La ricreazione è davvero finita. L’Unione europea ha suonato la campanella, richiamando all’ordine l’Italia soprattutto sulle concessioni demaniali marittime. Le preoccupazioni a Palazzo Chigi sono concrete: bisogna individuare una soluzione sui balneari. Compito non facile, visto che Lega e Forza Italia sono pronte a forzare la mano per lucrare consenso sulla materia. Lo sguardo inizia a essere rivolto alle elezioni europee del prossimo anno.

Mappatura leghista

La linea sui balneari è quella di «proseguire con la mappatura», una formula ripetuta come un mantra dai partiti di maggioranza, che significa provare a prendere ancora altro tempo. Solo che a un certo punto la tattica dilatoria dovrà fare i conti con la realtà dei fatti. Per Meloni, inoltre, vuol dire affrontare la strategia della Lega, che ha già fiutato l’affanno, provando a mettere le mani sulle concessioni proprio attraverso la fatidica mappatura. «La sentenza rappresenta un'ulteriore spinta a procedere rapidamente con la mappatura delle spiagge da noi richiesta», ha detto il senatore leghista, Gianmarco Centinaio, in prima linea contro la liberalizzazione delle concessioni.

Così l’esponente della Lega ha chiesto di «convocare rapidamente il tavolo interministeriale per stabilire una volta per tutte con criteri equi i termini entro i quali le risorse del demanio marittimo italiano possono essere considerate scarse». Un tavolo che, guarda caso, fa capo al ministero delle Infrastrutture dei trasporti. E Salvini lo ha detto chiaramente: «La nuova mappatura delle spiagge sarà fatta dal Mit e, come sempre, verranno utilizzati criteri di buonsenso». Solo che tra un braccio di ferro e l’altro, non si scorge una reale chiusura della vicenda balneari.

Fratelli dorotei

In Fratelli d’Italia c’è un esercizio di raro equilibrismo, perché non si intravede una via d’uscita. «Il governo potrà continuare il dialogo in corso con la Commissione Ue, al fine di arrivare in tempi brevi ad una normativa che definisca una volta per tutte la questione, garantendo un quadro certo agli operatori e alle amministrazioni coinvolte», ha commentato in stile doroteo Gianluca Caramanna, capogruppo di Fratelli d'Italia in commissione attività produttive alla Camera e responsabile del dipartimento turismo del partito. Niente assalti all’arma bianca verso la matrigna Europa, la voce di Fdi ha toni moderati e accomodanti. Non un caso, perché la strategia di Meloni sarà di appeasement nei confronti di Bruxelles.

La fase barricadera è congelata, la premier sa che è una battaglia persa con «questa» Ue. L’uomo di riferimento è sempre più Raffaele Fitto, che non è solo titolare del dossier-Pnrr ma anche ministro per gli Affari europei. Tocca a lui tenere i fili con i vertici della commissione, che peraltro conosce bene dopo la sua esperienza da eurodeputato.

Il vero terreno di conquista di Meloni, almeno nelle sue intenzioni, è il voto per le Europee del 2024, in cui spera di spostare a destra il baricentro. Così da diventare una delle protagoniste chiamate a gestire il potere nell’Unione. Progetti ambiziosi e legittimi, che sono comunque di là a venire. Oltre i sogni c’è da rispondere alle richieste concrete. E si torna ai balneari: bisogna indire le gare come chiesto più volte, niente rinnovi automatici, ha prescritto la sentenza della Corte di giustizia europea. Il pronunciamento è un problema e può diventare un’opportunità per spingere a uscire dall’impasse e dal pressing di Salvini.

Mancano però opzioni realistiche. Si vagheggia di seguire il modello delle concessioni dei parcheggi del commercio ambulante, inserita nel disegno di legge Concorrenza. Ma c’è un nodo: si dovrebbero includere rinnovi automatici, almeno per alcuni casi, e l’Ue non vuole proroghe speciali o soluzioni fantasiose sui balneari. Pretende il rispetto del principio delle liberalizzazioni.

Infrazioni e Pnrr

Gli scontri politici nella maggioranza innescati dal rapporto con l’Europa rischiano di aumentare, rivolgendo l’attenzione al Pnrr che torna ancora una volta al centro. La trattativa con l’Ue sarà condotta dai massimi livelli del governo, Meloni in testa e il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, a braccetto. Ma giusto un passo dietro riappare Fitto, ormai una sorta di factotum per la premier: è uno dei profili in cui nutre maggiore fiducia nell’esecutivo. I falchi leghisti puntano a forzare la mano nel confronto con la commissione in sede di revisione del Piano.

«Il problema sono i vincoli di spesa, occorre chiedersi se serva impiegare tanti fondi su certe partite», ha scandito il capogruppo della Lega alla Camera, Riccardo Molinari, quando ha chiesto di valutare la rinuncia a parte dei fondi. La colpa è dell’Ue e delle sue regole, dunque, nella propaganda degli uomini di Salvini. E qui si arriva a un altro tema caldo nel governo: il via libera alla riforma del Mes. Meloni ha fatto un panegirico sul punto definendolo nell’intervista al Foglio «uno strumento, non di una religione» e «gli strumenti devono essere aggiornati ed efficaci». La presidente del Consiglio già vede l’ombra del suo vice Salvini alle spalle.
Ci sono altre vicende, come le procedure di infrazione aperte nei giorni scorsi, a cominciare da quella sulle condizioni di ingresso e di soggiorno dei cittadini stranieri impiegati come lavoratori stagionali, a cui si aggiunge l’aggiornamento sull’abuso dei contratti a tempo determinato nella Pubblica amministrazione.

Il governo sta comunque predisponendo a un decreto che sarà approvato, salvo problemi, simbolicamente l’1 maggio, che interverrà su questi punti. Un tampone ai rilievi mossi dalla commissione, benché sul tavolo restino altri argomenti divisivi nella maggioranza, come le discriminazione nell’erogazione del Reddito di cittadinanza e dell’assegno universale. I requisiti di residenza – di 10 anni per il sussidio e di 2 anni per il sostegno alle famiglie - sono contestati da Bruxelles. Per il governo Meloni che sbandiera l’italianità a ogni curva, sarà complicato fornire le risposte adeguate. E prende perciò forma il pericolo di essere sanzionati.

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