L’appuntamento è previsto ogni anno, ma questa volta le proposte inviate dall’authority antitrust al governo per una legge sulla concorrenza che dovrebbe essere annuale sono più dirompenti e sono state chieste direttamente dal premier Mario Draghi durante il discorso con cui in parlamento ha chiesto la fiducia. In particolare in merito alle piattaforme del digitale l’authority chiede di aver molti più poteri. E siccome l’aumento della concorrenza è una delle raccomandazioni a cui l’Italia dovrebbe rispondere con le riforme inserite nel piano nazionale di ripresa e resilienza, la possibilità che questa volta l’esecutivo risponda alle sue richieste è più concreta.

La presunzione di dipendenza

La vera svolta si trova a pagina 96 della relazione. L’Antitrust infatti chiede in poche righe al governo di cambiare completamente l’inquadramento delle piattaforme digitali: «L'Autorità», si legge nel documento, «auspica un'integrazione dell'art. 9 della legge 18 giugno 1998, n. 192, volta a rendere le previsioni relative all'abuso di dipendenza economica più appropriate ed efficaci rispetto alle caratteristiche e, in particolare, al potere di intermediazione delle grandi piattaforme digitali». La modifica proposta dall’authority mira a dare alle piattaforme l’onere di dimostrare che non esiste la dipendenza economica nei rapporti «con un'impresa che offre i servizi di intermediazione di una piattaforma digitale».

Questo significa che se un imprenditore usa Amazon, per esempio, per vendere i suoi prodotti sul mercato, sarà Amazon in caso di contenzioso a dover dimostrare che l’imprenditore non è dipendente dalla piattaforma. 

Scrive l’Antitrust: «Si propone di aggiungere i seguenti commi all'articolo 9 della legge 18 giugno 1998, n. 192: "4. Salvo prova contraria, si presume la dipendenza economica nel caso in cui un 'impresa utilizzi i servizi di intermediazione forniti da una piattaforma digitale che ha un ruolo determinante per raggiungere utenti finali e/o fornitori, anche in termini di effetti di rete e/o di disponibilità dei dati». 

La nuova definizione serve all’authority nei casi in cui ci siano degli abusi della posizione dominante da parte delle piattaforme che sono a tutti gli effetti delle infrastrutture di mercato. «Le pratiche abusive realizzate dall'intermediario nei confronti dell'impresa in posizione di dipendenza economica», ricorda l’Antitrust, possono consistere nell’imposizione di condizioni contrattuali gravose, inique, ma anche «nel rifiutare l'interoperabilità di prodotti o servizi o la portabilità dei dati, limitando la concorrenza», oppure nel subordinare il rispetto dei contratti ad altre relazioni tra i contraenti, ma anche a fornire informazioni o dati insufficienti sul servizio fornito  e infine «nel conseguire indebite prestazioni unilaterali, non giustificate dalla natura o dal contenuto dell'attività svolta». 

Il modello tedesco

Ma l’antitrust va molto oltre: in materia di piattaforme digitali chiede un rafforzamento dei poteri nei confronti delle società che operano in mercati più ampi sul modello dei poteri conferiti in Germania alla autorità tedesca. «L'Autorità», si legge nella segnalazione al governo, «auspica l'introduzione di una specifica disposizione, modellata sull'esperienza tedesca 180, che stabilisca la possibilità di attribuire ad alcune imprese la qualifica di imprese di primaria importanza per la concorrenza in più mercati, alle quali possono essere vietate taluni comportamenti particolarmente distorsivi della concorrenza, salvo che l'impresa non dimostri che la propria condotta risulta obiettivamente giustificata».

In pratica l’antitrust italiana sta chiedendo il potere di individuare le società di primaria importanza per la concorrenza tramite una serie di indici che misurano gli operatori “dominanti” nell’economia digitale. La definizione vale cinque anni e con la definizione dei grandi poteri, porta anche le grandi responsabilità. 

In Germania la riforma è entrata in vigore a gennaio 2021. Ora la authority italiana chiede lo stesso potere di definire per cinque anni consecutivi una società del digitale di primaria importanza e di proibire solo a queste piattaforme proprio in virtù della loro posizione di rilievo alcuni comportamenti. La relazione elenca già alcuni degli obblighi precisando che l’azienda non potrà favorire se stessa rispetto alle imprese per cui svolge il ruolo di intermediario, né ostacolare altre grazie al suo ruolo di accesso a un mercato, né utilizzare «strategicamente il trattamento dei dati rilevanti per la concorrenza al fine di innalzare le barriere all'ingresso di altre imprese» ma nemmeno chiedere «il trasferimento di dati o diritti non necessari per la fornitura del servizio ovvero subordinando la qualità dell'offerta al trasferimento di dati o diritti».

Mettere a gara le concessioni

Oltre a questo l’authority ribadisce la necessità di mettere a gara le concessioni, mentre a palazzo Chigi si sono accumulate le infrazioni per le gare degli ambulanti, dei balneari e andrebbero messe a gare anche quelle del gioco. Viene anche sostenuta la concorrenza a livello infrastrutturale che possa essere da stimolo alla modernizzazione del paese, con un chiaro riferimento alla questione banda larga. Infine il sistema dei servizi pubblici locali viene in parte bocciato con un capitalismo pubblico che secondo l’authority «non appare idoneo ad assicurare efficienza e qualità dei servizi». 

© Riproduzione riservata