Le infrastrutture deserte, o quasi, non servono a nessuno, nemmeno al Sud, e nemmeno all’ambiente. Servono buoni trasporti per tutti. Ma il ministero delle Infrastrutture ha deciso un piano faraonico di investimenti, soprattutto in ferrovie, senza fare previsioni di traffico (quindi neanche di impatto ambientale, o economico, o finanziario).  

Sono stati forniti solo risultati riguardanti in solido un gran numero di progetti molto onerosi, molto ottimistici sull’impatto in termini di spostamento di traffico dalla strada alla ferrovia e di riduzione delle emissioni ad esso associato.

La documentazione del Pnrr dichiara, persino ingenuamente, che nelle simulazioni macroeconomiche si assume a priori che tutti i progetti siano i migliori possibili.

Dalla strada al binario

Il grosso della spesa è per progetti che hanno il dichiarato obiettivo ambientale di spostare traffico dalla strada alla ferrovia. Ma nel periodo successivo alla realizzazione delle tratte alta velocità, il maggior investimento ferroviario italiano del dopoguerra costato in euro attuali circa 40 miliardi tutti a carico dello Stato e che ha coperto i collegamenti più importanti del Paese, la quota modale della ferrovia in termini di passeggeri-km è cresciuta solo dello 0,6 per cento.

I progetti attuali collegano centri di dimensioni minori e il Pnrr finanzierà solo alcune tratte delle linee previste (per circa 25 miliardi su 62). Se ne rimanda il completamento a risorse future da reperire con costi del capitale non noti. Ma sarà difficile lasciare opere a metà, ed è ciò che i costruttori auspicano: cantieri sempre aperti e non chiudibili mai. 

Il ministero ha promesso per i prossimi mesi analisi costi-benefici ma appare improbabile che queste smentiscano le decisioni politiche prese, anche perché affidate alle ferrovie stesse, in palese conflitto di interesse: dovrebbero dire dei “no” a finanziamenti pubblici ingenti per i quali non è chiesta loro alcuna contropartita.

Alcune di queste analisi sono state fatte da una istituzione non-profit privata (BRT, Bridges Research Trust onlus). Presentiamo qui i primi risultati e i primi commenti, con l’obiettivo di suscitare un dibattito tecnico e politico.

I risultati si appoggiano a una modellistica del traffico e delle reti di trasporto molto esaustiva, e alimentata da dati aggiornati.

Qui ci concentriamo sul raddoppio ad alta velocità della linea esistente Salerno-Reggio Calabria (500 km circa), totalmente elettrificata e a doppio binario, utilizzata nei tratti più carichi per meno del 50 per cento della capacità disponibile di 200 treni/giorno.

A preventivo, il costo totale del progetto è stimato dal ministero tra i 22 e i 27 miliardi di euro, interamente a carico dello Stato (in media a consuntivo per le ferrovie nel mondo si registra uno scostamento in più dei costi del 45 per cento).

Tutto per 200 viaggi in più

Tale progetto comporterebbe una riduzione dei tempi di percorrenza tra la Calabria e le Regioni più a nord di circa un’ora rispetto ai treni più veloci oggi circolanti, che impiegano un po’ meno di cinque ore per andare da Reggio a Roma.

E’ in corso un intervento sulla linea esistente, progettato da Rfi e finanziato dal ministero dal costo di circa 500 milioni di euro, che ridurrà i tempi di percorrenza di circa venti minuti, riducendo così a una sola mezz’ora il risparmio di tempo ulteriore ottenibile con la nuova linea ad alta velocità.

Applicando a tale variazione di tempo un valore standard di elasticità, il numero di viaggi al giorno aumenterebbe rispetto a oggi di meno di 200 unità. Qualora con molto ottimismo si ipotizzi invece che tutti i passeggeri che oggi si spostano in aereo tra la Calabria e Roma e tra la Sicilia e Campania venissero acquisiti dalla ferrovia, i passeggeri aggiuntivi alla data di apertura della linea sarebbero pari a circa 7.000 al giorno.

La crescita della domanda è poi stata assunta pari all’1 per cento annuo, valore che assume che il calo demografico in atto nel mezzogiorno sia compensato dalla crescita del reddito generata dal Pnrr stesso.

Questo valore, unito a quello dei passeggeri di lunga distanza oggi presenti (in media 5.300 al giorno), corrisponde a circa 40 treni/giorno (300 persone/treno) sulla linea AV, che occuperebbero meno del  15 per cento della capacità disponibile (300 treni/giorno), mentre l’attuale linea diverrebbe ancor meno utilizzata, dedicata solo a treni locali in prossimità dei maggiori centri urbani, e a un limitato numero di treni merci giornalieri.

In termini ambientali, al netto delle emissioni causate dalla costruzione dell’opera, e con il citato trasferimento dell’intera domanda aerea sulla ferrovia, si può stimare che ogni anno verrebbero evitate circa di 180 mila tonnellate di CO2, ossia intorno allo 0,2 per cento del totale attuale del settore trasporti.

Il costo per lo Stato di ogni tonnellata abbattuta sarebbe di 4.200 euro, un ordine di grandezza superiore rispetto agli 800 euro assunti come valore massimo di lungo periodo dalla Commissione Europea a sua volta più molto più elevato del costo attuale di riduzione di oltre la metà delle emissioni mondiali che si attesta al di sotto dei 50 euro per tonnellata.

Con i soli costi di investimento di 22 miliardi di euro sarebbero abbattibili in altri settori circa 440 milioni di tonnellate di CO2, quasi cento volte i risparmi di emissioni conseguibili nei primi trenta anni di esercizio della linea.

Se il traffico aereo acquisito fosse inferiore al 62 per cento del totale (ipotesi non inverosimile), il bilancio del CO2 diverrebbe addirittura negativo, generando un danno netto all’ambiente

Questi dati non sembrano dunque giustificare in alcun modo questo tipo di investimento. 

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