Ci sono poche certezze a proposito della manifestazione di interesse presentata dal fondo americano Kkr per l’acquisizione del totale del capitale di Tim.

La prima sono i notevoli rialzi in Borsa: ieri sono stati scambiati centinaia di milioni di titoli, circa il sette per cento del capitale, della società di telecomunicazioni, segnando rialzi fino al 33 per cento. Il titolo ha toccato vette superiori agli 0,45 centesimi, che non vedeva da giugno di quest’anno, chiudendo una delle migliori sedute degli ultimi due anni – dopo marzo 2020 con l’operazione sulla società delle torri Inwit, non ce ne sono state molte a dir la verità – e trascinando l’intero settore.

Montagne russe

Da due settimane, più o meno da quando il destino dell’amministratore delegato Luigi Gubitosi ha iniziato a essere pesantemente messo in discussione, la società è stata al centro di molte indiscrezioni e di altrettanti andamenti altalenanti sui mercati, senza che mai la Consob si pronunciasse.

Giovedì 4 novembre ha segnato un rialzo in Borsa per le indiscrezioni di una riapertura del dossier sulla rete unica con l’aumento della quota di Kkr nella controllata Fibercop, indiscrezione peraltro smentita in giornata dalla società, ma che non ha fermato gli acquisti sui mercati. Il giorno successivo, il 5 novembre, le agenzie hanno battuto per la prima volta la notizia di un interesse di Kkr per l’acquisizione della società, con conseguente nuovo rialzo.

I sindacati nel frattempo chiedevano al Mise un incontro, interessati più che alle indiscrezioni a una strategia industriale (hanno ottenuto un incontro solo ieri, fissato il primo dicembre, dallo stesso Mise che nelle ultime settimane ha incontrato due volte i vertici di Dazn).

L’11 novembre, poi, il consiglio di amministrazione si è riunito su richiesta di alcuni consiglieri, in primis i rappresentanti del primo azionista, il gruppo francese Vivendi, critici nei confronti di Gubitosi. Il cda, come recitava la nota della società, ha analizzato «il difficile contesto di mercato» e smentito ufficialmente le voci di una possibile trattativa sulla rete. Il giorno successivo le azioni hanno perso oltre il 2 per cento, ma solo sabato, a mercati chiusi, si è scoperto grazie a un articolo di Repubblica che undici consiglieri avevano chiesto un nuovo consiglio per discutere della difficile situazione dei conti, effettivamente convocato per il 26 novembre.

A questo punto domenica è stato convocato un consiglio straordinario per valutare la «manifestazione di interesse» di Kkr che ha presentato una offerta al momento solo indicativa a 50 centesimi. Vivendi che ha in mano il 23,75 per cento del capitale e che sta marciando contro il management di Tim da settimane l’ha rifiutata in meno di 12 ore, mentre il titolo andava alle stelle.

Un’offerta complicata

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Il no di Vivendi era atteso e spiega quanto sia complicata la realizzazione dell’offerta pubblica di acquisto. Prima di tutto, serve il 51 per cento delle adesioni, su un capitale in quarto in mano ai francesi e per quasi il 10 per cento in mano a Cdp. In più in un’assemblea straordinaria destinata a valutare l’operazione servirebbero i due terzi dei voti.

L’offerta di Kkr, oltre che di difficile attuazione, è vincolata al gradimento del management, che oggi è Gubitosi, un amministratore delegato che la maggioranza dei consiglieri mette in discussione. Se non fosse Gubitosi dovrebbe essere un amministratore delegato comunque gradito al principale azionista, cioè a Vivendi, che ha rifiutato il prezzo indicativo dell’offerta. Come se ne esce? La risposta di Gubitosi, ovviamente, sarebbe scontata.

Alcuni analisti fanno notare come il passaggio alla proprietà del fondo americano potrebbe garantire una governance più forte e adeguata agli investimenti, il vero obiettivo a cui guarda il governo e quindi di rimando la Cassa depositi e prestiti.

Per valorizzare gli asset di Tim e guadagnarci, il fondo potrebbe scorporarne alcuni – il più profittevole resta Inwit. Ma lo scorporo che conta è quello della rete dai servizi commerciali al consumatore. Questo aiuterebbe molto un eventuale ritorno al progetto della rete unica che però, checché ne dicano Landini e altri, senza quello scorporo è difficilmente compatibile con le regole antitrust europee. Contemporaneamente, però, una operazione del genere rischia di mettere nei grossi guai un gruppo sovradimensionato come Tim, che ha alle dipendenze poco meno di 40 mila persone. In più, come abbiamo scritto molte volte, una rete in mano a Kkr riproporrebbe in maniera esiziale il problema del controllo dei dati da parte di giurisdizioni estere, su cui oggi dovrebbe essere presentata la strategia nazionale e metterebbe anche potenzialmente in crisi il progetto del Polo strategico nazionale. Al momento un piano chiaro, insomma, non sembra esserci né con Gubitosi, e magari Kkr, né senza Gubitosi.

Da Tim fanno sapere che l’ordine del giorno del 26 novembre non è ancora stato redatto. Quindi, spiegano, al momento non c’è la mozione di sfiducia verso l’amministratore delegato e potrebbe esserci, ma per ora non c’è, la nomina degli advisor e dei consulenti per la due diligence richiesta da Kkr. L’unica certezza, insomma, sono le montagne russe in Borsa.

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