Cornuti e mazziati, come dicono a Roma. I 420 piloti e i 775 assistenti di volo Alitalia che, dopo essere finiti per strada insieme ad altre migliaia di lavoratori perché la compagnia dove hanno lavorato è morta, e che quindi sono stati costretti a trasmigrare a Ita a condizioni capestro dal loro punto di vista, ora sono anche puniti. Devono pagare da 17mila a 32mila euro perché, come è scritto nella lettera inviata dal direttore delle risorse umane, Romina Chirichilli, Alitalia contesta a ognuno di essi «le motivazioni di giusta causa addotta in quanto inesistente», e siccome non c’è la giusta causa ne consegue «il mancato rispetto del preavviso». E se non c’è giusta causa e manca il preavviso, cari piloti siete in difetto e dovete pagare, prego.

In sostanza dopo aver chiuso definitivamente l’azienda al termine di quattro anni inconcludenti e con un mare di debiti alle spalle, i dirigenti di Alitalia in amministrazione straordinaria ritengono censurabile il comportamento dei piloti e degli altri lavoratori che hanno trovato un’occupazione a Ita. Essi non avevano una «giusta causa», cioè motivi più che validi per andarsene, oltretutto in un’azienda che dal punto di vista formale non è la prosecuzione di Alitalia per non scontentare l’Europa, ma che somiglia come una goccia d’acqua alla vecchia compagnia, magari in miniatura. Il tono per sollecitare il quantum è perentorio, come se di mezzo ci fossero non professionisti che hanno lavorato in azienda fino a un minuto prima e magari per decenni, ma degli scioperati abituati a non saldare i debiti.

Pagate e zitti

C’è scritto nella lettera: «Nell’eventualità di incapienza Ella dovrà trasmettere il complessivo importo o l’importo residuo alla scrivente società, sul conto corrente XY entro e non oltre 10 giorni dal ricevimento della presente». E ancora con fare ultimativo: «Riteniamo opportuno avvertirla che, in mancanza di adempimento spontaneo nel termine dato, nostro malgrado, saremo costretti ad avviare, senza ulteriore avviso, immediate azioni di recupero». Come dire: pagate, pagate subito in silenzio senza fare storie e se non lo fate mandiamo a casa vostra l’ufficiale giudiziario a pignorare il salotto. La motivazione per quello che sembra il classico calcio dell’asino è paradossale quanto il resto della lettera: «Quanto precede nella necessità di dover preservare specie nell’attuale contesto critico, il patrimonio societario nell’interesse dell’amministrazione straordinaria», cioè in ultima istanza per le centinaia di creditori nei confronti dei quali secondo stime recenti Alitalia avrebbe cumulato un debito di un miliardo di euro.

La motivazione è formalmente fondata e legittima, ma suona come una presa in giro nel contesto in cui avviene. La compagnia è ormai morta lasciandosi dietro un corteo di 7.600 persone disoccupate ed è quanto meno ingeneroso trattare le altre che hanno avuto la fortuna di trovare un rifugio in Ita alla stregua di furbetti con la propensione a fregare. L’amministrazione straordinaria Alitalia si accanisce contro i piloti sostenendo che la penale serve per pagare i creditori, come se in tutti questi anni la stessa amministrazione straordinaria avesse offerto fulgidi esempi di altrettanta fermezza.

I casi sono mille, partiamo dall’oggi: i responsabili dell’amministrazione straordinaria hanno venduto gli asset Alitalia a Ita al valore simbolico di un euro e i creditori che per un attimo avevano sperato di vedere qualche briciola proprio con la vendita degli asset, si sono dovuti mettere il cuore in pace. Poi gli amministratori hanno venduto pure il marchio con una procedura che a molti è sembrata un po’ opaca. Hanno sparato la cifra di 290 milioni di euro a cui non ha abboccato nessuno. Con ruvida franchezza l’amministratore delegato di Ryanair, Michel O’Leary, che veniva indicato come il più interessato all’affare per completare la marcia di conquista in Italia anche annettendosi l’ultimo simbolo, ha fatto sapere che non gliene importava nulla del marchio Alitalia perché è quello di un’azienda impresentabile. Alla fine il marchio è stato comprato da Ita a una cifra tre volte inferiore (90 milioni di euro).

Azioni legali

La quale Ita, detto per inciso, non è chiaro che cosa se ne faccia del marchio dal momento che ne ha scelto un altro e per evitare confusioni ha perfino ripitturato gli aerei con un sorprendente blu cielo metallizzato. Intervistato dal Corriere della Sera il presidente di Ita, Alfredo Altavilla, ex Fca scuola Sergio Marchionne, ha detto che sono stati spesi 90 milioni «per garantire una transizione ordinata verso la nuova livrea e la nuova identity». Se queste sono le premesse c’è da tremare all’idea di quanti soldi pubblici potranno essere capaci di spendere quando dovranno comprare qualcosa di più serio.

Riandando al passato l’amministrazione straordinaria è stata capace di bruciare la bellezza di un miliardo e 300 milioni di euro di soldi pubblici in teoria concessi per risollevare l’azienda e quindi per tutelare anche i creditori. Che la compagnia non sia stata risollevata ma giustiziata è sotto gli occhi di tutti. In quanto ai creditori non risulta siano stati soddisfatti e l’amministrazione si è fatta notare per una certa abilità nello schivare le grane da risolvere. Per esempio quella del carburante: dopo averlo negato ufficialmente per anni, ormai è di dominio pubblico la consapevolezza che, chissà perché, in passato erano stati sottoscritti contratti vantaggiosi per i fornitori. I nuovi amministratori avrebbero dovuto sanare alla radice questa stortura, ma non risulta si siano dannati l’anima per farlo. Idem con i contratti di leasing degli aerei, stipulati da Alitalia con un atteggiamento di grande generosità nei confronti dei lessor, cioè di chi concede in affitto la macchina.

In una nota molto risentita Navaid, sindacato dei piloti, annuncia battaglie legali e ricorda che «i piloti “fortunati” assunti da Ita e selezionati senza alcun criterio hanno accettato obtorto collo condizioni economiche uniche nel panorama mondiale, con stipendi ridotti del 50 per cento rispetto a quelli di Alitalia».

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