La strategia di Fratelli d’Italia ha avuto i suoi frutti, ma probabilmente non quelli sperati. Il partito di Giorgia Meloni con astuzia ha presentato una mozione sulle concessioni balneari che ha costretto la maggioranza a fare i conti con uno dei temi in cui i partiti sono più compatti a favore della lobby dei balneari. Presentata lunedì 14 febbraio, la mozione dovrebbe essere discussa ancora il 16 febbraio prima di arrivare a una votazione. Il governo ha però accelerato l’esame del dossier e per battere sul tempo una eventuale franata della maggioranza ha approvato oggi in consiglio dei ministri un emendamento al disegno di legge sulla concorrenza.

La proposta conclude l’era della proroga automatica delle concessioni, rispondendo al consiglio di stato che a novembre a sezioni riunite ha stabilito che non potessero proseguire oltre il dicembre del 2023. Ma c’è un ma, infatti la durata delle concessioni attuali viene prorogata alla scadenza naturale se successiva al 2023 o alla fine del 2023 se precedente, nel caso di concessioni già affidate tramite «procedura selettiva con adeguate garanzie di imparzialità e trasparenza».

Il rischio slittamento

L’altra decisione importante è che ci sarà un disegno di leggere per delegare al governo la riforma rimandandola a decreti successivi. L’esecutivo approverà entro sei mesi dalla data dell’entrata in vigore della legge uno o più decreti legge per mettere ordine sulle concessioni. La sola cosa certa sui tempi al momento è che la legge sulla concorrenza deve essere approvata entro la fine del 2022: è infatti uno degli obiettivi del Pnrr per la seconda parte dell’anno. Il rischio quindi è che il riordino slitti al 2023.

La riforma porterà poi la firma di mezzo governo: non solo il Turismo con Roberto Garavaglia, difensore dei balneari che anche ieri ha chiesto modifiche al testo, anche la transizione ecologica, le infrastrutture, il ministero dell’economia, lo sviluppo e gli affari regionali saranno coinvolti, così come la conferenza con le regioni e, novità, il consiglio di stato.

Da una parte quindi tre ministri schierati contro la messa a gara e tre tecnici.

I nuovi criteri

I decreti dovranno individuare «criteri omogenei per l'individuazione delle aree suscettibili di affidamento in concessione», assicurando equilibrio tra le aree affidate ai privati, le spiagge libere e quelle libere attrezzate. Saranno obbligatori varchi per «il libero e gratuito accesso e transito per il raggiungimento della battigia». In caso contrario sono previste sanzioni.

I bandi terranno conto dell’esperienza acquisita ma senza ostacolare i nuovi operatori, dei servizi offerti, dell’accessibilità, dell’impatto ambientale e della tutela del patrimonio culturale, così come previsti dal piano presentato dall’impresa. Includeranno anche una "clausola sociale" per «promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato dal concessionario uscente». Favoriranno chi nei cinque anni prima della gara ha utilizzato la concessione come principale fonte di reddito per sé e la propria famiglia, oltre che le piccole imprese e gli enti non profit.

La concessione non dovrà essere superiore al tempo adeguato per garantire l’ammortamento e l’equa remunerazione degli investimenti autorizzati al momento della concessione. Allo stesso tempo dovrebbe essere previsto un contenimento dei prezzi al consumatore finale.

È previsto anche un riordino dei canoni che tenga conto dell’effettivo redditività e del pregio naturale delle aree affidate in concessione e un limite massimo al numero di concessioni affidate a uno stesso titolare. Una parte dei canoni andrà all’ente concessionario e una parte alla difesa delle coste e al miglioramento delle spiagge libere.

Sulle concessioni balneari pesa una lettera di messa in mora della Commissione europea e anni di violazione della direttiva Bolkestein ma anche di noncuranza da parte dello stato rispetto al demanio marittimo lasciato in mano a privati a canoni irrisori. Solo nel 2020 il canone minimo per una concessione è stato portato a 2500 euro. Secondo la relazione tecnica al decreto Agosto nel 2019 lo stato ha incassato dalle decine di migliaia di concessioni balneari italiane appena 115 milioni di euro.

L’emendamento del governo è stato frutto di una lunga interlocuzione: avviata prima dai ministri Giancarlo Giorgetto e Roberto Garavaglia con i rappresentati delle categorie, con tanto di una apertura di un tavolo con la nomina di tecnici dei balneari a fare da consulenti e a cui partecipano anche gli enti locali.

Regioni e comuni, infatti, sono coinvolti in prima linea nella vicenda: se il comune di Lecce ha fatto appello al consiglio di stato per vedersi riconoscere la possibilità della messa a gare delle concessioni, altre amministrazioni si sono schierate tout court con i privati.

Il ruolo degli enti locali

Ad esempio sulle spiagge della regione Sicilia, amministrazione che fino all’ultimo si è opposta alla applicazione della direttiva europea rivendicando l’autonomia persino dall’Unione europea, lo stato incassava nel 2016 poco più di 81mila euro e la regione circa 8 milioni. Alcune regioni impongono una percentuale di sovratassa ai canoni demaniali: la regione Abruzzo che si è schierata a difesa dei balneari di fronte al consiglio di stato per esempio ha una sovratassa del 10 per cento che gira ai comuni.

Ieri prima della riunione del consiglio dei ministri, c’è stato un incontro proprio con le regioni e i comuni, a cui ha partecipato la ministra degli affari regionali Mariastella Gelmini e il sottosegretario alla presidenza del consiglio Roberto Garofoli. Secondo il rapporto spiagge 2021 di Legambiente, in alcune regioni ancora la Sicilia e la Basilicata, i dati sulle cifre dovute dai balneari mancano completamente. In molte altre come Campania, Puglia, Marche e Liguria le cifre sono complete. Solo il Lazio ha un registro abbastanza aggiornato.

 

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