 40 milioni di passeggeri, nel 2018, l’ultimo anno confrontabile con Linate aperto tutto l’anno, si sono raggiunti i 24,5 milioni. Hanno, al contrario, favorito lo sviluppo e la crescita dell’aeroporto di Bergamo, accerchiato dalle abitazioni. Ora per superare questa nuova impasse, servirebbe l’eliminazione dei limiti imposti 21 anni fa per consentire agli aeroporti milanesi di avvicinarsi alle esigenze del mercato. Adesso il ministro Enrico Giovannini ha una grande opportunità: togliere ogni vincolo a Linate abrogando tutti i decreti precedenti. Da Linate si potrebbero avere nuove destinazioni strategiche come Mosca, Istanbul e Tirana, ma soprattutto evitare l’autogol di impedire i voli per Londra, conseguenza di Brexit, che una città come Milano non può permettersi di non avere. Bisognerebbe tornare dai 18 ai 24 movimenti all’ora ante 1998. Fa male sentirsi dire che il primo tratto già pronto della MM4, la linea della metropolitana che dovrebbe collegare Linate al centro città, non si apre perché lo scalo ha pochi passeggeri e fa male sapere che ci sarebbero molte compagnie aeree new entry che vorrebbero operare a Linate ma non possono farlo perché prima andavano protette Alitalia e Malpensa e ora Malpensa e Ita.

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